Chi è Salman Rushdie, l’autore di “I versi satanici” che vive sotto protezione dal 1989
Una vita sotto protezione. E una condanna a morte che pende sulla sua testa da più di 30 anni. Lo scrittore Salman Rushdie, accoltellato oggi 12 agosto sul palco del Chautauqua Insititution poco prima di una sua conferenza, convive da tempo con la stessa minaccia. Nato nel 1947 a Bombay da una ricca famiglia e formatosi in Inghilterra, nel 1988 pubblicò il suo quarto romanzo, I versi satanici: una storia fantastica ma chiaramente allusiva nei confronti della figura di Maometto e quindi ritenuta blasfema dai musulmani, che si sollevarono in protesta. Il 14 febbraio 1989 l’ayatollah dell’Iran Ruhollah Khomeini pronunciò una fatwa nei suoi confronti, una condanna a morte che costrinse lo scrittore a vivere sotto protezione. Perché, dopo la condanna, si susseguirono una serie di tentativi di uccidere non solo lui, ma anche i suoi collaboratori e sostenitori.
Gli attentati e la vita sotto scorta
Già pochi giorni dopo la fatwa, nella redazione newyorkese di Riverdale Press esplose una bomba: il giornale aveva pubblicato un editoriale che difendeva l’opera di Rushdie. Nell’agosto dello stesso anno scoppiò una bomba in un albergo londinese e uccise solo l’attentatore: solo nel 2005 un giornalista del Times scoprì che si trattava di un attentato per lo scrittore. In un cimitero di Teheran una lapide in onore dell’attentatore recitava «il primo martire a morire in una missione per uccidere Salman Rushdie». Due anni dopo, nel luglio del 1991, il traduttore italiano dell’opera, Ettore Capriolo, fu picchiato e accoltellato nella sua casa di Milano. Nello stesso mese, fu ucciso l’autore della traduzione in giapponese e minacciato il traduttore e l’editore norvegesi, messi poi sotto scorta (cosa che non evitò a William Nygaard, l’editore, di essere aggredito a colpi di pistola).
Associated Press riporta che il governo iraniano ha da tempo preso le distanze della fatwa di Khomeini. Ma, nonostante questo, la condanna è stata ribadita dall’ayatollah Ali Khamenei nel 2005, nel 2017 e nel 2019, e Rushdie ha più volte raccontato che il 14 febbraio di ogni anno, anniversario della promulgazione della sua condanna, riceve un biglietto di San Valentino dall’Iran a memoria della minaccia, sempre valida. Inoltre, alcune fondazioni religiose iraniane mantengono una taglia sulla sua testa. Una da 3,3 milioni di dollari.
Una vita sotto scorta
«Stare sotto la fatwa è una prigione, ma penso che uno dei problemi principali sia che dall’esterno sembra affascinante», ha detto Rushdie al Daily Mail nel 2012. Anno in cui pubblicò anche un’autobiografia. «C’è questa argomentazione secondo cui l’ho fatto in qualche modo per vantaggio personale, per diventare più famoso o più ricco. L’accusa peggiore è stata quella, da parte islamica, di averlo fatto su comando degli ebrei. Dissero che la mia (seconda, ndr) moglie era ebrea, ma era americana. Se avessi voluto insultare l’Islam, avrei potuto farlo in una frase piuttosto che scrivere un romanzo, un’opera di finzione, di 250 mila parole».
Rushdie ha vissuto quasi la metà della sua vita sotto scorta. Questo non gli ha impedito di diventare uno degli scrittori contemporanei più apprezzati al mondo. Non solo dai lettori, ma anche dal mondo accademico e letterario che, fin dall’inizio, l’ha sostenuto e protetto. Nel 1999 fu nominato Comandante dell’Ordine delle arti e delle lettere francesi, mentre nel 2007 il Regno Unito lo nominò cavaliere per il suo impegno letterario, un onore che fece storcere il naso al governo iraniano e al parlamento del Pakistan. Ha ricevuto numerose onorificenze anche negli Stati Uniti, dove vive dal 2000.
Foto di copertina: Salman Rushdie in compagnia dell’allora moglie Marianna Wiggins, nel 1989 (Credit: Terry Smith/Time Life Pictures/Getty Image)
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