«Ho visto Soumahoro nelle strutture sotto inchiesta». Parla uno dei testimoni
Il trambusto mediatico scoppiato nel weekend attorno alla figura del deputato Aboubakar Soumahoro in riferimento alle due cooperative nei mirino della Procura di Latina non accenna a fermarsi. Mentre passano le ore, nuove sfumature emergono, e anche le posizioni che sembravano più decise iniziano a traballare. Tra queste, c’è quella di Youssef Kadmiri, uno dei lavoratori in nero, non contrattualizzati, che hanno denunciato di aver ricevuto una richiesta di fatture false per poter essere pagati. Avevamo parlato con lui ieri, e quando gli era stato chiesto se avesse mai visto il deputato in quota Verdi-Sinistra Italiana, la cui moglie e suocera occupavano ruoli apicali nelle due coop incriminate (Karibu e Consorzio Aid), la sua risposta era stata lapidaria: un secco «No». Ma oggi, quando torniamo a parlarci, sembra diverso, e si lascia andare a ulteriori dettagli che gettano una luce nuova sull’intera dinamica. Ribadisce di non aver mai conosciuto Soumahoro, di non aver mai avuto un contatto diretto con lui. Ma stavolta ammette che, in un paio di occasioni, lo ha visto nell’ufficio di Marie Thérèse Mukamitsindo, presidente della coop Karibu nonché madre di sua moglie. In un’altra occasione, racconta, avrebbe «portato la spesa» in una struttura che ospitava i minori. «Due volte o tre», il totale degli incontri, ma quanto basta a cambiare la narrazione di una totale estraneità rispetto al lavoro che quotidianamente veniva svolto nei centri. Una separazione a cui, peraltro, chi lavorava per le cooperative sembra non aver mai creduto.
La testimonianza di un’ex dipendente
«Dire “non ne sapevo niente” a fronte di un impegno dichiarato e chiaro nei confronti dei lavoratori mi sembra un po’ un arrampicarsi sugli specchi. Non gli fa onore», commenta un’ex dipendente di Karibu, che chiede di rimanere anonima. Anche lei, come una ventina di altri lavoratori, ha una vertenza aperta nei confronti della cooperativa. Ritardi nella corresponsione negli stipendi che «aprirono un piccolo caso già nel 2019, quando molti lavoratori cercarono di trovare supporto e assistenza da parte dei sindacati». Non sarebbe dunque stato un mistero, seppure puntualizzi: «Io Aboubakar non l’ho mai visto nei centri. Sua moglie Liliane, invece, l’ho incontrata spesso».
Il ristorante in Ruanda
La descrive come una donna notoriamente bellissima, che teneva al suo aspetto e al suo guardaroba. «Sfoggiava indumenti griffati, di un certo costo. Ma quello che una persona fa dei propri averi sono fatti suoi: quello che mi fa pensare è che io, come altri, non ho ricevuto uno stipendio per diversi mesi mentre loro avevano un tenore di vita decisamente non consono alle difficoltà economiche che lamentavano». Il riferimento non è solo alle borse. In quello stesso periodo, infatti, ci racconta che il fratello di Liliane, anche lui dipendente della Karibu, avrebbe aperto un ristorante in Ruanda: “Gusto Italiano”. «Mio figlio ha aperto quel ristorante con la moglie chiedendo un prestito in banca. È tutto tracciabile, penso lo abbia aperto forse anche prima del 2018», lo ha difeso Marie Thérèse. Movimenti che adesso sono sotto la lente della Gdf di Latina.
Parallelamente, prosegue l’intervistata, «il sovraffollamento nelle strutture creava danni strutturali importanti. Per esempio c’erano bambini che avevano bisogno di latti speciali, che le cooperative non riuscivano a dare: conosco colleghe che li compravano di tasca propria». A distanza di anni, racconta, starebbe ancora aspettando la maggior parte dei soldi a lei dovuti: «Di passare come persona avida mi pare proprio che non sia il caso: Liliane alla stampa si è presentata come vittima di un complotto ordito da parte dei lavoratori. Avrei potuto pretendere ed esigere quella somma immediatamente, ma le sono andata molto incontro, nonostante per me fosse un piccolo tesoretto». Lo scandalo è scoppiato da pochi giorni. Ma gli accertamenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro (Inl), avviati «in base alle denunce di alcuni lavoratori», sarebbero in corso «da mesi». Gli atti, adesso, sarebbero «in via di conclusione».
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