La voglia matta di Quirinale di Berlusconi spiazza i suoi alleati e espone FI all’opa centrista
Non c’è bisogno di testimoni diretti per immaginare l’imbarazzo e l’irritazione dei partner di coalizione di Silvio Berlusconi dopo l’uscita improvvisa di questa mattina del Cavaliere sulle dimissioni di Mattarella in caso di passaggio del progetto presidenzialista contenuto nel programma del centrodestra. Una simile, sballata presa di posizione è il perfetto boomerang per una coalizione che veleggia nettamente in testa nei sondaggi. Così si rischia di dare (pensano Meloni e Salvini) l’idea degli sfasciacarrozze, proprio riguardo a una riforma che invece nelle enunciazioni sarebbe un elemento di stabilizzazione del sistema, e si dà un’arma di polemica diretta agli avversari in piena campagna elettorale, come si è visto subito col durissimo post del Pd.
E la cosa peggiore – che fa inquietare soprattutto la leader di Fratelli d’Italia che si sente a un passo dal traguardo di Palazzo Chigi – è che l’uscita anti-Mattarella, goffamente poi smentita, restituisce l’immagine di un Berlusconi che antepone le proprie mai riposte ambizioni a una strategia collettiva, insinuando l’idea (che viene resa esplicita solo da Carlo Calenda, ma è balenata a molti) che come e più dello scorso gennaio, la brama tardiva del Cavaliere per il Quirinale sia la prova di un allontanamento e di una perdita di contatto dalla realtà.
Con un rischio ulteriore che riguarda proprio Forza Italia: che l’idea di un Berlusconi fuori dalle righe (diciamo così) possa allarmare e allontanare una parte dell’elettorato moderato. Questo spiega perché sia stato proprio Calenda il più duro (“Non credo che Berlusconi sia più in sé”): è il terzo Polo che ha lanciato in qualche modo un’offerta pubblica sul mercato elettorale, già col segnale dell’approdo in Azione di nove parlamentari ex berlusconiani, capitanati dalle ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna.
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