Cos’è lo sciame sismico dietro il terremoto delle Marche: «La terra potrebbe tremare ancora»
Dopo il terremoto di ieri mattina lo sciame sismico che ha interessato la costa pesarese non si è fermato. Secondo i dati dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), le scosse più rilevanti nelle ultime ore sono state una di magnitudo 3.5 alle 23:05 di ieri e un’altra di magnitudo 2.7 alle 00:15. Entrambe hanno avuto ipocentro compreso tra gli 8 e i 4 chilometri di profondità ed epicentro a circa 30 km da Fano (Pesaro e Urbino). E mentre il presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli parla di «allerta alta» e proseguono i sopralluoghi tecnici sulle strutture a rischio, gli esperti spiegano che la terra potrebbe tremare ancora. E che il fenomeno è identico a quello del terremoto in Emilia. Se l’epicentro fosse stato sulla terra invece che sul mare le scosse avrebbero potuto avere effetti catastrofici. Mentre lo sciame sismico andrà avanti ancora.
Le tre fasce sismotettoniche
Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei Geologi, ha spiegato ieri che non c’è nessuna correlazione tra l’evento sismico e le trivellazioni nel Mar Adriatico. Oggi in un’intervista a Il Resto del Carlino dice però che se l’evento si fosse verificato sulla terraferma avrebbe potuto causare «danni ben maggiori. La fascia costiera e marina è una delle tre zone sismo-tettoniche delle Marche. Queste faglie possono produrre terremoti di magnitudo massima stimata di 6, a differenza delle faglie appenniniche dove si possono produrre sismi fino a 7». Per il professore è probabile che arrivino altre scosse «ma non paragonabili a quella di ieri mattina».
«Ci sono tre fasce sismotettoniche: quella appenninica dove i terremoti sono più violenti, quella medio collinare dove si è arrivati a 5.5 e quella a largo della costa, dove si è arrivati a sei. Lo scuotimento qui porta a un accorciamento delle due falde che si trovano sul sistema di faglia, mentre nell’area appenninica la scossa porta a un allontanamento delle due parti. L’effetto e comunque lo stesso, come i cittadini da Ascoli a Padova hanno sperimentato. Quello avvenuto al largo delle Marche non è che uno scattino verso la tettonica delle placche che porterà, in tempi geologici, alla chiusura del mare Adriatico e all’apertura del Tirreno».
La convergenza tra due placche
Carlo Meletti, sismologo dell’Ingv, spiega invece al Corriere della Sera che non ci sono collegamenti con il terremoto di Amatrice del 2016: «Geograficamente possiamo considerarle aree vicine. Ma dal punto di vista geologico sono completamente diverse. Il sisma di Amatrice è avvenuto nell’Appennino ed era di tipo distensivo. Un fenomeno in cui la crosta si allarga, quando due placche si allontanano l’una dall’altra. In questo caso ci troviamo sui lembi più estremi dell’Appennino che avanzano al di sopra della placca adriatica. Qui il sisma è la conseguenza di un raccorciamento, una convergenza tra due placche». Secondo Meletti «non possiamo dire o prevedere se quella di ieri mattina è stata la scossa più forte. Possiamo però osservare che sembra confrontabile con quella del 1930, cui accennavo in precedenza, e che ebbe una magnitudo 5.8. Quindi è presumibile che questi siano i valori massimi».
Infine, Claudio Carabba, direttore del dipartimento terremoti dell’Ingv, sostiene in un’intervista a Repubblica che può accadere che «l’energia liberata dalle scosse di ieri attivi delle faglie vicine. Magari verso la costa. In Emilia-Romagna nel 2012 ci fu una prima scossa il 20 maggio, seguita da un terremoto altrettanto forte 9 giorni dopo. Il meccanismo sismico di allora, di tipo compressivo, è lo stesso di oggi». Secondo questo meccanismo «la placca Adriatica spinge a ovest, si incunea sotto l’Appennino, poi riemerge verso il Tirreno. Con il gps vediamo chiaramente il movimento di alcuni millimetri all’anno. In profondità temperatura e pressione fanno sì che la roccia sia duttile. Ma in superficie si formano tante faglie segmentate, una accanto all’altra, lunghe 5-6 chilometri, dall’Emilia fino ad Ancona. La loro disposizione esatta, soprattutto in mare, è difficile da determinare. Per questo facciamo molta attenzione a dove avvengono le scosse in queste ore».
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