La compagna di Soumahoro all’attacco: «Non sono “Lady Gucci”: ci vediamo in tribunale»
Liliane Murekatete, compagna di Aboubakar Soumahoro coinvolta nello scandalo che ha travolto la cooperativa fondata da lei e sua madre, rompe il silenzio e attacca i media per le insinuazioni della «maggior parte dei giornalisti» sul suo stile di vita, promettendo di querelare chi l’avrebbe diffamata. «La costruzione del racconto mediatico volto a rappresentarmi come una cinica ‘griffata’ e ad affibbiarmi icastici titoli derisori, una che pubblica selfie (peraltro dello stesso tenore di quelli di centinaia di migliaia di giovani donne occidentali e non) mentre i lavoratori della cooperativa non ricevono gli stipendi è artatamente falsata», si sfoga con l’Adkronos. Tanto più che, aggiunge, «la gran parte delle foto» risalirebbe «al 2014/15», ovvero «quando non avevo alcun incarico nella cooperativa Karibu e quando non avevo ancora conosciuto il mio compagno». Compagno che sarebbe stato «messo in croce per quelle foto perché non le ha condannate pubblicamente per appagare le aspettative dei cultori dei reality show e non ha voluto parlare di mie vicende private correlate a quelle foto».
L’estraneità alla cooperativa
Liliane sottolinea a più riprese la sua estraneità alle vicende contestate alla cooperativa: «Il sapiente, malizioso utilizzo di espressioni quali la ‘cooperativa della moglie di Soumahoro‘ (mentre non faccio più parte della cooperativa né come membro del Cda, né come socia né tantomeno come dipendente) o ‘la cooperativa della famiglia di Soumahoro‘ che ha connotato sin da subito la campagna mediatica è particolarmente odioso in quanto volto a sollecitare distinguo, prese di distanza, ripudi, magari accuse reciproche, tutti rigorosamente pubblici, nella peggiore tradizione dell’Autodafé». Per quanto riguarda invece il pagamento degli stipendi ai dipendenti, afferma, «si sorvola sul fatto che anch’io (che peraltro sono in aspettativa dall’aprile 2022) sono in attesa della corresponsione degli arretrati». Lascia intendere che l’omissione abbia radici razziste: «Ovviamente – insiste – il sottotesto della narrazione esclude a priori l’ipotesi che possa esistere una donna africana benestante (e/o che possa diventarlo onestamente) e men che mai che essa possa contemporaneamente impegnarsi nelle questioni sociali». Un’argomentazione in cui riecheggia la linea di difesa che il suo compagno adottò in diretta Tv, quando rispose alle contestazioni con un’aforisma: «Il diritto all’eleganza e alla moda è libertà, la moda non è né bianca né nera». Parole che hanno fatto montare l’ira dei sindacati: «Oltre al diritto alla moda dovrebbe esserci anche l’obbligo e il dovere di pagare il salario», rispose un una nota la UilTucs Latina, l’organizzazione che ha preso le parti dei due lavoratori che denunciarono di aver ricevuto una richiesta di fatture false per poter essere pagati.
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