Perché siamo tornati a parlare di leva militare obbligatoria
Di leva militare obbligatoria il leader della Lega Matteo Salvini ha parlato già diverse volte. Pochi giorni fa, ospite a La7, ne aveva sottolineata l’importanza per arginare il dilagante fenomeno delle baby gang che, a suo dire, minacciano sempre più la sicurezza delle città italiane. Ieri sera, intervenendo a un comizio elettorale nel Salernitano, il senatore ha ribadito il suo pensiero: «Sono convinto – ha detto – e, se ci date fiducia, farò di tutto per reintrodurre un annetto di servizio militare per i nostri ragazzi e per le nostre ragazze: potrebbe essere molto utile». E ha aggiunto: «Si può fare perché la legge non ha annullato, ma solo sospeso il servizio civile e il servizio militare obbligatorio».
Le reazioni
A ben vedere, la proposta non compare all’interno del programma di Governo del Centrodestra concordato dalla Lega con Forza Italia, Fratelli d’Italia e Noi moderati. Tuttavia, il dibattito che ne è scaturito anima da giorni frange sociali diverse, dai comuni cittadini ai politici, fino agli esponenti delle Forze dell’ordine. Prevedibilmente, a remare contro Salvini sono anzitutto gli avversari. In uno dei suoi ultimi tweet la vicepresidente di Azione e consigliera del Comune di Milano, Giulia Pastorella, ha parlato di «involuzione della destra» nel riportare in auge un provvedimento che – è curioso – fu proprio il governo Berlusconi ad abolire, nel 2004.
August 26, 2022
«Un palliativo che non risolverebbe nulla»
A giudicare la leva addirittura controproducente è, poi, Antonio Nicolosi, segretario generale del sindacato dell’Arma dei carabinieri (Unarma), che ha parlato di «un palliativo che non risolverebbe i problemi del comparto difesa italiano: arruolare giovani impreparati rischia – fa notare – di creare complicazioni organizzative nei Comandi in un momento delicato per la difesa internazionale». E se «l’introduzione di adolescenti da formare rappresenterebbe un’iniezione d’aria fresca nelle Forze Armate, oggi sottorganico e stressate», per Nicolosi è altresì «importante puntare sulla qualità, sulle competenze e sulla preparazione per risolvere i problemi del comparto militare, non solo sulla quantità di personale».
La leva obbligatoria secondo gli italiani
Ma cosa ne pensano, invece, gli elettori? L’ha indagato IZI, società specializzata in indagini di mercato e demoscopische, rilevando un primo dato interessante: la maggioranza degli intervistati è favorevole a reintrodurre la leva militare obbligatoria. Il 53,5% dice sì, il 46,5%, invece, è contrario. Quel che emerge dal sondaggio è che il numero di pareri positivi cresce con l’aumentare dell’età di chi risponde: dai 55 anni in su l’assenso sfiora il 64,5%, mentre dai 35 ai 54 anni scende al 56,5%. Quando a rispondere sono i diretti interessati, ovvero i giovani tra i 15 e i 34 anni, stravince invece il no, con il 71,1%. Un risultato coerente con le aspettative delle diverse fasce di intervistati. Se gli anziani salutano con entusiasmo la prospettiva di maggiore ordine e disciplina tra i più giovani, non dovendosi sottoporre essi stessi alla leva, i ragazzi farebbero volentieri a meno di un anno investito nell’esercito o nella Protezione civile.
«Ma non è una semplice voglia di naja – spiega Giacomo Spaini, amministratore delegato di IZI spa al Giornale – un quarto di coloro che sono a favore ritengono che la leva possa essere reintrodotta solo se i giovani possono scegliere anche il servizio civile, e in ogni caso non deve essere un sostituto del lavoro o dello studio». Tra le ragioni che i favorevoli adducono a sostegno di Salvini, ci sono il desiderio di «insegnare l’educazione e il rispetto ai ragazzi» (43,4%) e la convinzione che il servizio militare possa essere «un elemento formativo importante per la crescita dei giovani» (25,5%). Per contro, quasi nessuno lo giudica importante in vista di un futuro esercito di arruolabili all’evenienza (per il 72,1% degli intervistati, la guerra in Ucraina non ha influenzato l’opinione sulla naja).
I pareri discordanti
Tra i contrari, invece, prevale la convinzione che le attività militari «debbano essere svolte da professionisti consapevoli dei rischi» (34,3%). Per altri, invece, è prioritario investire in politiche del lavoro (21,4%) o nella formazione dei giovani (20%). Un 19,3%, infine, bolla il servizio come uno strumento «anacronistico». Quel che si evince dalle rilevazioni, comunque, è un cambiamento generale nell’approccio al servizio militare. Un primo elemento riguarda l’uguaglianza di genere, per cui «il 72,4% degli intervistati – fa notare Spaini – pensa che la leva debba essere rivolta sia a uomini che donne». Il 39,6% crede che questa, «se ripristinata, debba dare spazio allo sviluppo delle competenze, all’istruzione e non esclusivamente alla formazione militare». Altri due dati interessanti: solo il 21,7% ritiene che questo periodo di formazione non dovrebbe prevedere l’uso delle armi; mentre il 14,3% vorrebbe ridurlo a sei mesi.
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