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Il Wsj: così la Russia aggira le sanzioni grazie a una raffineria in Sicilia

02 Novembre 2022 - 09:31 Redazione
Una clausola viene sfruttata da Mosca per far arrivare il petrolio negli Stati Uniti, facendolo passare come prodotto italiano

La Russia sta aggirando le sanzioni imposte dagli Stati Uniti per la guerra in Ucraina utilizzando una raffineria di Priolo, in provincia di Siracusa, di proprietà del secondo gigante del gas e del petrolio russo Lukoil. A rivelarlo è un’indagine del Wall Street Journal che ha spiegato in un video il tragitto del petrolio russo. Le sanzioni americane prevedono un’esclusione per il greggio «sostanzialmente trasformato in prodotto fatto all’estero». Una clausola che è stata sfruttata da Mosca. Infatti, una volta trasformato nella raffineria di Priolo, nonché la seconda più grande d’Italia e la quindi in Europa, il petrolio russo diventa un «prodotto italiano» per poi sbarcare negli impianti della Exxon in Texas o in New Jersey. La Lukoil ha 230 stazioni di servizio in 11 Stati degli Usa, in gran parte però di proprietà di franchising individuali americane.

«Priolo utilizza fino al 93% del greggio russo»

«Il petrolio russo sta alimentando le auto americane attraverso la scappatoia delle sanzioni», scrive il Wsj che spiega come fino la raffineria di Priolo utilizzi fino al 93% del greggio russo per produrre benzina che invia negli Stati Uniti. Prima dell’invasione in Ucraina, Lukoil sintetizzava a Priolo prodotti raffinati miscelando petrolio greggio da almeno 15 diversi Paesi. Il Wsj ha monitorato il traffico marittimo per mesi, analizzando dati, registri di spedizione e immagini satellitari, riuscendo così a ricostruire l’esatto tragitto del petrolio che parte dalla Russia, passa per l’Italia per essere raffinato e arriva alle strutture di stoccaggio americane, senza violare alcuna regola. La testata ha tentato di contattare il dipartimento del Tesoro degli Usa, deputato a supervisionare l’attuazione della sanzioni a Mosca, ma non ha ancora ricevuto chiarimenti.

Foto di copertina: Wall Street Journal

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