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Salvini torna a condannare le sanzioni alla Russia: «L’unica emergenza si chiama bolletta, la Ue aiuti gli italiani»

05 Settembre 2022 - 12:59 Felice Florio
Il leader della Lega, in contrapposizione rispetto agli altri partiti del centrodestra, insiste sulla necessità di rimodulare la risposta all'invasione dell'Ucraina

Da Fano a Cernobbio, passando per i talk show in radio e tv: Matteo Salvini, ormai da giorni, sta criticando il sistema sanzionatorio che le istituzioni europee hanno imposto alla Russia. La sua voce – l’unica nel centrodestra che va in questa direzione – rivela l’ennesima crepa di una coalizione che non è mai apparsa davvero compatta su svariati temi di politica interna ed estera. Dopo il Forum Ambrosetti di ieri, nella mattina di oggi – 5 settembre – il leader del Carroccio è tornato a mostrare scetticismo sull’efficacia delle misure: «Al posto delle sanzioni, che dovevano danneggiare i russi, sarebbe meglio proteggere gli italiani ed europei con uno scudo, un paracadute». A Bolzano, per un evento di campagna elettorale, Salvini ha sottolineato che «l’unica emergenza in questo momento si chiama bolletta luce e gas. È grave che una parte della politica non lo capisca. Si tratta di un problema continentale e nazionale».

«Servono soldi da Bruxelles che ha chiesto le sanzioni evidentemente sbagliando i conti – ha proseguito il leghista -. Sarebbe incredibile se l’Europa non muovesse un dito, visto che rischiamo di lasciare al buio e al freddo milioni di italiani. Se non si muove l’Europa, deve farlo il governo nazionale. L’Europa che impone sanzioni è la stessa che ha il dovere di aiutare gli italiani a pagare le bollette, non può essere Bolzano a pagare per le sanzioni alla Russia – e ha concluso -. Il debito? Se serve sì, subito. Lo hanno fatto tedeschi, francesi e spagnoli. Meglio 30 miliardi oggi per salvare un milione di posti di lavoro, invece di 100 per un milione di casse integrazioni». L’insistenza di Salvini sul tema costringe i suoi alleati a ribadire il proprio sostegno, invece, alla strategia sanzionatoria dell’Unione europea.

Il sottosegretario alla Difesa di Forza Italia, Giorgio Mulè, parlando ad Agorà in contemporanea con l’evento del leader del Carroccio, ha smentito seduta stante l’alleato di coalizione: «Il centrodestra non ha mai fatto mancare i voti nel parlamento italiano e in Europa a sostegno delle sanzioni contro la Russia che, invadendo l’Ucraina, è venuta meno a quei valori che per Forza Italia sono non negoziabili. Su questo non facciamo un solo passo indietro. Anzi, diciamo che laddove l’effetto delle sanzioni non sia più quello dovuto è necessario individuare nuovi ambiti dove colpire ancora più duramente la Russia». In onda su Radio24, anche Luigi Brugnaro – presidente di Coraggio Italia, componente della lista di centrodestra Noi moderati – ha contraddetto Salvini sulle sanzioni: «Noi dobbiamo essere assolutamente compatti con gli Stati Uniti e con l’alleanza storica che abbiamo da sempre. Nessun cedimento assolutamente».

La posizione della Lega sembrerebbe un tentativo per recuperare i consensi nel tessuto imprenditoriale del Nord, terra di elezione per il Carroccio ma dove, secondo gli ultimi sondaggi, il partito di Giorgia Meloni avrebbe strappato la leadership a Salvini. Le aziende del Nord-Est sono quelle che più hanno sofferto delle sanzioni, avendo costruito negli anni un fitto sistema di scambi commerciali con la Russia. Ed è stato lo stesso leghista a rendere pubblica la richiesta arrivatagli dagli imprenditori: «Mi stanno chiedendo di rivedere le sanzioni alla Russia, perché è l’unico caso al mondo in cui le sanzioni, volute per fermare la guerra e colpire un regime, danneggiano non i sanzionati ma coloro che sanzionano».

La battaglia della Lega sta diventando una spina che minaccia non tanto gli avversari di centrosinistra – anche nella coalizione a guida Pd ci sono opinioni contrastanti sul tipo di supporto da dare all’Ucraina -, ma la bolla che Meloni sta cercando di far crescere intorno a sé. Una bolla fatta di rassicurazioni nei confronti delle istituzioni internazionali, degli stakeholder finanziari, di quelli che un tempo erano i poteri forti da combattere e che oggi sono interlocutori necessari per permettere davvero alla prima donna della storia italiana di entrare a Palazzo Chigi da presidente del Consiglio. Ma che da Meloni pretendono massima chiarezza sulla collocazione dell’Italia nello scacchiere internazionale.

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