Così Claudio Campiti ha rubato la pistola per la strage del condominio. Il legale dell’ex moglie: «Il figlio morto? Non è venuto al funerale»
«Mi ha chiesto espressamente una Glock calibro 45. L’aveva già usata in passato». È un impiegato del poligono di Tor di Quinto a raccontare come ha fatto Claudio Campiti a rubare la pistola poi usata per la strage di via Monte Giberto. Il 57enne si è presentato in viale di Tor di Quinto alle 8,55. Passando per via Salaria, ci si mettono circa quindici minuti per arrivare al luogo prefissato per la riunione di condominio del Consorzio Valleverde. Dove poi ha aperto il fuoco uccidendo Sabina Sperandio, Elisabetta Silenzi e Nicoletta Golisano. L’impiegato del Tiro a segno nazionale ha detto agli inquirenti che Campiti non si è visto sulla linea di tiro. Ma con i 170 proiettili che aveva in tasca è andato direttamente sul luogo della strage. Ovvero il bar “Il posto giusto”. Nessuno lo ha perquisito. Anche perché gli addetti al poligono non sono pubblici ufficiali.
La tessera platinum
Campiti, racconta oggi Il Messaggero, era socio del poligono dal 2018. Con tessera platinum 46946. Il 9 novembre 2019 aveva colpito 30 bersagli su 30 colpi sparati. Il suo medico di base, Giuliano Sanesi di Rieti, gli aveva certificato l’idoneità psico-attitudinale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti è chiara l’omissione di controllo all’interno del poligono. Campiti è stato lasciato solo con la Glock senza che un istruttore lo accompagnasse dall’Armeria alla linea di tiro. Per questo ha potuto portar via l’arma senza controlli. Lasciando lì il suo documento d’identità. All’uscita non ci sono metal detector. Uno degli istruttori ha raccontato al quotidiano che Campiti si presentava al poligono quattro o cinque volte al mese.
Gli istruttori e Campiti «affidabilissimo»
La Glock gli è stata consegnata in una piccola valigia chiusa con strisce di nastro rigido che si spezzano solo con un coltellino. Non ha nemmeno varcato la soglia di tiro. È salito sulla sua KA ed è andato a sparare. E c’è anche un precedente: qualche anno fa un uomo andò a prendere un’arma al poligono per fare una rapina a Firenze. Un istruttore esperto precisa: «Quando prende l’arma un soggetto ritenuto a rischio, ossia che si teme possa essere un po’ esaltato rispetto al certificato medico di idoneità, l’armeria ci avvisa subito. Ma anche oggi nella nostra chat noi eravamo tutti concordi. Campiti era considerato affidabilissimo».
«È qui, sta sparando»
Ma c’è di più. L’edizione romana di Repubblica racconta che quando i carabinieri domenica mattina hanno chiamato il poligono dopo la strage chi era in servizio ha risposto: «Claudio Campiti? È qui, sì. È in linea di tiro, sta sparando. Perché, cosa è successo?». Prima di prendere l’arma Campiti ha acquistato in segreteria il massimo di proiettili consentito: 4 scatole da cinquanta pezzi. Giovanni Musarò, il titolare dell’indagine, ha sequestrato la struttura. Dove nel 2010 un uomo si tolse la vita in bagno dopo aver preso una pistola. La stessa cosa che ha fatto Campiti. Che però invece dalla struttura è uscito con in tasca 6.200 euro, tre zaini con i vestiti e un passaporto.
La morte del figlio
Nel frattempo emergono anche ulteriori dettagli sulla morte del figlio, Romano Campiti. Deceduto in un incidente con lo slittino sulla pista di Croda Rossa a Sesto Pusteria in provincia di Bolzano nel 2012. L’ex moglie Rossella Ardito ha fatto sapere tramite il suo avvocato Pier Francesco Grazioli che il padre non si è presentato al funerale del figlio. E nemmeno alle udienze del processo: «Non veniva mai. Ha partecipato solo una volta all’udienza preliminare. Mi ricordo che si sedette in fondo all’aula e non mi chiese informazioni sul procedimento». Campiti non si è mai costituito parte civile né ha avviato autonomamente cause contro i responsabili. Per la tragedia vennero condannati tra 2016 e 2017 un maestro di sci e due responsabili dell’impianto. La famiglia ricevette 240 mila euro di risarcimento danni.
Un decreto ingiuntivo da 1.700 euro
L’avvocato racconta di aver fatto personalmente l’orazione funebre per Romano, migliore amico di suo figlio. Quel giorno a San Luigi de’ Francesi Campiti non c’era e la sua figlia minore era in braccio al portiere della casa della madre. I due erano già di fatto separati. Campiti non volle nemmeno firmare dal giudice tutelare l’autorizzazione necessaria per incassare l’assicurazione. Da 7 anni non pagava i contributi al Consorzio Valleverde e aveva un decreto ingiuntivo per 1.700 euro. Era in partenza un secondo decreto ingiuntivo. Le somme da recuperare erano simili. Per questo sono morte tre persone. «Benvenuti all’Inferno», scriveva sul suo blog.
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