Soumahoro, la moglie: «Da luglio non sono nella coop incriminata». Ma nelle carte ufficiali risulta membro del Cda almeno fino ad ottobre – L’inchiesta
A casa Soumahoro, i panni sporchi non si lavano in famiglia. Almeno questo è quello che ha giurato sua moglie Liliane, negli ultimi giorni al centro delle polemiche per l’indagine sulle cooperative in cui sarebbe coinvolta. Denunce di lavoratori non pagati, due dipendenti in nero, l’ombra di false fatture e condizioni indecenti nei centri di accoglienza. «Vogliono affossare Aboubakar ma lui non si è mai interessato alla coop, né al Consorzio Aid di cui fa parte Karibu. In famiglia non ne parliamo mai, io da luglio scorso non faccio più parte di Karibu», ha dichiarato in un’intervista a la Repubblica. Ma è davvero così? Gianfranco Cartisano è di diverso avviso. Si tratta di un sindacalista della UilTuc, sigla da cui sono partite le denunce che negli ultimi giorni hanno investito la suocera e la moglie del deputato di Verdi-Sinistra Italiana. Lo raggiungiamo nella sede del sindacato, a Latina. Cartisano stampa davanti ai nostri occhi una visura camerale riferita alla cooperativa Karibu, un documento estratto dal Registro imprese in data 17 ottobre 2022. Nell’elenco degli amministratori, spunta un nome inequivocabile: Liliane Murekatete, consigliera. A questo punto, le ipotesi sono due: o la moglie di Soumahoro ha effettivamente reciso ogni legame con la cooperativa la scorsa estate, e a distanza di quattro mesi non era ancora arrivata una rettifica in Camera di Commercio. Oppure le cose sono andate in maniera diversa da quanto dichiarato.
Le denunce
Lo scorso giugno, alcuni lavoratori denunciarono ritardi nei pagamenti da parte di due enti: consorzio Aid e cooperativa Karibu. «Che comunque fanno riferimento essenzialmente alle stesse persone», spiega Cartisano. I dipendenti si erano rivolti al sindacato perché lamentavano di non percepire uno stipendio da diverso tempo: 6 mesi, 18 mesi, 22 mesi. «Un totale di circa 400mila euro», ad oggi, spiega ancora Cartisano. A quel punto, il sindacato si è rivolto all’Ispettorato territoriale del lavoro di Latina. All’inizio di settembre, anche al Prefetto, «perché molti di questi progetti sono anche gestiti come committenza dalla Prefettura», prosegue Cartisano. «Dopo molti solleciti, l’incontro è avvenuto 10 giorni fa: ha portato al pagamento immediato di quattro lavoratori, perché erano gli impiegati nel progetto in capo alla Prefettura». Ma il problema non è risolto: a latere esistono ancora oltre 20 lavoratori che aspetterebbero i loro soldi. E tutto questo lasciando da parte i due lavoratori in nero, non contrattualizzati, che hanno denunciato di aver ricevuto una richiesta di fatture false per poter essere pagati. «Non abbiamo soldi da dargli perché lo Stato non ci paga in tempo. Ho i bonifici con le date e una lettera di sollecito della prefettura al comune di Roccagorga che ci deve 90 mila euro. Quello di Latina 100 mila», si era difesa Marie Therese Mukamitsindo, suocera del deputato. Ma al sindacalista, come difesa, non convince: «Il nostro impegno rimane quello che le somme mancanti vengano riconosciute ai dipendenti. I ritardi? Io credo che comunque non sia giustificabile il fatto che i costi di eventuali mancanze da parte dei Comuni vengano scaricate sui lavoratori. Altrimenti tutti quanti sarebbero fare accoglienza, integrazione: il rischio di impresa poteva essere messo in conto».
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