Sara Ben Salha, la «ragazza esca» arrestata nel blitz contro Simba La Rue: «In carcere ho incontrato Alessia Pifferi. Soffre molto, è sola al mondo»
«Ho fatto da esca per quel ragazzo, lo ammetto, gli chiedo scusa nel modo più sincero. Non mi aspettavo che lo avrebbero accoltellato, pensavo che volessero soltanto spaventarlo. Mi sono lasciata trascinare, ammetto le mie colpe, se devo pagare con altro carcere lo accetterò». Sara Ben Salha si apre in una lunga intervista a Repubblica. La ragazza, 20 anni, è ai domiciliari da mercoledì 3 agosto dopo essere stata arrestata insieme ad altri otto coetanei nell’ambito dell’indagine sul collettivo del trapper lecchese Simba La Rue, finito anche lui dietro le sbarre, soprattutto in merito alla violenta faida con la crew del padovano Touché, in cui Ben Salha ha avuto un ruolo ben preciso. La giovane, infatti, è stata arrestata per avere attirato con la scusa di un «appuntamento galante» Akrem Ben Haj Aouina, amico di Touché, poi accoltellato.
Un ruolo, quello di «esca», accettato per vendicare l’amico, membro del gruppo di Simba e anche lui arrestato, Fabio Carter Gapea, vittima di un agguato alla stazione di Padova lo scorso febbraio. «Quel giorno lui voleva solo parlare con i ragazzi di Touché ma è stato accerchiato e aggredito, ha rischiato di finire in carrozzina per via delle coltellate, lo ha salvato la giacca che indossava. Da lì è partito tutto. Io volevo molto bene a Gapea e ho deciso di fare questa vendetta insieme agli altri – spiega Ben Salha – Ma io l’avevo detto ai ragazzi la sera dell’agguato ad Akrem di non usare i coltelli, di non fargli del male, ci sono le intercettazioni che lo provano. Non mi hanno ascoltata. Ho le mie colpe, ovviamente potevo anche aspettarmelo che quello non era solo un modo per spaventarlo ma che avevano altre intenzioni, sono stata io una ingenua a fidarmi della loro parola».
L’incontro con Alessia Pifferi
Poi, nei pochi giorni passati nel carcere di San Vittore, l’incontro inaspettato con Alessia Pifferi, la 36enne accusata di aver abbandonato per sei giorni la figlia di 16 mesi, morta di stenti. Che, dalla cella di fronte, le ha raccontato la sua storia: «Si è aperta molto con me, non nega assolutamente le sue colpe, soffre molto. L’ho sentita piangere tutto il giorno, sdraiata in silenzio a guardare il soffitto. Non è un mostro ed è sola al mondo, la famiglia le ha voltato le spalle, il compagno è sparito, le altre detenute la odiano. Ho provato tanto dispiacere quando l’ho salutata, le ho assicurato che le avrei scritto e lo farò. Lei pagherà a vita il prezzo di ciò che ha fatto, quindi anche lei merita una spalla su cui piangere. Il carcere mi ha insegnato a non giudicare le persone solo con l’apparenza».
«Nessuno di loro è un vero criminale»
La ragazza torna poi a parlare del gruppo di Simba, su cui ora pesa anche il ritrovamento di diverse pistole non registrate e di quasi 10 kg di sostanze stupefacenti, tra cocaina, hashish e marijuana, a cui Ben Salha si dichiara totalmente estranea. «Sono tutti giovani che vogliono solo vivere la loro vita, qualcuno prova a farsi valere tramite le canzoni, ma nessuno di loro è un vero criminale. Sia Simba che Touché sono entrati nei loro personaggi senza pensare alle conseguenze, prendendo spunto dai cantanti americani che certe cose le hanno fatte davvero. Ma se uno di questi ragazzi fosse morto durante la faida, ne avrebbero sofferto tutti», conclude la 20enne, che già prova a guardare avanti. «Sono iscritta a giurisprudenza, vorrei diventare magistrato, il gip Guido Salvini durante l’interrogatorio mi ha detto di non darmi per vinta, che ci sono magistrati che hanno avuto un passato difficile. Non so quanto sarà possibile realizzare questo sogno, ma io ci proverò».
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