Don Luca Favarin, prete sospeso a divinis (su sua richiesta): «La chiesa caccia me e non quelli che sniffano e vanno a puttane»
Don Luca Favarin è stato sospeso “a divinis” nei giorni scorsi dalla diocesi di Padova. Ha chiesto lui stesso la sospensione: l’ufficialità è arrivata con un post su Facebook pochi giorni dopo la richiesta. Il vescovo Claudio Cipolla ha contestato le modalità del sistema di accoglienza: il prete ha aperto bar, ristoranti, tavole calde e persino un villaggio per minori non accompagnati. Per la Curia il sacerdote ha effettuato scelte «autonome e personali, sfociando in attività imprenditoriali su cui più volte la Diocesi ha chiesto informazioni, condivisione e trasparenza. Proprio per poter valutare l’autorizzazione richiesta a un prete per procedere con tali attività». Lui oggi in un’intervista rilasciata a Repubblica va all’attacco: ««La Chiesa mi contesta sul piano metodologico. È il modo in cui si lavora con i poveri che non va. Noi pensiamo che i poveri non siano sono solo destinatari di attenzione e carità, ma sono anche artefici di qualità, con percorsi di autonomia. Per noi i migranti devono essere protagonisti dell’accoglienza».
L’accoglienza e le coop
Secondo Favarin la Chiesa non può «aspettare l’elemosina della gente. La nostra attività deve essere solida, solo così si sostiene. Con cosa pago gli operatori? Le Ave o Maria? Con cosa do da mangiare ai ragazzi? I nostri dipendenti sono tutti pagati con contratti nazionali. È tutto trasparente. È un’attività imprenditoriale? Sì, è un’attività imprenditoriale. Non è la sacrestia, ma credo sia comunque il cortile della chiesa». La diocesi, accusa il prete, voleva «mettere mano sui nostri bilanci che sono trasparenti. Li abbiamo affidati a Confcooperative proprio per non avere problemi con la gestione del denaro». Favarin spiega che le coop sono tre: «Percorso Vita, Percorso Altro e Percorso Terra. Il volume d’affari è di circa 1 milione e 700 mila euro l’anno. I soldi vengono reinvestiti nell’attività. Non ci sono consulenti da pagare o gettoni di presenza, e nemmeno compensi per consiglieri del cda».
I preti, la cocaina, le puttane
Il prete sospeso spiega come funziona il suo meccanismo: «Ogni Comune che affida a noi un minore paga una retta. Ogni anno vogliamo dalla strada 160 ragazzi. Arrivano che sono criminali, analfabeti, abusati. Noi lavoriamo con l’inserimento scolastico e poi lavorativo. Abbiamo aziende amiche che li assumono, che li testano. Alla fine del percorso li inseriamo in società con un loro lavoro e una casa». Infine, Favarin spiega perché ha chiesto lui stesso la sospensione: «Ormai mi avevano estromesso da tutto. Dicevo solo una messa a settimana, la domenica. Altri preti sniffavano e andavano a puttane, e nei loro confronti hanno avuto molto più riguardo. Io faccio accoglienza e per questo sono stato allontanato. Mi sono stancato di sopportare.».
Il parziale dietrofront
Poco fa però Favarin ha pubblicato una nota su Facebook in cui smentisce parzialmente quanto detto nelle interviste di ieri. «Il concetto detto è: è un’attività che può si sembrare imprenditoriale, diciamo che più che essere da sacrestia è da cortile della chiesa. Ma sempre lì si trova», precisa a proposito del sistema di accoglienza. E poi: «Si dice: “Altri preti sniffavano e avevano donne, e nei loro confronti hanno avuto molto più riguardo”. Chi mi conosce sa che non mi permetterei mai di dire una cosa del genere e detta così. Il concetto detto è: magari ci sono preti che vanno a prostitute e tirano di cocaina ma verrebbero trattati meglio». Il riferimento alla cocaina pare diretto a Don Spagnesi. Che ha lasciato la tonaca per iscriversi a Medicina.
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