Minaccia di guerra nucleare: dai bunker alle pillole di iodio, cosa fare e dove rifugiarsi
La nuova minaccia di Vladimir Putin ha risvegliato i timori di una guerra nucleare. Nel suo ultimo discorso alla nazione il presidente russo non solo ha annunciato una mobilitazione militare parziale con il richiamo di tutte le riserve, ma ha rinnovato la possibilità per Mosca di ricorrere all’utilizzo delle armi nucleari. Mentre il capo del Cremlino assicura per il futuro prossimo di utilizzare «certamente tutti i mezzi a disposizione» contro l’Occidente, il resto del mondo trema all’idea che la Russia possa mettere mano agli armamenti atomici. Si tratta di armi di distruzione di massa la cui minaccia di utilizzo continua a pesare su milioni di persone che in queste ore si interrogano su un’ipotetica possibilità di salvezza. Da qui la ricerca di bunker antiatomici dove eventualmente rifugiarsi, la corsa allo iodio, le ricerche sul web per capire i migliori passi da fare, i piani dei governi per prepararsi al possibile disastro.
Quali sono i livelli di gravità
La notizia è che da una guerra nucleare è possibile salvarsi, a patto che si seguano linee guida fondamentali. Uno studio pubblicato su Royal Society ha dimostrato che nel caso in cui su una grande città fosse sganciata una bomba «a bassa resa» (tra 0,1 e 10 chilotoni: meno di Hiroshima che era circa 15 chilotoni) si potrebbero salvare fino a 100.000 persone, a condizione che tutti seguano le linee guida. In Italia non ci sono centrali nucleari ma il nostro Paese è ugualmente dotato di un Piano Nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche: sarà questo documento a guidare le azioni di autorità e soccorsi in caso di allarme. Il Piano della Protezione Civile individua intanto tre livelli di gravità, dettata dalla distanza dell’esplosione dal territorio italiano:
- entro i 200 km dai confini
- tra i 200 e i 1.000 km dai confini
- oltre i 1000 km
Nel primo caso scatterebbe l’invito alla popolazione a chiudersi a casa (non oltre i due giorni) e la iodioprofilassi per ragazzi, giovani adulti e donne incinte. In una distanza tra i 200 e i 1.000km sarebbero invece previsti interventi indiretti sul territorio, controlli su verdura a foglia larga e frutta, latte, sulla filiera agroalimentare e sulle importazioni dall’estero. Oltre i 1.000 km gli interventi si limiterebbero ai controlli sui prodotti in arrivo dall’estero e sul rientro in sicurezza di cittadini italiani che dovessero essere stati esposti alle radiazioni.
Da chi arriverà l’allarme
Le convenzioni stipulate dalla IAEA con i vari Stati prevedono che ogni nazione designi le Autorità competenti per gli incidenti interni ed esterni e un Punto di allarme per ricevere le comunicazioni urgenti. Per l’Italia toccherà al Dipartimento della Protezione Civile (DPC) e all’Ispettorato Nazionale per la Sicurezza Nucleare e la Radioprotezione (ISIN). Esistono poi altri due sistemi, uno comunitario e l’altro internazionale, che vengo allertati in caso di emergenza e che avranno il compito di comunicare lo stato di preallarme: il Centro emergenze nucleari (Cen), con una sala operativa H24 per il coordinamento dell’emergenza e la valutazione dell’evento e il Cevad che interverrà per controllare nell’immediato i livelli di radioattività nell’ambiente e i conseguenti livelli di esposizione: dati fondamentali per la diffusione delle giuste informazioni alla popolazione. A quel punto sarà scattato anche il sistema europeo di pronta notifica. In caso di emergenza radiologica e nucleare l’Ue ha sviluppato e adottato un sistema di scambio rapido di informazioni chiamato European Community Urgent Radiological Information Exchange. Un piano di allerta rapida che coinvolgerà anche gli alimenti e i mangimi (Rapid Alert System for Food and Feed, RASFF): la rete comprende tutti gli Stati membri Ue e avrà il compito di notificare in tempo reale i rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi al consumo di cibo e mangimi. Le informazioni saranno comunicate e condivise tra gli Stati attraverso la piattaforma web RASFF.
Le prime azioni dopo l’allarme
La prima misura da prendere dopo la comunicazione dell’allarme è quella di ripararsi al chiuso: l’indicazione è di restare nelle abitazioni con porte e finestre serrate, con i sistemi di ventilazioni o condizionamento spenti. Il tutto per un limite massimo di tempo posto ragionevolmente a due giorni. L’obiettivo della misura è evitare l’inalazione e l’irraggiamento esterno derivanti dal passaggio della nube radioattiva e dalla ri-sospensione del materiale radioattivo depositato al suolo. L’efficacia della misura dipende dal tipo di edifici all’interno dei quali ci si ripara e e dalla durata del rilascio (più è breve la durata, più efficace è la misura). Durante il periodo di riparo al chiuso, tutta la popolazione è invitata a mantenersi informata sulla situazione radiologica in atto, sui comportamenti e le azioni da adottare, sintonizzandosi su stazioni radio e canali televisivi, o accedendo a siti web istituzionali. Nelle aree più interessate, saranno anche attuati in via precauzionale il blocco di alimenti e mangimi prodotti localmente (verdure, frutta, carne, latte) e il blocco della circolazione stradale. Dalla Protezione Civile, delle Prefetture, delle Regioni e del Ministero della Salute si riceveranno comunicazioni sul tempo di inizio della misura del riparo al chiuso, aggiornamenti sulla situazione d’allarme anche con l’istituzione di un numero verde, istruzioni specifiche per le scuole e su come poter garantire i bisogni primari a soggetti fragili e con disabilità.
La corsa al bunker. I rifugi presenti in Italia
Negli ultimi mesi il mercato dei bunker ha subìto un forte rialzo, sintomo di un panico diffuso che le rinnovate minacce russe non accennano ad attenuare. Se ne possono trovare di tutti i tipi, da quelli più piccoli, a vere e proprie case di lusso nel sottosuolo. Una soluzione per persone molto facoltose che non rappresentano la maggioranza della popolazione a rischio. In Italia esistono rifugi storici costruiti durante il corso dei decenni per famiglie reali, politici e dittatori. Lazio e Campania sono i due territori più forniti: dal rifugio antiaereo di Villa Ada a Roma risalente al 1940 all’ultimo bunker del Duce nel cuore della Capitale sotto Palazzo Venezia, dove abitava Benito Mussolini, con 80 metri quadrati di spazio e mura in cemento armato spesse più di 2 metri. Un secondo decisamente più grande con 475 metri quadri è nel parco di Villa Torlonia, sempre a Roma, a quota 33 metri sotto il livello del mare. Spostandosi a 45 km dalla capitale.
Lazio, Campania, Piemonte
A Napoli poi si contano diversi rifugi antiaerei che nella città partenopea sono stati quasi tutti ricavati in strutture preesistenti. I due più grandi di San Gregorio Armeno e dei Quartieri Spagnoli erano nati come antichi acquedotti di epoca romana e vennero poi utilizzati in epoca contemporanea come rifugi antiaerei. Salendo al Nord troviamo i bunker Breda, rifugi antiaerei del 1942 utilizzati dalla Sezione Aeronautica della Breda e posti in tutto il settore est del Parco Nord di Milano. Sempre nel capoluogo lombardo si conta il Rifugio 87 in via Bodio, e altri ripostigli nei pressi della Stazione Centrale in via Gioia e in via Cesare Battisti. Un altro famoso bunker si trova a Torino, sotto piazza Risorgimento: può ospitare fino a 1.150 persone. Salendo ancora più su, nell’Alta Val di Non del Trentino si incontrerà l’enorme Gamper Bunker, nel cuore del monte Mais, fatto costruire da Mussolini nel 1940 per prevenire l’invasione tedesca.
Le pillole di iodio
Un’altra importante fase dell’emergenza sarà quella della ditribuzione di pillole allo iodio. Tra le sostanze radioattive che possono essere emesse in caso di grave incidente nucleare c’è lo Iodio 131, 131I. Successe anche a Chernobyl nel 1986 quando vennero rilasciati nell’atmosfera isotopi radioattivi, fra cui lo iodio 131: assorbito dalla tiroide comporta un forte rischio dell’insorgenza di tumori. La profilassi consigliata dai medici e prevista in termini di distribuzione anche dallo stesso Piano del governo italiano è quindi quella di intervenire con pillole allo iodiodi (chiaramente non radioattivo) e più precisamente con comprese di ioduro di potassio. Serviranno a impedire l’assorbimento di quello radioattivo da parte della tiroide e a prevenire quindi la malattia. «Il rischio di induzione di carcinoma tiroideo da iodio radioattivo è fortemente dipendente dall’età al momento dell’esposizione; più precisamente la classe di età 0-17 anni risulta quella a maggior rischio di effetti dannosi. Tale rischio si riduce sensibilmente negli adulti e tende ad annullarsi oltre i 40 anni di età», spiega il Piano governativo. E ancora: «La iodoprofilassi è una efficace misura di intervento per la protezione della tiroide, inibendo o riducendo l’assorbimento di iodio radioattivo, nei gruppi sensibili della popolazione, per prevenire gli effetti deterministici (morte delle cellule, pesanti disfunzioni cellulari, ecc.) e stocastici (neoplasie, malattie ereditarie, mutazione delle cellule somatiche o di quelle riproduttive, ecc.)». Il periodo ottimale di somministrazione di iodio consigliato dagli esperti è meno di 24 ore prima e fino a due ore dopo l’inizio previsto dell’esposizione. «Risulta ancora ragionevole somministrare lo iodio stabile fino a otto ore dopo l’inizio stimato dell’esposizione».
La corsa allo iodio e i rischi di un’assunzione arbitraria
In Paesi come il Belgio, la Francia e la Svizzera le pillole di iodio sono diventate negli ultimi mesi uno dei beni a cui ambìre ad ogni costo. La richiesta nelle farmacie è salita alle stelle, in un clima di psicosi pericoloso, tra le altre cose, anche per la salute stessa. «L’assunzione di iodio in maniera scriteriata può comportare danni gravi alla salute, in particolare proprio alla tiroide», aveva spiegato poche settimane fa il presidente della Federazione degli Ordini dei farmacisti italiani Andrea Mandelli. «In Italia la corsa non è cosi forsennata come all’estero ma l’uso indiscriminato e inconsapevole di questi prodotti è da sconsigliare, sia a scopo preventivo, per il quale non vi sono evidenze di efficacia, sia per finalità terapeutiche», continua l’esperto. Gli esperti spiegano che in Italia non esiste alcuna indicazione terapeutica per l’uso dello ioduro di potassio tanto che le pasticche di iodio sono preparazioni che i farmacisti fanno su richiesta. Situazione differente invece all’estero: in Europa, nei Paesi dove ci sono delle centrali nucleari come Belgio e Olanda, i cittadini hanno a disposizione un sistema di alert collegato ai telefoni cellulari e al bisogno vengono invitati a ritirare gratuitamente in farmacia compresse di iodio e ad assumerle.
Quando l’emergenza può dirsi terminata?
Dopo aver fornito indicazioni su tutti gli stadi dell’allarme, il Piano anti nucleare stabilisce il segnale anche per la fine dell’emergenza. La cessazione della minaccia si comunicherà alla popolazione attraverso il sito Internet e i canali social del Dipartimento insieme a tutti i media e al Contact Center del Dipartimento.
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