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La riforma delle pensioni del governo Meloni: regole, età e contributi per il 2023

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Quota 41, Ape Sociale, Opzione Donna: tutte le ipotesi per la Legge di Bilancio

Una Quota 41 per l’uscita anticipata a 61 o 62 anni nel 2023. Con un numero minimo di contributi. E incentivi per chi invece decide di restare al lavoro. E una riforma organica delle pensioni in cantiere per l’anno prossimo. Queste le direttive del governo Meloni per la previdenza. Con la missione di evitare lo scalone della Legge Fornero per l’anno prossimo. E la possibile proroga di Quota 102, Ape Sociale e Opzione Donna. E mentre il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti è prudente e immagina anche soluzioni che prevedono 62 o 63 anni di età, il sottosegretario al Welfare Claudio Durigon si sbilancia: «Un anno di Quota 41 per 50 mila uscite. Ma con vincolo di età. Poi rivedremo tutte le uscite anticipate. Con un occhio a giovani, donne e mestieri usuranti».

Quota 41: come funzionerà

Secondo Durigon, che parla oggi in un’intervista a la Repubblica, per il ritiro dal lavoro nel 2023 il governo varerà una Quota 41 con 61 o 62 anni di età. Che dovrebbe costare meno di un miliardo di euro alle casse dello Stato. L’uscita interesserebbe fino a 50 mila lavoratori: «In manovra metteremo una formula che evita lo scalone di gennaio per un gruppo di lavoratori. Quota 41 ci sarà e questo è importante. Stiamo studiano i dettagli con la ministra Calderone e Giorgetti». Per il sottosegretario la formula con 61 e 62 anni e divieto di cumulo di reddito da lavoro è l’antipasto della riforma. Durigon pensa anche a una formula che prevede flessibilità in uscita per tutti. E per i giovani immagina «una “pace contributiva” per coprire i buchi del lavoro saltuario, il riscatto della laurea agevolato e la defiscalizzazione della previdenza complementare». Il nodo è se vincolarla o meno ad una determinata età del lavoratore. Sul tavolo c’è anche la possibilità di un esperimento di un anno per valutare il peso reale della misura che senza prevedere un limite minimo di età costerebbe circa 4,5-5 miliardi l’anno.

L’ipotesi di restare al lavoro con il taglio dei contributi

Poi c’è l’ipotesi di restare al lavoro anche quando sono maturati i requisiti per la pensione. In questo caso il governo immagina di fermare i contributi da versare da parte del lavoratore e del suo datore di lavoro. Una parte di quella cifra finirebbe in busta paga. Fornendo così un aumento del 10% dello stipendio esentasse. Ma qui è proprio Durigon a frenare: «La prudenza di bilancio ci induce a rinunciare». Su Quota 41 senza limiti di età spingono i sindacati. «Riteniamo che 41 anni di contribuzione debbano bastare senza penalizzazioni», ha detto ieri Domenico Proietti, segretario confederale Uil. Il pensionamento con 41 anni di contributi, spiegano i sindacati, permetterebbe di andare in pensione intorno ai 62-23 anni, «in linea con la media europea». Ma le penalizzazioni sono attualmente presenti anche negli strumenti di oggi. Come Opzione donna: nei primi nove mesi del 2022 ne hanno usufruito quasi in 18 mila ma con un taglio degli assegni che oscilla tra il 20 il 25%.

Gli strumenti per la pensione nel 2023

Con queste condizioni di partenza quindi dovrebbero esserci cinque strumenti per il ritiro dal lavoro nel 2023. Il Resto del Carlino oggi li elenca:

  • Ape Sociale: è la formula che prevede il ritiro per chi è nato fino al 1960 e che abbiano cominciato a lavorare tra 1987 e 1993. Possono utilizzarla lavori dipendenti pubblici e privati e autonomi con almeno 63 anni di età e 30 o 36 anni di contributi e che svolgono attività gravose, oppure invalidi civili, caregiver e disoccupati;
  • Canale precoci: riguarda coloro che hanno iniziato a lavorare a partire dal 1982, a condizione che abbiano lavorato per almeno 12 mesi prima dei 19 anni; oppure che svolgano attività gravose o lavori usuranti e notturni;
  • Opzione donna: sarà valida per le nate nel 1963 o nel 1964 che abbiano cominciato a lavorare nel 1988 o prima; le lavoratrici devono aver raggiunto 58 anni di età se dipendenti o 59 se autonome; ma il governo potrebbe aumentare l’età a 59 o a 60 anni;
  • Quota 102 per i nati nel 1961: in questo caso dovrebbe essere rinnovata dall’esecutivo; l’opzione prevede che i contributi siano cominciati almeno nel 1985.

Infine c’è Quota 41. La soluzione permetterebbe di lasciare il lavoro ai nati nel 1962 che hanno cominciato a lavorare nel 1982. Il punto, come abbiamo spiegato, è sempre lo stesso: uscita secca o limite di età a 61 anni. Questa potrebbe essere l’ipotesi finale. In attesa della Legge di Bilancio 2023.

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