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Alle elezioni più social di sempre, voterà meno di un under-35 su due. Ecco come è cresciuto (ancora) l’astensionismo tra i giovani

Secondo le principali società di sondaggi, il 25 settembre avremo un nuovo record di non partecipazione al voto anche in questa fascia di elettori. Eppure di loro alla politica importa poco

Quelle che si terranno il prossimo 25 settembre saranno le elezioni più social di sempre. Leader politici che su TikTok attaccano gli avversari, botta e risposta a suon di tweet, comizi e presentazioni di programmi mandati in onda su Instagram e Facebook, per non parlare del fatto che sempre più spesso gli interventi importati sono pensati in inglese e francese. Sembrerebbe che la tradizione politica si stia piegando un voto dopo l’altro verso il mondo del web per parlare alle generazioni più giovani, i più smart. Ma tutto questo rischia di ridursi a semplice apparenza. A un mese dal voto, infatti, il portale di sondaggi YouTrend prevede un’affluenza che oscilla intorno al 65%, e che rischia di provocare l’astensione più alta di sempre. E come se non bastasse, il vicepresidente dell’Istituto Piepoli, Livio Gigliuto, ha affermato a Open che, numeri alla mano, ad oggi meno di 1 giovane su 2 andrà a votare, il 48%. «La sensazione», spiega Gligliuto, «è che i partiti non stiano riuscendo a parlare con quelle generazioni, ma ai genitori di quei figli».

È vero che tradizionalmente le fasce d’età più basse tendono a esprimere meno la propria preferenza alle urne rispetto ai più adulti. Nel 2018, ad esempio, si stima che meno del 55% degli under 35 andò a votare. Tuttavia, se questi numeri dovessero venire confermati dopo il 25 settembre significherebbe che in 4 anni si è perso il 7% degli elettori più giovani. E questo accade nonostante alle scorse elezioni la loro partecipazione ha giocato un ruolo importante nel successo del Movimento 5 Stelle. Ancora una volta, però, i partiti politici sembrano non voler puntare su questa fascia di elettorato. O forse non sono in grado di intercettare le loro preoccupazioni e le loro necessità, preferendo parlare di pensioni, più che di precariato, e di bonus alle aziende, più che di concreta transizione ecologica.

Le ultime elezioni

Torniamo al 2018. In quel 4 marzo oltre 10 milioni di elettori uscirono dalle urne dopo aver segnato la propria preferenza sotto il simbolo pentastellato. Guidato dall’allora capo politico Luigi Di Maio, il Movimento ottenne il 32% dei voti conquistandosi il gradino più alto tra i partiti. Analizzando questi dati, YouTrend rilevò come i 5S ottennero il 38% dei voti degli elettori con età compresa tra i 18 e i 24 anni. Così tanti da superare quelli raccolti da Pd, Lega e Forza Italia messi insieme. Il cofondatore dell’agenzia di ricerche sociali Quorum/YouTrend Lorenzo Pregliasco spiega a Open come sin dalla sua fondazione e certamente fino alle elezioni di cinque anni fa, il Movimento abbia saputo andare incontro ai più giovani. Ora, però, sull’onda di una più complessiva riduzione dei consensi, si sta verificando un «progressivo appiattimento» sulle altre fasce di età, che potrebbe manifestarsi con più forza quest’anno.

Come testimonia il sondaggio condotto da Izi spa per Repubblica, solo il 41,8% delle persone che li hanno seguiti 5 anni fa, voterà pentastellato anche quest’anno. Un dato che si riferisce all’intero bacino di elettori e che porterà al Movimento un totale di circa il 10% delle preferenze. Statistiche specifiche per i più giovani non sono disponibili, ma Pregliasco afferma come i voti persi dai 5S si dirameranno essenzialmente in 3 direzioni: Fratelli d’Italia, attraverso un passaggio per la Lega, e l’ala più a sinistra del Pd, quindi Verdi-Sinistra italiana e +Europa. Tutti gli altri under 35 andranno a rimpolpare le già ampie fila degli astenuti.

Giovani invisibili

Ovviamente le ragioni del non voto non sono facili da spiegare quando si parla di grandi numeri. Molti appartengono alla categoria dei fuori sede: sono circa 5 milioni i cittadini che il 25 settembre saranno costretti a tornare a casa se vogliono votare e che, tanto più visti gli scarsi aiuti, potrebbero rinunciare a farlo.

Il nuovo modello culturale

Se da un lato le nuove generazioni lamentano di venire ignorati dai leader politici, dall’altro gli under 35, ma più in particolare la Gen Z, viene accusata di non interessarsi alla politica. Eppure, secondo il professore ordinario di Sociologia politica dell’Università di Genova, autore del recentissimo libro Giovani e Politica, la reinvenzione del sociale (Mondadori università 2022) Andrea Pirni, non è proprio così. Intervistato da Open, il professore sostiene che i giovani di questi anni sono diversi da quelli degli ultimi decenni del secolo scorso. Le nuove generazioni, infatti, tendono a costruire in «maniera sempre più autonoma la propria identità». In passato si avvicinavano a un determinato movimento politico in base agli ideali proiettati dalla famiglia e alla propria condizione socioeconomica. Questo costituiva «un modello culturale che sembra non reggere più il confronto con le nuove sfide di questi anni», afferma Pirni. Nel suo testo, scritto a quattro mani con il collega Luca Raffini, il professore spiega che l’individuo a sperimenta oggi nuovi metodi per cercare di identificarsi, spesso fallendo. «Che non è un processo eticamente condannabile, è solo un altro tipo di accesso alla dimensione dell’agire».

Le Sardine bolognesi e Greta Thunberg

Forse sta proprio in questo modo di relazionarsi con la società la spiegazione di quanto accaduto, per esempio, con la nascita e repentina fine del movimento delle Sardine. Era il 14 novembre del 2019 quando migliaia di ragazzi si ritrovarono in modo del tutto improvviso in piazza Maggiore a Bologna per contrastare un evento leghista. Dopo quel giorno, però, i protagonisti di quella iniziativa sono quasi scomparsi dalla scena politica. «Un esempio del nuovo modello, dove un grande consenso immediato si è esaurito rapidamente», commenta il professor Pirni. Diverso è il caso dei Fridays for Future. È innegabile la grande partecipazione che è riuscita a provocare in quasi ogni angolo del mondo l’attivista svedese Greta Thunberg, «ma non è che prima non se ne parlava», commenta Pirni: «Diciamo che in questo modo ha reso popolare il tema del cambiamento climatico».

Argomento generazionale per eccellenza, quello del cambiamento climatico, visto che le conseguenze le vivranno i giovani e giovanissimi di oggi. Per essere convincenti sul tema, però, dice Prini, i leader politici dovrebbero volgere lo sguardo al di là del semplice “qui e ora” e pensare alle conseguenze future delle scelte di oggi». Se non c’è molto sforzo sul punto il problema è anche numerico. I giovani under 35 sono 10 milioni, contro i 26 milioni di over 50 (dati Istat). «La realtà dei fatti è che la fascia generazionale degli under 35 è veramente esile», conclude Pirni sottolineando come questi numeri siano destinati a peggiorare così come la progressiva sfiducia verso la politica.

I giovani verso la politica

Altro tema che sfugge alla politica è la partecipazione al sociale, che invece mobilita moltissimo i nuovi (possibili) votanti. Secondo un sondaggio di Eurobarometro, condotto tra il 22 febbraio e il 4 marzo, «la maggior parte dei giovani (il 58 per cento) è attiva nella società in cui vive e dichiara di aver partecipato alle attività di una o più organizzazioni giovanili negli ultimi 12 mesi». Per l’Anno europeo dei giovani 2022, scrivevano, «l’aspettativa più comune tra i giovani (lo dichiara il 72 per cento, ndr) è che i responsabili politici ascoltino più attentamente le loro istanze e vi diano seguito, e che sostengano il loro sviluppo personale, sociale e professionale». In vista delle elezioni del 25 settembre, c’è qualcuno che si sta adoperando per far diventare questo dialogo realtà.

L’iniziativa 20e30

È l’iniziativa 20e30, nata dall’appello social di un 29enne torinese appassionato di politica, Lorenzo Pavanello che nei giorni della caduta del governo Draghi ha notato un’insofferenza generale tra i suoi coetanei e ha deciso di darle voce. Così si è fotografato con un foglio in mano con le sue richieste alla politica e l’hashtag 20e30, dalla triplice valenza: si rivolge alla generazione dei 20enni e 30enni, con un post che esce alle ore 20 e 30 di ogni giorno, per una politica che guardi al 2030, quindi al futuro. L’iniziativa, nata per puro caso, è diventata virale: in pochissimo tempo la pagina ha ricevuto più di 5mila messaggi a “imitare” quello di Pavanello, con una copertura social di 10 milioni di utenti.

La sfida alle forze politiche è divisa in 20 richieste, le più urgenti, ripartite in cinque macro-tematiche: lavoro e politiche sociali, istruzione e capitale umano, ambiente ed energia, diritti sociali e civili, welfare. Ai partiti è stato chiesto di rispondere e postare le loro proposte sulla piattaforma 20e30.org. «Subito Pd e M5s hanno aderito in maniera chiara e netta, seguiti dal resto dei partiti di centrosinistra e da alcuni partiti di centrodestra. Forza Italia ha appena aderito e stiamo dialogando con la Lega», spiega a Open Pavanello, sottolineando che il valore aggiunto dell’iniziativa, che ne può a suo parere determinare il successo, è proprio nella «volontà di trasversalità ideologica». «La nostra chiave è strutturarci lontano dai movimenti giovanili dei partiti. Siamo nati veramente dal basso e senza alcuna influenza né aspirazione politica. Siamo tutti lavoratori tra i 27 e i 33 anni, liberi di scegliere e poter essere trasparenti», aggiunge.

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Lucia Abbinante, 35 anni e direttrice dell’Agenzia nazionale giovani, l’ente governativo che in Italia gestisce i programmi europei giovanili, come l’Erasmus+, e si impegna nel favorire il dialogo tra giovani e istituzioni. «È difficile occuparsi politicamente dei giovani. Anche perché delle politiche giovanili veramente efficaci richiedono un’azione combinata in moltissimi campi, misure trasversali e intergenerazionali. Questa difficoltà si è tradotta nell’abbandono della categoria o nell’adozione di un approccio totalmente inadeguato, che non tiene conto della complessità del tema e procede per attività sporadiche che non creano una connessione vera tra i giovani, i partiti e la politica», spiega Abbinante.

Il compromesso, secondo la direttrice dell’Ang, dovrebbe avvenire tramite un dialogo strutturato che si ispiri al modello europeo, attraverso l’apertura di spazi nei processi decisionali a livello istituzionale, investendo i giovani di responsabilità. E propone varie azioni: «Tra le altre cose, è necessario rafforzare il ruolo della delega alle politiche giovanili attraverso l’istituzione di una cabina di coordinamento interministeriale e interregionale sulle misure e l’interlocuzione strutturata con le organizzazioni e i movimenti giovanili, per recepire i contributi che arrivando da un livello più locale. A livello parlamentare – continua – c’è da potenziare l’istituzione di commissioni parlamentari ad hoc, e a livello di rappresentanza consolidare il ruolo del Consiglio nazionale giovani», conclude Abbinante.

Foto in evidenza: Ansa, foto di repertorio | Video: Michela Morsa

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