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Che cosa dice realmente la sentenza Ue sugli immigrati ritenuta «folle» da Giorgia Meloni

21 Agosto 2022 - 08:27 Pagella Politica

Il 12 agosto, la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni ha scritto su Twitter che una sentenza dell’Unione europea obbliga l’Italia a «garantire vitto, alloggio e sussidio agli immigrati che si sono resi responsabili di “reati e atti violenti”». Nel suo tweet, Meloni ha rilanciato anche il titolo di un articolo, pubblicato lo stesso giorno da Il Giornale, con scritto: «“Mai togliere l’accoglienza ai migranti violenti”: la folle sentenza Ue». Che cosa c’è di vero in questa storia? Abbiamo verificato e Meloni non sembra aver capito il contenuto della sentenza della Corte di giustizia dell’Ue in questione, pubblicata lo scorso 1° agosto. Il messaggio che passa, oltre che sensazionalistico, è sbagliato.

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata il 12 agosto 2022 sul sito di Pagella Politica. Clicca qui per scoprire tutti i fact-checking, divisi per politici e partiti.

Per chi ha fretta

  • Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) afferma: «Un’altra folle sentenza Ue ci obbliga a garantire vitto, alloggio e sussidio agli immigrati che si sono resi responsabili di “reati e atti violenti”».
  • La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea riguarda i richiedenti asilo, e non tutti gli «immigrati», e non parla di «reati», che vengono puniti penalmente, ma di comportamenti gravemente violenti.
  • La sentenza stabilisce che il richiedente asilo indigente, anche se commette un comportamento gravemente violento, ma non un reato tale da farlo finire in carcere o espulso, non può essere lasciato a piede libero in Italia senza dargli i mezzi per mangiare, vestirsi e dormire sotto un tetto.
  • La presidente di Fratelli d’Italia sbaglia.

Analisi

Facciamo un passo indietro nel tempo di tre anni. Come spiega la sentenza, nell’estate 2019 un richiedente asilo, che fruiva in Italia delle condizioni materiali di accoglienza, ossia vitto, alloggio, vestiti e sussidio per le spese minime giornaliere, «ha aggredito verbalmente e fisicamente un dipendente di Trenitalia e due agenti della polizia municipale di Firenze», causando loro delle lesioni che sono state curate in pronto soccorso. Per questo motivo, la Prefettura di Firenze – sulla base dell’articolo 23 del decreto legislativo n. 142 del 2015 – ha privato il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza. 

Il richiedente ha però fatto ricorso contro questa decisione e il Tribunale amministrativo regionale della Toscana gli ha dato ragione. Il Consiglio di Stato, che fa da giudice di appello per le decisioni dei Tar, è stato investito della questione dall’Avvocatura di Stato, che ha il compito di difendere le amministrazioni statali, e ha così chiamato in causa la Corte di giustizia dell’Ue per chiedere come dovesse interpretare la normativa europea in materia. Prima di vedere nel dettaglio che cosa ha stabilito la sentenza, servono almeno un paio di chiarimenti.

Comportamenti, non reati

Tutto il procedimento di cui si sta parlando non è un processo penale: il comportamento del richiedente asilo non è stato sanzionato in quanto reato, il termine usato da Meloni. Se si procedesse per un reato, le sanzioni le dovrebbe stabilire un giudice, e non un prefetto, dopo aver sentito le tesi del pubblico ministero e quelle della difesa. Se la sanzione stabilita dal giudice fosse poi il carcere, il richiedente asilo verrebbe portato in prigione, dove lo Stato garantisce vitto, alloggio e vestiario ai condannati, privati della loro libertà. 

Oltretutto, in base alla legge italiana, la maggior parte dei reati violenti comporta il rigetto della domanda di protezione internazionale e l’espulsione del richiedente (di solito dopo che la pena venga eventualmente scontata e solo se nel suo Paese d’origine non c’è il rischio di morte o di tortura). Il problema della revoca delle condizioni materiali di accoglienza dunque non sussisterebbe se fossimo di fronte a un grave reato. Se il reato è invece abbastanza lieve da non comportare il carcere o l’immediato rigetto della domanda di protezione internazionale, rimarrebbe il problema di non privare dei mezzi per vivere dignitosamente una persona che ha diritto di rimanere libero in Italia.

Il procedimento di cui stiamo parlando, in ogni caso, ha carattere amministrativo. La sanzione di privare il richiedente delle condizioni materiali di accoglienza è stata presa da un prefetto e va a colpire non un reato, ma un comportamento, per quanto gravemente violento.

Richiedenti asilo, non immigrati

Inoltre, il soggetto non è un generico «immigrato», ma un richiedente asilo, ossia una persona che – in base all’articolo 14 del decreto legislativo n. 142 del 2015 – lo Stato italiano ha il dovere di tutelare fino a che la sua domanda non venga esaminata ed eventualmente respinta o accolta. In particolare, se il richiedente è indigente, lo Stato italiano deve garantirgli le misure di accoglienza (ossia vitto, alloggio, vestiario e spese minime). Se si trattasse di un generico immigrato, regolare o meno, lo Stato non avrebbe l’obbligo di fornirgli le misure di accoglienza e dunque la sanzione di revocarle non potrebbe esistere.

Che cosa ha stabilito la sentenza

Veniamo così al contenuto della sentenza. La domanda che è stata fatta dal Consiglio di Stato italiano alla Corte di giustizia dell’Ue è la seguente: il diritto dell’Ue impedisce agli Stati membri di revocare le misure di accoglienza se il richiedente è autore di un comportamento particolarmente violento ai danni di pubblici ufficiali? La Corte di giustizia dell’Ue ha risposto che gli Stati possono stabilire sanzioni che riguardino anche le condizioni di accoglienza (vitto, alloggio, vestiario e copertura delle spese minime giornaliere). Ma una sanzione che privi improvvisamente il richiedente di tutte le condizioni di accoglienza è incompatibile con l’obbligo, stabilito dalle norme europee, di garantire al richiedente «un tenore di vita dignitoso, giacché tale sanzione lo priverebbe della possibilità di far fronte ai suoi bisogni più elementari, quali nutrirsi, vestirsi, lavarsi e disporre di un alloggio».

Inoltre, nel caso in questione, sarebbe anche una sanzione sproporzionata rispetto al comportamento che si vuole punire. Ricordiamo che se il comportamento violento fosse tale da configurare un reato punito con il carcere, il problema della revoca delle misure di accoglienza non si porrebbe, in quanto l’alloggio, il vitto e i vestiti sono forniti dall’amministrazione penitenziaria.

Conclusioni

Secondo Giorgia Meloni, una sentenza dell’Ue obbliga l’Italia «a garantire vitto, alloggio e sussidio agli immigrati che si sono resi responsabili di “reati e atti violenti”». Abbiamo verificato e la presidente di Fratelli d’Italia non sembra aver capito il contenuto della sentenza, mandando un messaggio sostanzialmente sbagliato. Innanzitutto, la sentenza della Corte di giustizia dell’Ue non riguarda gli immigrati in generale, ma solo i richiedenti asilo, e non riguarda i «reati», ma i comportamenti gravemente violenti. Un immigrato che commette un grave reato, in base alla legge italiana, finisce in carcere, dove il vitto e l’alloggio sono comunque dati dallo Stato. La sentenza dell’Ue non c’entra.

In base alla sentenza in questione, un richiedente asilo indigente, che per soddisfare i propri bisogni elementari (mangiare, dormire, vestirsi) ha bisogno dell’aiuto dello Stato che sta esaminando la sua domanda, se anche commette un comportamento violento, non può per questo essere privato completamente delle misure di accoglienza. Questa sanzione mette infatti in pericolo la dignità umana.

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