La non-vittoria di Giorgia Meloni: lo studio riservato sulla possibile sorpresa nei risultati delle elezioni dietro l’allarme di Letta
C’è uno studio riservato sui risultati delle elezioni dietro l’allarme per la democrazia lanciato ieri da Enrico Letta. Dice che se è chiaro che il centrodestra vincerà le elezioni del 25 settembre, è ancora in gioco come le vincerà. E la distanza tra una vittoria e una non-vittoria (come quella di Bersani nel 2018) si gioca su 62 seggi. E sul cosiddetto voto utile. Nelle regioni storicamente rosse come Emilia-Romagna e Toscana. E nelle grandi città. «Se si recuperano i consensi il nuovo governo di centrodestra potrà contare solo su cinque senatori in più a Palazzo Madama», è il ragionamento. Con una maggioranza così risicata addio in primo luogo alle proposte sul presidenzialismo con annesso addio del presidente Mattarella al Quirinale. E poi via al Vietnam parlamentare.
I 60 collegi contendibili
Per invertire la tendenza, spiega il documento, può bastare un 4% in più di voti rispetto a quelli assegnati attualmente dai sondaggi alla coalizione di centrosinistra. Il ragionamento del segretario Pd si basa sugli «effetti perversi» della legge elettorale e del taglio dei parlamentari. Un combinato disposto che deriva dal fatto che il Rosatellum è una legge proporzionale e maggioritaria e sono quindi decisivi i risultati nei collegi uninominali. Proprio l’effetto del maggioritario potrebbe portare il centrodestra con il 43% dei consensi a portare a casa il 70% dei deputati e dei senatori. «Uno scenario politico e democratico da incubo», lo ha definito Letta. Ma «ci sono 60 collegi uninominali contendibili» e la partita si gioca lì. Per questo «il voto per le liste di Calenda e Conte è oggettivamente un aiuto per la vittoria della destra».
Mentre, Rosatellum alla mano, per Letta «un +4% a noi» invece che al M5s o al Terzo Polo «consentirebbe di riportare la partita nella contendibilità». La Repubblica e La Stampa, che parlano oggi dello studio, spiegano che l’obiettivo finale è quello di rendere contendibili 24 collegi uninominali ad oggi considerati persi. E blindare la vittoria in altri 15. Oltre alla conquista, che sarebbe una conseguenza, di 23 posti in più nel proporzionale. Tra Camera e Senato. Nella migliore delle ipotesi, che però sarebbe il risultato di una combinazione di fattori molto complicati, la simulazione dice che il centrodestra potrebbe ottenere la maggioranza soltanto in una delle due camere. Ma si tratta, appunto, di uno scenario molto difficile da veder realizzato.
Lo studio riservato
Più concretamente, lo studio riservato che circola al Nazareno avverte anche che è improbabile che un recupero del 4% nel proporzionale sia spalmato nei singoli collegi. Nella simulazione invece dei 125 che i sondaggi attualmente le accreditano il centrodestra al Senato porterebbe a casa solo 105 seggi. Mentre alla Camera si passerebbe dai potenziali 245 a 203 deputati. Il Pd blinderebbe 15 collegi uninominali tra i due rami del Parlamento. Riaprirebbe la partita per altri 17 posti da deputato e 7 da senatore. E conquisterebbe 15 deputati e 8 senatori in più nel proporzionale. Ma c’è un’incognita geografica. Per ottenere questo risultato l’incremento percentuale dei voti non si dovrebbe, appunto, spalmare uniformemente su tutto il territorio.
Dovrebbe invece concentrarsi in Emilia-Romagna e Toscana e nelle grandi città oggi amministrate dal Pd: ovvero Milano, Torino, Firenze, Bologna, Roma e Napoli. Ma ci vuole anche una vittoria in città amministrate dal centrosinistra o in regioni in bilico: Trento, Ancona, Bari e la Sardegna. «Se consideriamo quindi in particolare – scrivono gli analisti dem – 44 collegi (i 16 contendibili nei quali possiamo prevalere già nelle condizioni attuali e 28 ulteriori), che si riaprono con uno spostamento percentuale piuttosto lieve (4 punti), la maggioranza di centrodestra può sostanzialmente annullarsi». Con l’incremento dei voti 40 collegi cambiano colore. E altri 14 tornano in bilico.
Una strategia a perdere
C’è però un problema. Ovvero che la percezione dell’esito scontato delle elezioni spinga gli elettori a disertare le urne. Oppure a votare per il partito preferito anche se non ha nessuna speranza di vincere la sfida uninominale nel collegio. Per questo quello di Letta è alla fine il classico appello al cosiddetto voto utile. Con tutte le limitazioni del caso. Ovvero che si tratta di un messaggio ostico da comprendere e che veicola in ogni caso una strategia a perdere limitando i danni. Mentre per votare con convinzione di solito gli elettori dovrebbero essere convinti della bontà di un progetto politico. E non dello spauracchio democratico. Storicamente questo tipo di appelli ha sempre lasciato il tempo che ha trovato. Gli allarmi per la democrazia hanno portato tanta gente in piazza. Ma pochi hanno cambiato idea alle urne. Vediamo se il 25 settembre ci sarà un’inversione di tendenza.
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