La lettera di Papa Francesco agli ucraini: «Siete un popolo nobile e martire. Il vostro dolore è il mio dolore»
A nove mesi dallo scoppio dell’invasione russa, Papa Francesco prende carta e penna e si rivolge direttamente con una lettera al popolo ucraino, per esprimere la sua vicinanza. «Io vorrei unire le mie lacrime alle vostre e dirvi che non c’è giorno in cui non vi sia vicino e non vi porti nel mio cuore e nella mia preghiera. Il vostro dolore è il mio dolore», scrive il Pontefice nella lettera. Bergoglio richiama da subito le «immagini cruente che ci sono entrate nell’anima, che fanno levare un grido: perché? Come possono degli uomini trattare così altri uomini?». Si rivolge al Paese «martoriato», e volge un pensiero oggi 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, anche a tutte le donne vittime di violenza o vedove di guerra. Ma anche ai giovani partiti al fronte, agli anziani rimasti soli, ai profughi e agli sfollati. «Un popolo forte, un popolo che soffre e prega, piange e lotta, resiste e spera: un popolo nobile e martire»: così il Papa definisce i cittadini ucraini. Da ieri le forze russe sono tornare a prendere di mira in particolare Cherson, e il Pontefice ha tenuto a sottolineare come le città ucraine continuino ad essere «martellate dalle bombe mentre piogge di missili provocano morte, distruzione e dolore, fame, sete e freddo. Accanto ai vostri grandi fiumi scorrono ogni giorno fiumi di sangue e di lacrime».
Il pensiero ai bambini e ai giovani
Poi il pensiero va ai bambini uccisi, feriti o rimasti orfani, «come Kira a Odessa, Lisa a Vinnytsia, e come centinaia di altri bimbi». Infine, una parte viene dedicata ai giovani che «per difendere coraggiosamente la patria hanno dovuto mettere mano alle armi anziché ai sogni». Francesco associa poi questo momento a quello che accadde novanta anni fa, il «terribile genocidio dell’Holodomor». E dice:« Sono ammirato del vostro buon ardore. Pur nell’immane tragedia che sta subendo, il popolo ucraino non si è mai scoraggiato o abbandonato alla commiserazione. Io continuo a starvi vicino con la premura umanitaria, perché vi sentiate accompagnati, perché non ci si abitui alla guerra, perché non siate lasciati soli oggi e soprattutto domani, quando verrà forse la tentazione di dimenticare le vostre sofferenze».
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