Vuoto sociale, poche risorse e scarsa prevenzione: cosa accomuna gli omicidi di Como e Assago – Le interviste
«Entrambi avevano il desiderio di rientrare nella società, ma non ci sono riusciti o è stato loro impedito». È questo che accomuna i due recenti casi di cronaca lombardi, avvenuti a Como e Assago, secondo la psicanalista Laura Pigozzi, autrice di numerosi saggi tra cui Troppa famiglia fa male (Rizzoli). Il brigadiere Antonio Milia della stazione di Asso (Como) ieri, 27 ottobre, ha sparato contro il suo comandante e l’ha ucciso. L’aggressore era da poco rientrato in servizio dopo un percorso di cura psichiatrica all’ospedale Sant’Anna e – secondo le informazioni disponibili al momento – il movente dell’omicidio sarebbe stato il rifiuto del comandante di farlo rientrare al lavoro. Ad Assago, invece – sempre ieri – il 46enne Andrea Tombolini è entrato nel supermercato Carrefour del centro commerciale Milanofiori, ha afferrato un coltello che si trovava in esposizione sugli scaffali, ha ucciso un dipendente e ha ferito 5 persone. Due casi all’apparenza distanti tra loro, ma che secondo gli esperti avrebbero elementi in comune in grado di tratteggiare alcune caratteristiche della nostra società disfunzionale su alcuni fronti.
Cosa c’è dietro? Un grande vuoto sociale
«Pensavo di star male, di essere ammalato. Ho visto tutte quelle persone felici, che stavano bene, e ho provato invidia». Sono queste le parole dell’aggressore di Assago, Andrea Tombolini, dette al pm di Milano Paolo Storari che lo accusa di omicidio e tentato omicidio. L’uomo era disoccupato, in passato si era inferto autolesionismo, aveva sofferto di depressione, e viveva con i genitori. Un profilo e delle dichiarazioni che secondo Pigozzi non possono passare in secondo piano se si vuol comprendere il caso. «Era un hikikomori (chi decide di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, ndr)», dice la psicanalista e – citando Hannah Arendt – sottolinea: «Gli uomini sanno di non poter essere felici se la loro felicità era collocata e goduta solo nella vita privata». Nel caso di Assago, la felicità è venuta a mancare nella vita dell’aggressore ed è stata sostituita con «l’incapacità di riuscire a stare al mondo e vivere nella collettività con serenità».
Non è un caso che abbia colpito in un supermercato
Non è un caso, infatti, secondo Pigozzi, che l’aggressione sia avvenuta in un supermercato: «Potremmo dire che è il contrario della casa, è un luogo del mondo, dove tra l’altro tendono a verificarsi tanti attacchi di panico. È uno dei luoghi più ambigui: è ampio, ci sono molte persone, ma al tempo stesso è difficile incontrarsi e creare relazioni». Non si hanno ancora dettagli e informazioni sulla vita privata del brigadiere, così come dell’assalitore di Assago, pertanto gran parte degli esperti prendono le distanze dal tratteggiare analogie e analisi complete sui due casi. Quello che, però, ci tiene a sottolineare la psicanalista Pigozzi di fronte a questi due casi è che «siamo una società che chiude gli occhi di fronte alla malattia mentale e che non insegna a scuole le competenze di base del nostro funzionamento psichico. Ed è questo che poi lascia le persone a bocca aperta di fronte a questi casi».
Tanto stigma, ma poca cultura (e prevenzione)
Della stessa opinione Danila De Stefano, fondatrice e amministratrice delegata del servizio di psicologia online Unobravo. «Di fronte a questi due casi di cronaca, quello che mi stupisce realmente è lo stupore delle persone. Se queste difficoltà esistono, e facciamo drammaticamente poco per risolverle, cosa ci aspettiamo che accada se non una tragedia ogni tot?», dice la Ceo che individua diversi problemi problemi trasversali ai due casi lombardi. «Un problema comune – spiega – è la scarsa cultura psicologica. Le persone spesso non sono in grado di rendersi conto che accanto a loro si trova una persona che ha urgente bisogno di aiuto. Spesso si tende a isolare chi è più vulnerabile, a ignorarne le difficoltà, o a colpevolizzarla».
«Poche risorse alla salute mentale»
Per il vicepresidente dell’Ordine degli psicologi di Milano, Davide Baventore, è fondamentale rintracciare l’andamento del percorso di reinserimento sociale delle persone con disagio psichico: «È qui che si gioca la partita fondamentale nel rendere queste persone membri attivi della società, soddisfatte della propria qualità di vita e protagonista della loro evoluzione». E su questo De Stefano aggiunge: «Oggi moltissime persone non ricevono le cure adeguate a causa di stigma, ignoranza, disinformazione, ma anche delle scarsissime risorse allocate oggi alla salute mentale».
La situazione in Lombardia: poca capacità di prevenire
Secondo i dati aggiornati del Rapporto Salute Mentale, diffuso dal Ministero della Salute, c’è una disuguaglianza tra le regione in termini di sistemi di cura per la salute mentale degli italiani. Per quanto riguarda la Lombardia è segnalata una significativa carenza, rispetto alla media nazionale delle strutture residenziali (-6,1%): si registra una durata di trattamento molto contenuta, accompagnata da un numero di presenze e di nuove ammissioni nell’anno superiori alla media nazionale (rispettivamente +24,2% e +39,5%). I servizi, secondo le stime del rapporto, sembrano rispondere in modo adeguato alla domanda dell’utenza ma, al tempo stesso, sembrano essere meno efficaci nell’intercettare nuovi casi. Il Rapporto, infatti, osserva anche come in Lombardia ci sia un maggiore utilizzo dei Pronto Soccorso, pari al 46,1% in più rispetto alla media nazionale, ed è dunque «possibile ipotizzare, che i servizi di Salute Mentale siano meno in grado di prevenire e/o gestire sul territorio le situazioni di crisi».
L’aumento dei casi clinici negli ultimi due anni
Negli ultimi due anni, a seguito della pandemia e degli effetti delle tensioni geopolitiche internazionali, c’è stato un balzo nelle richieste di accesso alle cure psicologiche. Unobravo ha registrato un aumento sempre crescente negli ultimi anni, sia a causa degli eventi traumatici che della «necessità sempre più consapevole da parte delle persone di dover prendersi cura del proprio benessere mentale». Crescita che anche l’Ordine degli psicologi conferma. «Tutti i servizi pubblici hanno segnalato un incremento della domanda di aiuto, così come i tentativi di suicidio e le forme di autolesionismo nei più giovani». Ma la psicanalista mette in guardia dal puntare il dito contro la pandemia: «Il problema della salute mentale era già pre-esistente. La pandemia ha tirato fuori una serie di cose latenti, non le ha causate».
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