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L’indagine sulle coop della famiglia di Soumahoro: «I ragazzi lasciati senza cibo e acqua calda, mi dicevano di comprare riso in bianco»

19 Novembre 2022 - 07:11 Redazione
soumahoro indagine cooperative
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Il deputato ribadisce la sua estraneità alla vicenda. Intanto una cuoca che lavorava per la coop racconta

Aboubakar Soumahoro si difende. Il deputato di Sinistra Italia torna a parlare dell’indagine sulle cooperative di sua moglie e di sua suocera. Lo fa con un post su Facebook in cui ringrazia per la solidarietà e minaccia querele. E con una lettera della sua avvocata Maddalena Del Re a la Repubblica. Spiega che non sa nulla di quello che fanno moglie e suocera. Ribadisce di essere estraneo alla vicenda. Sostiene anche che se i presunti maltrattamenti nei confronti di minorenni fossero veri sarebbero gravi. Ma ha fiducia nella magistratura. Mentre della vicenda ha appreso dalla stampa «nonostante il rapporto affettivo». Ma è estraneo alle storie narrate. Intanto però alcune delle lavoratrici di Consorzio Aid, una delle due cooperative, confermano le accuse dei ragazzi.

Il Consorzio Aid e Karibu

I carabinieri intanto indagano. Così come la Guardia di Finanza, che ha svolto accertamenti già in fase avanzata su segnalazioni simili. La procura di Latina ha detto che tutto si sta svolgendo «con il dovuto riserbo». «Sono state poste in essere le azioni necessarie per procedere alla riscossione dei crediti che la cooperativa vanta nei confronti della pubblica committenza, nel tentativo di soddisfare le posizioni debitorie nei confronti dei lavoratori», ha detto invece Marie Therese Mukamitsindo. Una delle due coop aveva spiegato che il ritardo nei pagamenti era dovuto alla mancata corresponsione degli importi per gli appalti da parte dei committenti. Tra i quali ci sono le istituzioni del luogo. Ma una 36enne che lavorava come cuoca e come interprete per il Consorzio Aid racconta oggi al quotidiano come si viveva nella casa che ospitava dieci minorenni di età compresa tra i 14 e i 17 anni e di cittadinanza egiziana e tunisina.

«Le condizioni erano pessime. Non compravano vestiti ai ragazzi. Quando gli ospiti sono arrivati hanno ricevuto una tuta, un pigiama, un paio di scarpe, uno di mutande e una giacca. Poi basta» E ancora: «Chiedevano coperte. I termosifoni non funzionavano bene e la caldaia spesso andava in tilt, col risultato che non c’era sempre acqua calda». La testimone parla anche del pocket money a cui i ragazzi avevano diritto: «A quei ragazzini non davano quasi mai la cosiddetta paghetta e quando sono stati trasferiti erano 4 mesi che non la vedevano». E poi: «C’erano sempre difficoltà col cibo e a volte la responsabile spendeva di tasca sua per far mangiare qui minori. Io mi dovevo arrabbiare per far portare degli alimenti. Ma la spesa non bastava». La testimone ne aveva parlato con la suocera di Soumahoro: «Doveva provvedere lei alle forniture, ma il cibo appunto era poco e non dava spiegazioni. Quando la chiamavo diceva di far mangiare ai ragazzi il riso in bianco».

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