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“Devianze” giovanili, lo sport è la soluzione? Bracalenti: «Spesso l’anoressia si accentua nelle palestre» – L’intervista

27 Agosto 2022 - 13:57 Gaia Terzulli
Il direttore dell'Istituto Psicanalitico per le Ricerche Sociali (IPRS) a Open: «Il problema non è tanto mettere insieme alcolismo e bulimia, dato che entrambe vengono trattate clinicamente, quanto pensare di curarle allo stesso modo»

La polemica sta accompagnando la campagna elettorale già da alcuni giorni: prima un video di Giorgia Meloni, in cui si parla di combattere la propensione giovanile al consumo di alcol e droga «e altre devianze» con l’avviamento allo sport, poi una replica di Enrico Letta in una intervista, seguita da un criticato post «Io lo penso e lo dico #Vivaledevianze” quindi un post social di Fratelli d’Italia in cui, nell’elenco dei comportamenti devianti, c’erano anche bulimia, anoressia, obesità e autolesionismo e infine, giovedì 25 agosto, un nuovo post di Giorgia Meloni che racconta come sua madre abbia problemi di obesità e che quindi mai potrebbe lei considerare questo problema di salute una «devianza”. Visto che nella polemica si è parlato del fatto che il termine «devianza giovanile» sia inserito anche in alcuni documenti dei ministeri di Interno e Giustizia abbiamo chiesto ad un responsabile di progetti della Giustizia minorile sulla devianza giovanile (in particolare su minorenni “sex offenders” e su autori di reati provenienti da contesti mafiosi), Raffaele Bracalenti, medico e psicoterapeuta direttore dell’Istituto Psicanalitico per le Ricerche Sociali (IPRS), di spiegare cos’è, dal loro punto di vista, la devianza giovanile. E su che cosa si orientano al momento gli interventi pubblici.

Dottor Bracalenti, cosa si intende, anzitutto, con il termine devianza?

«Devianza, di per sé, è un termine vago. Dobbiamo capire anzitutto a quale ambito facciamo riferimento quando ne parliamo. Se ci riferiamo al contesto sociale, indichiamo atteggiamenti come l’alcolismo e la ludopatia, che deviano, appunto, dai comportamenti ritenuti normali. Spesso, però, atteggiamenti socialmente devianti vengono ricondotti a fenomeni clinici e curati dal Sistema Sanitario: è proprio il caso delle tossicodipendenze e della ludopatia, per le quali esistono i Sert (servizi per le tossicodipendenze). Premesso che un conto è fare uso di sostanze stupefacenti e un altro è commettere un reato, oggi la tendenza è quella di leggere tutto in un’ottica clinica e quindi di ricondurre disturbi alimentari, droga e bullismo a forme di fragilità psicologica particolarmente tipiche dell’adolescenza. Ecco perché si corre il rischio di mescolare e sovrapporre tra loro le contravvenzioni alle regole, come i reati, con anoressia e obesità. Il problema, riferendomi alla campagna di Fratelli d’Italia, non è tanto mettere insieme alcolismo e bulimia, dato che entrambe vengono trattate clinicamente, quanto pensare di curarle allo stesso modo».

Come giudica dunque il pensiero espresso da Giorgia Meloni?

«Spesso nella comunicazione politica c’è il rischio d’illudere che si possano dare risposte semplici a problemi complessi. In questo, capisco la reazione di Enrico Letta, che alla Meloni ha risposto “Viva la diversità, viva la devianza”. Perché non dobbiamo davvero averne paura, altrimenti rischiamo di stigmatizzare tutte le forme che si discostano dal main stream. Prendiamoci carico della sofferenza delle persone, ma non guardiamo con insofferenza e sgomento alle diversità: questo mi è parso il senso della frase di Letta. La polemica contro Il body shaming serve a proprio questo, a dire che chi è obeso ha diritto a non considerarsi deviante. Aggiungo anche una riflessione sullo sport evocato come panacea delle cosiddette devianze: le palestre sono i luoghi dove più si accentuano le forme già esacerbate di anoressia maschile e femminile. La letteratura americana è fitta di casistiche di questo tipo. Quello di Meloni mi sembra il tentativo di fornire risposte un po’ troppo facili a problemi complessi, con il rischio di alimentare l’intolleranza per la diversità».

Cosa sono esattamente le devianze dal punto di vista delle istituzioni?

«La trasgressione di una legge e niente di più. Oggi tutti i concetti di normalità, che sono legati a comportamenti adottati dalla maggioranza, sono utilizzati con molta cautela, perché il diritto delle minoranze a non essere etichettate come devianti appartiene alla cultura dei più. Questo anche se le minoranze deviano da una norma, ovvero da un dato rilevabile in modo maggioritario. Per dirla più semplicemente, “maggioranza” non è necessariamente sinonimo di salute e di normalità».

Come intervenite voi esperti rispetto alle devianze?

«Bisogna prima di tutto ascoltare e riconoscere la sofferenza di una persona che ha una devianza e aiutarla a risolvere la sua specifica sofferenza. Il problema che la clinica psicanalitica riscontra, soprattutto in adolescenza, è che le persone non riconoscono le loro sofferenze e per ora la legge impedisce interventi coatti su persone che non ritengono di avere bisogno di interventi. Questo in adolescenza può creare grandi problemi perché il punto di vista dei figli, che vivono un disagio anche grave, si scontra con la volontà dei genitori, che vedendoli in pericolo vorrebbero intervenire. La soluzione è cercare di costruire un consenso tra ragazzi e terapeuti disposti ad aiutarli. Questo perché, per tornare al punto di prima, problemi complessi esigono risposte complesse».

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