Caso coop, parlano i dipendenti della suocera di Soumahoro: «Lavoravamo 24 ore su 24, senza stipendio per mesi. Mai incontrato il parlamentare» – L’intervista video
Il caso scoppiato attorno alle due cooperative che vedono tra i soci e gli amministratori, tra gli altri, la moglie (Liliane Murekatete) e la suocera (Marie Thérèse Mukamitsindo) del deputato di Sinistra Italiana Aboubakar Soumahoro continua ad agitare Latina. Il clima attorno al sindacato da cui sono partite le denunce di lavoratori non pagati o in nero, la UilTucs Latina, è ancora di irrequietudine. A metà giornata, nei corridoi brulicanti di giornalisti, spunta il sindacalista Gianfranco Cartisano, a margine di un nuovo incontro tenutosi stamani con l’Ispettorato del lavoro: ci racconta che sono stati accertati stipendi arretrati per altri due dipendenti legate alla vicenda. La somma dei lavoratori che aspettano un risarcimento, dunque, «salirebbe a 24», specifica Cartisano. E tutto questo lasciando da parte i due lavoratori in nero, non contrattualizzati, che hanno denunciato di aver ricevuto una richiesta di fatture false per poter essere pagati.
Le testimonianze
Si tratta di Youssef Kadmiri e Mohamed El Motarajji, 42 e 22 anni. Kadmiri è partito dal Marocco per raggiungere l’Italia 3 anni fa, El Motarajji l’ha raggiunto oltre due anni dopo. L’esperienza che li lega alla cooperativa non offre un’immagine edificante del centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati finito nel mirino della della Procura di Latina. La loro denuncia si può riassumere così: le prestazioni rese, in entrambi i casi nell’ambito della mediazione linguistica con gli ospiti della struttura, non vengono ufficializzate in un contratto di lavoro. Al suo posto, sarebbe stato loro richiesto di produrre alcune fatture per ricevere i pagamenti dovuti: nessuno dei due possiede, però, una partita Iva. Risultato? «Sono stato pagato solo due volte in due anni», racconta Kadmiri. Eppure, dietro quel presunto lavoro autonomo si nasconderebbero, a detta loro, ritmi massacranti. «Capitava che lavorassimo 7 giorni su 7, spesso per 24 ore al giorno. Non era raro che mi fermassi a dormire nella struttura», prosegue il 42enne. Tutto ciò, puntualizzano entrambi, avveniva in centri fatiscenti, non di rado privi di acqua o elettricità, che avrebbero dovuto ospitare anche minori ma che, come già denunciato, dovevano fare i conti anche con la carenza di cibo. E i vertici della struttura, secondo le loro parole, non ignoravano la situazione. «Marie Thérèse passava a trovarci abitualmente». Ma i contatti più frequenti sarebbero intercorsi con Aline Utesi, a capo del consorzio Aid, in messaggi su WhatsApp che ci vengono mostrati. Dove a più riprese vengono richiesti i pagamenti dovuti. Senza risultato.
Una sede condivisa
Le denunce sarebbero arrivate due mesi fa, e ad esse avrebbe fatto seguito un’ammissione di colpa e delle scuse. E anche delle giustificazioni. Marie Thérèse ha raccontato, a proposito del lavoratore invitato a spedire una fattura con metà dell’importo: «Ha lavorato per noi un mese come manutentore, faceva anche da mediatore. Solo dopo abbiamo scoperto che non aveva documenti e, supponiamo, neanche il permesso di soggiorno». Sua figlia Aline è la sorella di Liliane, moglie di Soumahoro. Questo fa di lei la cognata del deputato in quota Verdi-Sinistra Italiana. Ma i due lavoratori intervistati puntualizzano: «Lui non c’entrava niente. Non l’abbiamo mai visto né conosciuto». Di completa scissione tra l’esponente politico e le strutture al centro dello scandalo, hanno più volte parlato, oltre allo stesso deputato, sua moglie e sua suocera. Un dettaglio, a questo proposito, appare dunque curioso. L’ufficio che secondo le nostre fonti ospita tutte le sedi della rete riferibile alla cooperativa Karibù condivide lo stesso indirizzo, numero, civico e androne con l’insegna della sede legale della «Lega dei braccianti», il movimento sindacale fondato nell’estate del 2020 da Aboubakar Soumahoro.
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