Saman Abbas, l’indiscrezione sui genitori: «Protetti nel loro villaggio in Pakistan anche dalla polizia: hanno una nuova identità»
Emergono ancora nuovi dettagli sul caso di Saman Abbas, la diciottenne pachistana uccisa dallo zio e dai cugini con la complicità dei genitori nella notte del 30 aprile 2021. Soprattutto del padre, considerato dalla procura di Reggio Emilia il mandante del delitto che avrebbe commissionato, come rivelerebbero le intercettazioni (e le dichiarazioni in carcere dei tre familiari arrestati, Danish, Ijaz e Nomanhulaq), per tutelare la sua dignità e il suo onore, compromessi dal rifiuto della figlia di un matrimonio combinato con un lontano cugino e dalla sua relazione con un altro ragazzo, da lui non approvato. Secondo alcuni connazionali appena rientrati a Novellara, il piccolo comune in provincia di Reggio Emilia dove la famiglia Abbas viveva, il padre Shabbar e la madre Nazia, volati in Pakistan il giorno dopo l’uccisione, si troverebbero in un villaggio rurale del Punjab pakistano, nella casa di famiglia. Lo scrive il Corriere della Sera.
La resistenza del Pakistan
Lì abiterebbero senza molte preoccupazioni, protetti da una nuova identità e da una rete di conoscenze, anche tra la polizia locale. Inutili i mandati di cattura internazionali che pendono sulle loro teste, come la richiesta di estradizione firmata un anno fa dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia. Il Pakistan, fa sapere la Farnesina, non ha mai risposto. Le autorità di Islamabad hanno istituito una Commissione per deliberare sul caso, che però ancora non si è pronunciata. «Tutto tace…non vogliono prenderli», dicono da Roma, «stiamo facendo di tutto perché vengano individuati ed estradati», assicurano in procura a Reggio Emilia. Nel frattempo, è entrata in azione l’Interpol. «Io non li ho più sentiti e per quanto mi riguarda non so nemmeno se sono a conoscenza del procedimento in corso, visto che non hanno mai ricevuto una notifica. In ogni caso faccio notare che l’Italia sta chiedendo di estradare due cittadini pakistani per metterli in galera in attesa di giudizio. Voglio dire che non mi stupisce la loro resistenza», è insorto il loro difensore, l’avvocato Simone Servillo.
Il delitto d’onore
Alla difesa ha replicato l’avvocato Claudio Falleti, che assiste Saquib, il fidanzato di Saman: «Io penso invece che il Pakistan dovrebbe fare molto di più, dalle intercettazioni emerge con certezza il coinvolgimento dei genitori in questa vicenda». Anche il presidente della Federazione pakistana in Italia, Raza Asif, ha commentato: «Alla base dell’uccisione di Saman c’è una mentalità retrograda che riguarda tutta la sua famiglia. Se il padre fosse veramente colpevole, auspico per lui una pena severa». Il problema di fondo è proprio nel valore che ancora ricopre in Pakistan, e ancora di più nel Punjab, il delitto d’onore. Diventato reato nel 2016, ancora sopravvive con forza nelle aree periferiche e rurali. La chiamano kala kili, ed è la legge non scritta che punisce le donne colpevoli di aver disonorato la famiglia.
«La tradizione arcaica del delitto d’onore, vecchia migliaia di anni, è stata esportata nei luoghi di emigrazione. Sono considerati inaccettabili i rapporti sessuali prematrimoniali o extraconiugali o rapporti con ragazzi non approvati dalla famiglia», scrivono nell’informativa conclusiva gli uomini del reparto investigativo di Reggio Emilia, che hanno scavato a fondo alla questione incrociando anche i dossier dei Paesi occidentali nei quali la comunità pakistana è più numerosa. «Le donne possono essere anche fatte a pezzi con un’ascia, sfregiate con l’acido, uccise con armi da fuoco. E poi seppellite o gettate nel fiume», si legge. E Saman pare sia stata strangolata, qualcuno dice fatta a pezzi e buttata nel Po.
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