La doppia partita delle regionali di Lazio e Lombardia: definiti i candidati di centrodestra e Pd, la variabile M5s tiene sulle spine la sinistra
La Sicilia è andata a Forza Italia, anche se sarebbe il caso di dire “alle Forza Italia”, visto che nell’assemblea regionale si sono costituiti due gruppi con lo stesso nome, uno leale a Schifani e l’altro a Micchichè. La Lombardia avrà come candidato del centrodestra un leghista: qui la scelta è stata più semplice, sia per tradizione geografica del partito sia per la prassi di ricandidare il presidente uscente. La contesa del Lazio, come previsto dagli equilibri interni alla coalizione, spetterà dunque a Fratelli d’Italia. La leader Giorgia Meloni, con l’assenso di forzisti e leghisti, ha scelto Francesco Rocca per la corsa alla successione di Nicola Zingaretti. L’investitura dell’ormai ex presidente della Croce Rossa completa lo schieramento con cui la maggioranza di governo sfiderà il centrosinistra nella tornata elettorale del 12 e 13 febbraio. Al voto, le due regioni più popolose di Italia, i cui capoluoghi sono la capitale istituzionale e la capitale economica del Paese.
La posta in gioco è alta. Benché lo schieramento del centrodestra si approssima alla sfida elettorale con una parvenza di invincibilità, la presidente del Consiglio e il suo vicepremier leghista porteranno le scorie di decisioni tutt’altro che ecumeniche. In Lombardia, Matteo Salvini e Attilio Fontana sono avversati da colei che è stata la vicepresidente della giunta regionale. Letizia Moratti, donna influente politicamente ed economicamente, che ha scaricato il centrodestra per partecipare in prima persona alla competizione elettorale. Con lei, il Terzo polo si è assicurato un bacino di voti che nelle scorse tornate era indiscutibilmente appannaggio del centrodestra lombardo. E poi c’è il Comitato Nord di Umberto Bossi, che vuole contare nella tornata regionale e per questo obiettivo non si esimerà dal picconare la segreteria salviniana. Anche nel Lazio Meloni ha fatto una scelta foriera di alcune difficoltà interne. Per la candidatura che toccava al suo partito è dovuta ricorrere a un candidato civico: Rocca non è iscritto a Fratelli d’Italia. Mentre i papabili che militano da tempo nelle file del partito sono stati esclusi.
A partire da Fabio Rampelli: il vicepresidente della Camera, per molti aspetti padrino politico di Meloni, è stato messo ancora una volta ai margini dai disegni della premier. Lui si era addirittura autocandidato per guidare il Lazio, «ho dato la mia disponibilità, ma non me l’hanno chiesto», aveva dichiarato. Dopo l’esclusione dal governo, è arrivata un’altra doccia gelida per Rampelli, che sta diventando il referente dell’area dei delusi meloniani. Per non spaccare il partito, la presidente del Consiglio ha fatto ritirare dal mazzo le carte dell’eurodeputato Nicola Procaccini e del coordinatore regionale Paolo Trancassini. Si è optato per un tecnico, dunque, per non scontentare alcun politico. «Un partito che nasce e stabilisce la sua roccaforte nel Lazio candida come sindaco Michetti e come presidente della Regione Rocca. Due tecnici. Che senso ha prendere il 30% dei voti se non puoi portare i tuoi esponenti nei ruoli di governo della tua regione per eccellenza?», dice a Open un esponente di Forza Italia.
E conclude: «Per me i motivi possono essere due. O Meloni non si fida della sua classe dirigente, crede che non sia all’altezza e vuole stare alla larga da scivoloni politici, o teme che eventuali nuove leadership possano acquisire spazio nel partito. E uno motivo non esclude l’altro». Insomma, il centrodestra si affaccia alla due giorni elettorale di febbraio da favorito, ma non senza tensioni. Che, però, appaiono irrilevanti se paragonate a quelle del centrosinistra. Nel Lazio, la fuga in avanti di Carlo Calenda sull’assessore uscente Alessio D’Amato ha bruciato qualsiasi tempo di confronto tra Partito democratico e Movimento 5 stelle. Gli organi del Nazareno hanno deciso comunque di puntare sull’esperto di sanità, anche perché Giuseppe Conte ha vincolato la partita per la Regione alle scelte di Roma Capitale sul termovalorizzatore. Opera sulla quale il Pd e Roberto Gualtieri non avrebbero potuto fare un passo indietro.
I 5 stelle stanno tardando a individuare un candidato laziale. Conte, seppure abbia in parte smentito la notizia, avrebbe sondato l’opportunità di candidare donne protagoniste del mondo della comunicazione e dello spettacolo: da Bianca Berlinguer a Luisella Costamagna, per finire a Sabrina Ferilli. Possibilità che sembra sfumare, mentre il leader grillino torna a sollevare le sue riserve sull’alleanza con il Pd in Lombardia. Dopo aver ricevuto l’ok dalla base, tramite voto online su Skyvote, a coalizzarsi con i Dem, erano stati fatti passare messaggi di chiaro supporto alla candidatura di Pierfrancesco Majorino. Il quesito sottoposto agli iscritti non includeva il nome del candidato di coalizione, questo è vero, ma tanto le dichiarazioni delle prime linee grilline quanto i tavoli di lavoro aperti e conclusi insieme ai Dem per scrivere un programma congiunto, erano il chiaro segnale che la convergenza su Majorino ci sarebbe stata.
Il tema, spiega una fonte interna al Movimento, è che Conte vuole garanzie sul Qatargate. Majorino, al momento, non è assolutamente toccato dalle indagini sulle tangenti del Paese del Golfo, ma è comunque eurodeputato del gruppo dei socialisti, sconquassato dall’inchiesta belga. I due si vedranno in settimana per ulteriori chiarimenti chiesti dal presidente dei 5 stelle. Ma uno scenario che va consolidandosi è che, mentre al Sud il Movimento riscuota successo per la difesa delle fasce deboli della popolazione, al Nord debba puntare di più su questioni di morale politica, di etica, di giustizia. Ed ergersi a paladini della legalità, per i contiani che non brillano esattamente di garantismo, potrebbe essere visto dagli elettori come un controsenso se ci si allea di nuovo con il partito di Antonio Panzeri e degli altri esponenti coinvolti nel Qatargate. In generale, i sondaggi al momento sembrano premiare la manovra di separazione del Movimento dal Pd, con virata a sinistra: a Conte può convenire mantenere alta la tensione con i Dem.
«La Lombardia è persa comunque, perché rischiare di infangarsi l’immagine con il marciume che coinvolge il Partito democratico in Europa? Majorino è forte a Milano, ma nelle altre province…», ragiona un esponente grillino. «Nel Lazio, in termini di voti, andrà sicuramente meglio per il Movimento. Un buon risultato può sancire la nascita di qualcosa a sinistra del Pd, abbiamo creato una bella squadra con Coordinamento 2050 di Stefano Fassina, Loredana De Petris, Alfonso Pecoraro Scanio e Sinistra italiana di Nicola Fratoianni». Majorino, che per la competizione elettorale non ha mai potuto contare sugli alleati di centro del Terzo polo, adesso rischia di perdere anche la stampella pentastellata. Intanto, pare sia circolato un sondaggio in ambienti Pd in cui le chance di vittoria di Majorino aumenterebbero di molto se, il 12 e il 13 febbraio, in Lombardia si verificassero abbondanti nevicate. Non è una barzelletta, c’è un ragionamento alle spalle, basato sui voti dislocati nei territori: nelle grandi città, dove il centrosinistra va meglio, sarebbe più facile andare fisicamente alle urne rispetto alle valli innevate, bastioni leghisti. Tuttavia, se il Pd lombardo ha bisogno di appendere le sue speranze a un sondaggio metereologico, le previsioni elettorali devono essere tutt’altro che serene.
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