Il generale Tricarico: «Putin pronto a usare l’atomica, sarebbe la fine: come 100 Torri gemelle»
Leonardo Tricarico, presidente della Fondazione Icsa, ex capo di Stato maggiore dell’Aeronautica e consigliere militare di tre premier, dice oggi in un’intervista a Il Messaggero che la minaccia atomica di Vladimir Putin è concreta. E l’Occidente rischia un disastro pari a quello di cento Torri Gemelle. «I segnali ci sono e c’è da temerlo. L’Alleanza deve mettere nel conto anche l’ipotesi peggiore. L’opzione nucleare. Il siluro Poseidon avrebbe effetti devastanti ma limitati, per quanto su aree estese. A quel punto, la risposta della Nato dovrebbe essere pari o maggiore, non sopravvivrebbe più nessuno, sarebbe la fine. Come cento Torri gemelle». Per Tricarico oggi «assistiamo a conferme della possibilità che Putin ricorra all’arma più spaventosa, il siluro in grado di provocare lo tsunami radioattivo, con effetti terrificanti». Mentre il treno atomico russo gli pare di più «il tassello di un’esercitazione, come ce ne sono nella Nato. Piuttosto, va sottolineato che in aderenza allo spirito di alleanza difensiva, la Nato non prevede il “first strike”, l’attacco nucleare per prima. Mentre la risposta a un first strike russo rimane imperscrutabile, anche per accrescere il senso di deterrenza.
Biden e il segretario generale Nato Stoltenberg non dicono come reagirà l’Alleanza. La dottrina russa, invece, prevede l’arma tattica se quelle tradizionali non riescono a neutralizzare qualche obiettivo ostico». Ma il generale spiega anche che «la Nato non può rispondere a un attacco contro l’Ucraina, che non è membro dell’Alleanza. Bisogna che decida il Comitato. Se il rischio è di tutti e non si limita a danni economici ma può essere gigantesco, non può un solo Stato imporre come reagire, ci vuole concertazione. In condizioni così gravi di pericolo nessuno si azzardi ad agire in solitudine». Infine, per Tricarico comincia a essere necessaria una riflessione sulla strategia dell’Occidente: «Dobbiamo continuare a mandare armi senza interrogarci su che fine faremo? Non si tratta di darla vinta a Putin, ma di discutere su una possibile via di uscita, senza lasciare tutto in mano ai “cani che ringhiano” e vogliono vederlo nella polvere».
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