Civati: «Calenda? Il più irresponsabile. Il M5s non è di sinistra e Letta sta cambiando: dice le cose che dicevo io nel 2013» – L’intervista
Giuseppe Civati, deputato dal 2013 al 2018, torna a correre per un seggio nel parlamento italiano. E’ candidato come capolista al plurinominale di Bologna nella lista Verdi-Sinistra italiana. Dopo l’uscita dal Partito democratico nel 2015, in dissenso con la segreteria di Matteo Renzi, Civati ha fondato il partito Possibile – di cui è stato segretario fino al 2018 – e dato vita alla casa editrice People. A Open, ha raccontato le ragioni del suo ritorno in campo nella coalizione trainata dai Dem e di cui fanno parte anche +Europa e Impegno civico.
Condivide la narrazione che il Pd stesso fa di sé, ovvero di essere l’unica alternativa alla deriva delle pericolose destre, in un momento di crisi internazionale? Un ruolo quasi più da Protezione civile che da partito…
«Il Pd ha assunto questo ruolo di partito della Nazione, per così dire, da tanto tempo. Non sempre gli ha portato bene: alla fine ha sempre partecipato ai governi, spesso scontando una forma di disagio rispetto alle cose che alcuni pensavano, perché era troppo importante la responsabilità verso il Paese in confronto alle proprie convinzioni. Motivo nobilissimo, ma che a volte si allontana dalla proposta politica di un partito. C’è da dire una cosa però: l’unica coalizione che può fermare l’avanzata di Matteo Salvini e Giorgia Meloni è quella del centrosinistra. Io sono molto attaccato in queste ore da sinistra perché ho scelto di partecipare insieme a Possibile, Sinistra italiana e Verdi a questa coalizione, ma se l’abbiamo fatto è proprio perché il sistema elettorale impone uno schieramento di forze il più numeroso possibile. Non si tratta né di calcolo né di interesse, ma di una scelta politica».
È in virtù di questa legge elettorale, favorevole alle alleanze larghe, che siete stati disposti ad allearvi con partiti e gruppi decisamente distanti dalle vostre istanze, penso a Impegno civico di Di Maio?
«La presenza di Tabacci rende tutto più simpatico. Lo dico sorridendo: è chiaro che una coalizione di forze non è una lista, non è una struttura militare, quindi è giusto che ognuno esprima se stesso. L’obiettivo della coalizione è quello di dimostrare che i nostri candidati nei collegi uninominali sono comunque meglio di quelli della destra, sempre più estrema. La destra italiana ha avuto un’involuzione: se prima c’era il tentativo di essere una destra europea, liberale tipo Merkel, adesso dalla Merkel sono passati alla Le Pen come ispirazione».
Ha condiviso la scelta di scindere quel campo largo e correre alle politiche del 25 settembre senza Movimento 5 stelle?
«Il campo largo comprendeva sia qualcuno di destra sia qualcuno di quel luogo strano dove si collocano i 5 stelle, che non ho mai capito se siano di destra o di sinistra. Loro per anni hanno raccontato di non essere né di destra né di sinistra che di solito è sinonimo di essere di destra, e non è inverosimile pensarlo. Il campo largo, però, è saltato per due ragioni, non certo per colpa di Enrico Letta che su questo è sempre stato molto disponibile. La prima ragione è che qualcuno ha fatto cadere il governo, benché i 5 stelle dicano di no, che non l’hanno fatto a posta, che il governo è caduto da solo: se non fosse stato fatto il balletto della fiducia di luglio, probabilmente questa discussione non la staremmo facendo oggi, ma a gennaio al fresco e con la possibilità di organizzare una campagna elettorale civile e ordinata. Dall’altra parte, invece, Carlo Calenda si è rivelato una delle persone più irresponsabili della scena politica italiana: ha firmato un accordo con il Pd, l’ha messo in discussione perché sono arrivate le forze di sinistra, l’ha riconfermato per poi, infine, farlo saltare. Insomma, da uno così non comprerei nemmeno un’auto nuova».
Per voi, invece, sarebbe stato possibile, scusi il gioco di parole, allearsi con il Terzo polo di Renzi e Calenda o ormai di centrosinistra non hanno più nulla?
«Dipende dallo spirito con cui si faceva. Quando abbiamo iniziato a discutere di questa ipotesi c’era l’idea di proporzionalizzare la vicenda: tutte le forze politiche si sarebbero presentate con il loro programma dentro una sorta di Cln, tra virgolette, dentro una grandissima coalizione che serviva a riequilibrare le storture del rosatellum. Quindi, io non avrei avuto nessun problema ad avere un’alleanza ancora più larga e penso che sarebbe stata molto utile, visto che i sondaggi ci dicono che abbiamo da recuperare tanto per contendere i collegi uninominali. Questa è una responsabilità che si deve assumere chi ha scelto di non partecipare a questa coalizione. Aggiungo: quando si decide di mettere in crisi un governo, non lo si fa a cuor leggero. Ne consegue che i 5 stelle hanno deciso di non partecipare a una strategia politica insieme al Pd. Questa è la verità. Dopodiché, in questi giorni Giuseppe Conte è molto nervoso perché da una parte dice che il Pd non li ha voluti, dall’altra dice che il Pd è un partito di destra. Si mettesse d’accordo con se stesso: posso capire la sua delusione, ma se dici che è il Pd che non ti ha voluto, significa invece che tu volevi allearti. Credo che Conte non sia del tutto sincero».
Conte sta impostando la sua campagna elettorale insistendo su temi fortemente di sinistra, c’è chi l’ha dipinto come il Mélenchon italiano. Questa sovrapposizione di punti programmatici è un problema per il consenso dell’alleanza Verdi-Sinistra italiana?
«Io mi sono assentato mentre Conte ha fatto i governi da Salvini, che non mi pare un esponente di sinistra, a tutti gli altri che trovava sulla sua strada. Ha governato davvero con tutti. I 5 stelle sono parte del sistema. Quando io ho smesso di fare il parlamentare era la fase in cui il Movimento 5 stelle aveva due riferimenti internazionali: uno era Donald Trump e l’altro, anche se con meno trasporto, era la Russia. Ad occhio, non due riferimenti della sinistra democratica».
Reddito di cittadinanza. Va migliorato?
«Andrebbe reso più serio. Ciò che manca fin da quando è stato introdotto è la parte sulle politiche attive. Bisognerebbe, dunque, dare la possibilità non solo di percepire un assegno, ma davvero di essere favoriti nella ricerca di un lavoro. Ci vuole maggiore rigore da questo punto di vista. E da quello che si risparmia con il rigore, investimenti per creare altre opportunità di lavoro. Altrimenti il reddito di cittadinanza diventa un sussidio, peraltro legittimo, ma il suo vero obiettivo dovrebbe essere quello di riportare le persone a un’occupazione piena».
Civati, lei è diventato un fenomeno social, ecosistema dove moltissimi giovani la riconoscono come uno degli ultimi uomini di sinistra, oltre che come “Jedi della politica italiana” e altri meme che impazzano su decine di pagine, penso a “Sdraiati per Civati”. A parte l’ironia, dove crede che abbia fallito il centrosinistra italiano nel dialogo con i giovani?
«Noi da anni parliamo di salario minimo e ho l’impressione che adesso hanno iniziato a farlo tutti. Quello ad esempio era un modo per parlare con i giovani. Da anni parliamo di temi che riguardano le libertà personali e che incontrano sempre grande resistenza, non solo a destra nel nostro Paese. Penso alle minoranze, alla questione gigantesca della cannabis, che viene spesso ridimensionata e banalizzata. Ci sono tanti argomenti, lavoro, riconoscimento del ruolo attivo nella società, lo stesso reddito di cittadinanza che io cambierei ma non abolirei. Sono tutti elementi che avrebbero consentito un migliore rapporto con i giovani. C’è stata l’incapacità di una classe dirigente parecchio anziana, spesso anche nell’uso del linguaggio oltre che nella scelta degli argomenti. Quanto tempo ci abbiamo messo per affrontare il tema del clima? Tema interpretato da giovanissimi e sul quale la destra si espone con grande stupidità, parlando di “Gretini”, però anche la sinistra in Italia ha dimenticato questo tema».
Il Pd di Enrico Letta ha difeso strenuamente quella che viene definita “agenda Draghi”, un’agenda che ha previsto, ad esempio, sostegno militare quasi incondizionato all’Ucraina, che guarda al rigassificatore di Piombino come una “questione di sicurezza nazionale”. Verdi e Sinistra italiana sono di posizioni diametralmente opposte.
«Siamo travolti da una serie di emergenze. Parlando di crisi energetica, quello che ricordiamo tutti i giorni è che la strategia deve portare verso le rinnovabili, che l’energia da fonti fossili non è la soluzione ma solo una sorta di tampone per affrontare le prossime settimane, mesi. Ci sono mille campi di ricerca nel settore delle rinnovabili sui quali dobbiamo investire tutto: non è soltanto un fastidio verso il ricorso a fonti diciamo più tradizionali, ma è un’urgenza di programmare, nei prossimi anni, investimenti cospicui, diciamo un punto di Pil per andare non verso una transizione lenta e paludata, ma per diventare tra i Paesi del mondo più avanzati nella produzione di energia da fonti rinnovabili».
Lei è candidato nella lista di Verdi e Sinistra Italiana, il cui segretario Fratoianni si è dichiarato contrario all’adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, all’invio delle armi all’Ucraina. Qual è la sua posizione su questi due aspetti che riguardano l’aggressione della Russia?
«Sono per una forma di pacifismo molto realistico. Io non se dalla guerra in Ucraina ne usciremo continuando a inviare armi, con un’escalation che per altro si è già trasformata in una palude, in una sindrome afghana. Io non sopporto la Russia di Vladimir Putin da tempo e non ho alcun dubbio da che lato dello schieramento stare. Sono totalmente solidale con gli ucraini. Mi chiedo soltanto se quella delle armi sia l’unica strada. Come per i rigassificatori per contrastare l’emergenza energetica, noi possiamo scegliere quella che ci sembra la strada più immediata, nel caso della guerra quella delle armi. Tuttavia, mi domando se questo è il modo per uscirne. Lo stesso allargamento della Nato e le scelte fatte per favorirlo: perché quando si difende giustamente il popolo dell’Ucraina ma si dimentica il popolo curdo, è un cortocircuito che non capisco. Per agevolare la caduta del veto della Turchia si sono fatte parecchie concessioni all’espansionismo di Erdogan verso un popolo che non ha fatto niente di male, anzi che ha combattuto l’Isis. Ecco, su questi temi io sarei per una forma di riflessione che non è pavida, ma responsabile nei confronti di quelle persone che vorremmo difendere e che altrimenti sarebbero sottoposte a una guerra infinita».
L’adesione dell’Ucraina all’Unione europea dovrebbe seguire un iter più rapido rispetto alle procedure canoniche?
«È lo stesso ragionamento di prima: solo se questa adesione ci consente di immaginare un esito veloce per la fine dei combattimenti. Ad ogni modo, mi viene più facile immaginare questo percorso rispetto a quello dell’allargamento dell’alleanza militare della Nato, perché preferirei porre maggiore enfasi sulle istituzioni democratiche e più che sugli schieramenti militari».
Qual è il suo auspicio per la prossima legislatura, se sarete al governo? Lei ha lasciato in dissenso il Partito Democratico sette anni fa. Quali errori imputa al centrosinistra nel suo recente passato e che non dovrà ripetere?
«Intanto le elezioni si possono ancora vincere perché non sono ancora state celebrate. Devo dire che in questi anni, mentre ho fatto altro, ho lavorato come editore, mi sembra che il Partito Democratico abbia avuto una certa evoluzione. Ecco, soprattutto nell’ultimo periodo: a volte quando sento Enrico Letta mi sembra di sentire quello che dicevo io nel 2013 nel 2014. Ha attaccato il Jobs Act, e io fui uno dei pochi parlamentari a votare contro. Sul clima, come le dicevo, c’è stata una lenta progressione. Sulle questioni del salario minimo, dopo averci snobbato per un anno, pare che l’abbiano inserito nel programma elettorale. L’ho sentito parlare addirittura di matrimonio egualitario e di cannabis. Secondo me Letta il 25 settembre voterà la lista di Verdi e Sinistra italiana».
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