Caso Omerovic, così agiva la gang dei poliziotti nell’inchiesta su torture e depistaggi. L’agente pentito: «Mi sono vergognato»
Andava redatta una relazione di servizio «per pararsi il culo dall’ondata di mer*a che quando arriva sommerge tutti». Questo è quello che si legge in un messaggio che un ispettore in servizio presso la Squadra Mobile ha inviato a una collega del commissariato di Primavalle (Roma), dopo che Hasib Omerovic si era buttato dalla finestra di casa sua, lo scorso 25 luglio, durante una perquisizione della polizia durante la quale l’agente Andrea Pellegrini, ora sotto arresto per tortura, lo avrebbe preso a schiaffi e legato a una sedia con il cavo del ventilatore minacciandolo di «infilarglielo nel culo» senza curarsi della possibilità che il ragazzo morisse. «Che te frega se more». Brandendo un coltello avrebbe sfondato la porta dell’appartamento in cui la polizia era entrata senza permesso, fino a spaventare Omerovic talmente tanto che la finestra gli è persa l’unica via di fuga. Pellegrini verrà sentito nei prossimi giorni nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia del gip.
La relazione falsa
Nel registro degli indagati della procura coordinata dall’aggiunto Michele Prestipino, oltre a Pellegrini, ci sono altri quattro agenti per le accuse di falso e depistaggio in relazione proprio al rapporto di servizio stilato da Pellegrini e due colleghi dopo i fatti di via Gerolamo Aleandro di Roma. Per questo ai due ispettori sopraggiunti successivamente era stato raccomandato «di svolgere in modo accurato le indagini poiché le cose non stanno come hanno scritto gli operanti» che avevano redatto il rapporto, si legge nel documento del gip, che evidenzia anche come non vi fossero valide ragioni per giustificare, nel caso in questione, l’accesso a un’abitazione privata. C’è tanto falso nella vicenda, anche tra colleghi della polizia. Nel pomeriggio del 25 luglio, Pellegrini chiamò un agente della Polizia Locale di Roma sostenendo che «la persona si era buttata di sotto una volta che loro erano giù nel cortile» si legge nell’ordinanza del gip che spiega come le parole di Pellegrini sono state smentite da quelle di un collega, che ha deciso di collaborare con gli inquirenti.
La confessione dell’agente: «Mi vergognavo»
L’agente, uno dei due che ha scritto la relazione di servizio assieme a Pellegrini, ha confessato di non aver riferito ai suoi superiori l’accaduto, e ha smentito che Omerovic si sia buttato quando gli agenti si trovavano nel cortile. Solo ad alcuni colleghi aveva rivelato dei dettagli parziali, ma l’intera storia non era trapelata, ha spiegato agli inquirenti, anche per la paura che Pellegrini, un suo superiore, si ritorcesse contro di lui. Almeno non fino a quando il peso mediatico della vicenda ha iniziato a farsi insostenibile. A quel punto l’agente avrebbe raccontato i fatti al dirigente «per riferire le cose come erano andate perché in queste situazioni è inutile cercare di nasconderle». Per ora non si può contare, invece, sulla testimonianza di Omerovic, che dopo essere precipitato dal palazzo si trova nel reparto di riabilitazione del policlinico Gemelli. Vivo, ma ben lontano dal poter fornire la sua versione dei fatti.
Giannini: «Siamo sempre stati trasparenti»
«È una vicenda grave, il primo sentimento è di rammarico per quello che è successo e la vicinanza alla famiglia: speriamo si possa riprendere. Ci sono anche serenità e orgoglio per aver fatto quello che bisognava fare, per esserci messi a disposizione della procura in indagini affidate alla Squadra Mobile che ha ricostruito il quadro che ha portato al provvedimento». Così ha commentato i fatti il capo della polizia Lamberto Giannini. «Ogni ricostruzione investigativa deve essere sottoposta al vaglio di un giudice e aspettiamo con serenità le decisioni», ha aggiunto, per poi precisare: «Bisogna affrontare i problemi con serenità e trasparenza e c’è sempre la presunzione di non colpevolezza. Spero che la cittadinanza dia per scontata la nostra trasparenza: faremo di tutto perché questo atteggiamento sia percepito sempre».
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