Piantedosi, il pull factor e la condanna a Strasburgo: perché le frasi del ministro dell’interno sui migranti sono fortemente opinabili
Il neoministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha cominciato la sua carriera al Viminale firmando una direttiva contro due navi delle Ong che salvano i migranti in mare. Intanto un articolo de La Stampa a firma di Francesco Grignetti gli attribuisce due affermazioni che riguardano da vicino il dibattito sui salvataggio di questi anni. La prima affermazione spiega i motivi dell’ordinanza del Viminale: «Ho voluto battere un colpo per riaffermare un principio: la responsabilità degli Stati di bandiera di una nave. Ero vicecapo di gabinetto ai tempi di Maroni e fummo condannati dalla Corte di Strasburgo per illecito respingimento. Il famoso caso Hirsi. L’intera sentenza ruotava attorno al principio che se un migrante sale su una nave in acque internazionali, tutto il resto è responsabilità del Paese di bandiera. Questo principio vale solo per l’Italia e non per Germania e Norvegia?».
Le navi delle Ong “attirano” migranti?
La seconda affermazione invece è questa: «Peraltro gli sbarchi non dipendono solo dalle Ong.. .Però è anche vero, pur se negano, che queste navi umanitarie sono un fattore di attrazione per i migranti, il cosiddetto “pull factor”. In Europa lo sanno tutti; se ne parlava apertamente quando andavo alle riunioni di Bruxelles da vicecapo della polizia». E partiamo proprio da qui. È vero che la destra, soprattutto quella più estrema, ha accusato per anni le navi delle organizzazioni non governative di “attirare i migranti” rimanendo nelle acque internazionali. Ma è anche vero che il primo studio sistemico sul tema, condotto da due ricercatori italiani per lo European University Institute, ha escluso l’esistenza del “pull factor“. Eugenio Cusumano e Matteo Villa hanno spiegato all’epoca che le operazioni SAR non governative non sono correlate al numero di migranti che lasciano la Libia via mare. «Piuttosto che essere influenzati dall’effetto pull delle operazioni SAR (search and rescue, ricerca e soccorso) delle Ong, la nostra analisi suggerisce che le partenze dalla Libia sono state principalmente modellate dalle condizioni meteorologiche e dalle politiche di “contenimento a terra” di Marco Minniti, che hanno svolto un ruolo chiave nel far cadere il numero degli arrivi irregolari da luglio 2017», si legge nel report datato 2019. E ancora: «Esiste una forte correlazione tra le partenze dei migranti e le condizioni meteorologiche lungo la costa di Tripoli, nonché l’instabilità politica molto elevata della Libia nell’aprile 2019».
Cosa ha detto la Corte di Strasburgo sull’Italia
Piantedosi cita poi la sentenza Hirsi che vide la condanna dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni. L’episodio risale al 6 maggio 2009, quando a 35 miglia a sud di Lampedusa in acque internazionali le autorità italiane intercettano una nave con a bordo circa 200 persone. Soprattutto somali ed eritrei, tra cui bambini e donne in stato di gravidanza. I migranti vennero portati su imbarcazioni italiane e riaccompagnati a Tripoli contro la loro volontà. Non vennero identificati né ascoltati né preventivamente informati sulla loro destinazione. E quindi non ebbero alcuna possibilità di presentare la richiesta di protezione internazionale. E la Corte di Strasburgo ha obiettato che quelle persone riportate in Libia dopo essere state soccorse avevano diritto a chiedere asilo. Un diritto che l’Italia ha ignorato. La responsabilità del paese di bandiera di cui parla Piantedosi non riguarda il trasbordo nel primo porto sicuro, ma il respingimento vero e proprio. L’Italia non poteva rinviare forzatamente le persone in paesi dove avrebbero potuto essere a rischio di persecuzione o di subire un danno grave.
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