G20, i big del mondo a Bali. Dall’Ucraina a Taiwan, ecco la posta in gioco
Dell’ultimo G20 – dodici mesi fa esatti – resta impressa nella memoria la foto-ricordo delle monetine lanciate dai leader di mezzo mondo nella Fontana di Trevi. Riuscita o meno, la trovata mediatica pareva restituire un certo mood di fondo del vertice di Roma: un prudente ottimismo per la ripresa dell’economa globale dopo il biennio nero del Covid-19, condita dalla fiducia in una cooperazione multilaterale possibile, quanto meno sulla lotta a pandemie e cambiamento climatico. E’ passato un anno, ma pare un’altra epoca. E non solo perché molti dei protagonisti – da Mario Draghi ad Angela Merkel a Boris Johnson – hanno nel frattempo ceduto il passo. Il G20 che si apre domani sull’isola indonesiana di Bali è chiamato a centrare un obiettivo molto più basilare e al tempo stesso molto più ambizioso: fermare i vagoni impazziti che dall’inizio del 2022 rischiano di far deragliare il treno globale verso una vera e propria terza guerra mondiale (copyright: Papa Francesco). Primo fra tutti, naturalmente, quello del conflitto russo-ucraino. Missione possibile?
Chi, come e quando
Quello che si svolge a Bali martedì 15 e mercoledì 16 novembre sarà il vertice internazionale a più alta concentrazione di leader dall’inizio della pandemia. Da Joe Biden a Xi Jinping, da Emmanuel Macron a Olaf Scholz, da Narendra Modi a Recep Tayyip Erdoğan, i capi di Stato o di governo di quasi tutti i Paesi più rilevanti del globo saranno in Indonesia. Fa eccezione, come anticipato nei giorni scorsi, la Russia, che dopo il forfait di Vladimir Putin sarà rappresentata – al pari di Messico e Brasile – dal ministro degli Esteri. A non mancare l’appuntamento saranno anche quattro leader per il quale quello di Bali rappresenterà il debutto assoluto al G20: oltre al cancelliere tedesco, la neo-premier italiana Giorgia Meloni e quello britannico Rishi Sunak, freschissimi d’incarico, e il primo ministro australiano Anthony Albanese, al timone del suo Paese da maggio. Fondato formalmente nel 1999, il “Gruppo dei 20” si riunisce regolarmente al livello dei capi di Stato e di governo a partire dal 2008, quando la crisi finanziaria globale convinse i leader occidentali ad allargare i loro vertici annuali – nel formato G8 e poi G7 dopo l’esclusione della Russia – agli altri Paesi del resto del mondo il cui peso politico e economico non era più ignorabile. La Cina in primis, ovviamente, ma anche l’India e il Brasile, la Corea del Sud e il Sudafrica, l’Arabia Saudita e il Messico – e ancora l’Australia, l’Argentina e l’Indonesia. Unico “non-Paese” ad aver pieno titolo di parteciante è l’Unione europea.
Raffreddare i fronti caldi
Mai da quando esiste il G20 era stato convocato con un fronte di guerra aperto di rilievo globale – per il peso politico investito nel conflitto da almeno una metà dei suoi membri, e per il rischio fattosi a più riprese sensibile di un ricorso ad armi sporche o nucleari. A Bali la prova del nove. Non che il G20 abbia il compito, o l’ambizione, di risolvere il conflitto russo-ucraino. Ma la compresenza di tanti leader internazionali sull’isola potrebbe favorire il ritorno al dialogo, e forse “scongelare” alcune partite fattesi nel corso dell’anno decisamente troppo calde. A indicare la via possibile sono stati alla vigilia dell’apertura formale del vertice i leader delle due grandi potenze mondiali, Usa e Cina. Nel loro primo incontro da quando il primo è entrato alla Casa Bianca, Joe Biden e Xi Jinping non hanno certo deposto del tutto le reciproche armi – mantenendo le rispettive linee su Taiwan, Xinjang, commerci e tecnologia. Ma sono tornati a dialogare, a lungo e in profondità se è vero che il faccia a faccia è durato circa tre ore, con l’obiettivo minimo di “gestire le differenze”. Possiamo riconoscere di avere valori e interessi diversi, altrimenti detto, ma evitiamo – a beneficio di tutti – lo scontro aperto, è il messaggio. Mai così forti dopo le rispettive consacrazioni politiche interne – Biden con lo scampato pericolo delle Midterm, Xi con la rielezione per un terzo quinquennio – i due leader possono permettersi di mettere da parte la retorica patriottica per concentrarsi sulla governance globale. Gli altri capi di governo, vecchi o nuovi, possono prendere appunti e seguire l’esempio.
Conclusioni pronte
Tra vertici in plenaria e incontri bilaterali, ufficiali e ufficiosi, l’agenda di Bali si prospetta densa e ricca di potenziali colpi di scena. Eppure a vertice non ancora aperto, grazie al lavoro preparatorio degli sherpa, la bozza di conclusioni del G20 sembra essere già pronta. Sulla guerra in Ucraina, secondo le anticipazioni, prevede una censura netta su ogni minaccia di ricorso alle armi nucleari – secondo quanto già concordato da Xi e Biden – ma anche un collegamento netto tra il conflitto (e i suoi responsabili…) e gli effetti “deplorevoli” sui prezzi dell’energia e dei beni alimentari in tutto il mondo. Fuori fuoco rispetto alla lente europea, i messaggi politici che emergeranno dalla “tela” di incontri del G20 andranno letti con interesse non solo per quanto riguarda il conflitto in Ucraina, ma anche per quello ancora latente su Taiwan, per quello minacciato costantemente dalla Corea del Nord – che molto interessa ai protagonisti dell’area Asia-Pacifico. Un occhio di riguardo andrà poi tenuto per gli eventuali avanzamenti che i leader sapranno (o meno) dare sulle grandi sfide globali di lungo periodo – tenendo a mente che i tre temi prioritari “ufficiali” della presidenza indonesiana sono l‘architettura sanitaria globale, le trasformazioni digitali e la transizione energetica. Su quest’ultimo punto, in particolare, gli attivisti per l’ambiente di tutto il mondo attendono dai leader – e dalle loro delegazioni tecniche tuttora impegnate alla COP27 che si chiude venerdì a Sharm El-Sheikh – nuovi impegni per far tornare la lotta al cambiamento climatico al centro dopo la grande frenata alla decarbonizzazione seguita alla guerra in Ucraina.
Non inquadrateci
Del G20 di Bali resteranno quindi lunghe righe da decriptare con attenzione, e probabilmente le foto di molti incontri bilaterali. Ma non, stando alle indicazioni della vigilia, uno scatto simbolo di tutti i partecipanti, come da tradizione. Pur in assenza di Putin, la Russia sarà infatti rappresentata dal ministro Sergej Lavrov, e sono molti, decisamente troppi, i leader a non voler comparire in scatti ufficiali al suo fianco. Almeno per questa volta, dunque, niente foto di famiglia.
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