Il giallo dell’emendamento sul tetto dei 240 mila euro, parla l’autore della prima versione: «Io non c’entro nulla, è opera dei vertici dello Stato» – L’intervista
In un decreto ribattezzato «Dl aiuti» vengono inseriti emendamenti che con il sostegno ai cittadini non c’entrano nulla. È quantomeno inopportuno. L’operazione, fatta di soppiatto mentre il dibattito pubblico e la campagna elettorale sono imperniati sulla difficoltà di imprese e famiglie nel pagamento delle bollette, punta a rimuovere il tetto dei 240 mila euro per gli stipendi dei più alti dirigenti pubblici. Un tentativo maldestro – anticipato da Open prima che l’emendamento arrivasse in Aula a Palazzo Madama -, che ha fatto scoppiare lo scandalo e il conseguente rimpallo di responsabilità tra partiti, governo e presunte manine che operano nell’ombra della pubblica amministrazione. Nelle varie ricostruzioni della vicenda, è spuntato il nome di Marco Perosino, senatore di Forza Italia: hanno provato ad attribuire a lui la stesura dell’emendamento. L’abbiamo intervistato e ha confermato di «non c’entrare nulla» con il testo oggetto della polemica e dal quale Palazzo Chigi ha preso le distanze.
Senatore, la prima versione dell’emendamento numero 41 al dl Aiuti portava la sua firma.
«Vero, ma il testo che avevo scritto prevedeva semplicemente l’equiparazione del trattamento economico dei vertici delle forze di Polizia con quello dei vertici della Guardia di finanza e dei Carabinieri. Riguardava appena due, tre persone che ricoprono incarichi di primo livello nella polizia».
Perché si era fatto promotore di questo emendamento?
«Ritengo giusto che i vertici delle forze di Polizia abbiano il titolo di essere equiparati a chi ha gli stessi gradi nell’arma dei Carabinieri, nella Guardia di finanza. D’altronde, questa questione era già stata esaminata nella finanziaria dello scorso anno. C’erano le coperture economiche necessarie, ma poi il tema si è arenato. Allora un conto è riconoscere ai vertici della Polizia il diritto di essere uguali ai vertici delle altre forze dell’ordine, un conto è derogare al tetto dei 240 mila euro per i vertici di tutti i ministeri e della presidenza del Consiglio. Questo non va bene, non sarei stato d’accordo prima, figuriamoci in questo periodo di crisi».
A quel punto, cosa succede al suo emendamento?
«Ho dovuto ritirarlo su invito del governo. Il mio emendamento rientrava in una lista di emendamenti al Dl aiuti ritenuti non idonei. Invito tutti a visionare gli atti del Senato: alle ore 15 del 12 settembre il mio emendamento non c’è più».
Perché è stato associato, allora, all’emendamento che ieri, 13 settembre, è stato approvato dall’Aula del Senato?
«Succede che nelle commissioni riunite di Bilancio e Finanze arriva un nuovo emendamento, con lo stesso numero del mio. La discussione, però, era tutta incentrata sul Superbonus. Ognuno portava le sue ragioni, c’era fretta di trovare un accordo. Mentre si parlava d’altro, qualcuno ha voluto inserire un emendamento che prevede lo sfondamento del tetto dei 240 mila euro per una pletora di dirigenti pubblici. Le commissioni riunite non hanno materialmente avuto né tempo né modo di analizzare tutti gli emendamenti al Dl aiuti. Così, l’emendamento in questione è arrivato in Aula con la firma della quinta e della sesta commissione, sia chiaro, non con la mia firma. Non posso essere accusato di nulla, visto che il mio emendamento era stato ritirato giorni prima, ripeto, su richiesta del governo».
I senatori di Forza Italia, in Aula, hanno dato voto a favore anche per questa nuova formula dell’emendamento.
«Forza Italia non c’entra nulla, assolutamente. Probabilmente nessuno ha approfondito il testo che stavamo votando, arrivato in Aula con parere favorevole del governo».
Forza Italia non c’entra nemmeno con la prima stesura dell’emendamento, quello che invece aveva la sua firma?
«Come da prassi, quell’emendamento, che non era di certo folle, l’ho presentato perché mi è stato chiesto».
Per la sua scrittura, si era confrontato con il senatore del Partito democratico, Luciano D’Alfonso, presidente della sesta commissione?
«È D’Alfonso che si è confrontato con me».
Mario Draghi ha fatto sapere che farà di tutto per bloccare l’emendamento dei 240 mila euro. Secondo lei è verosimile che il presidente del Consiglio non ne sapesse nulla?
«A Draghi viene attribuita una certa irritazione dopo che è scoppiato lo scandalo. Ma la verità è che, secondo me, Draghi era a conoscenza dell’emendamento. A volte si tende a scaricare le responsabilità delle scelte sbagliate del governo sui parlamentari, ma spesso c’entriamo davvero poco. In questo caso, poi, basta guardare gli atti. Il testo arrivato in commissione era stato elaborato dal ministero dell’Economia. Ma poi, davvero si può pensare che un singolo senatore, su sua iniziativa personale, possa far approvare dall’Aula un suo emendamento? È ovvio che ci sia qualcuno dietro questa storia. Aveva ragione Andreotti, purché se ne parli…».
Chi c’è dietro, allora?
«I ministeriali, gli alti vertici dello Stato aspettano sempre queste occasioni di fretta e caos per incidere. Protetti, sicuramente, anche da una parte della politica. Io non ho rapporti con questi mondi qui. L’unica certezza in questa brutta faccenda è che il mio nome non c’è sull’emendamento dei 240 mila euro».