La scelta del governo Meloni: restano “padre” e “madre” sulla carta d’identità dei figli (anche se i genitori sono dello stesso sesso)
Nel 2019 un decreto del ministero dell’Interno allora retto da Matteo Salvini ha stabilito che sui documenti dei minori ci fosse la dicitura “padre” e “madre“. Un tribunale a Roma però ha dato ragione a due madri che volevano cambiare la dicitura in “genitore“. Il giudice ha invitato contestualmente il ministero a correggere il software per garantire l’inclusione dei genitori gay. Ma il Viminale e il ministero della Famiglia retti da Matteo Piantedosi ed Eugenia Roccella hanno deciso di lasciare tutto così. Lo ha fatto sapere la stessa Roccella a Repubblica: «Si è fatto tanto rumore per quella decisione ma si tratta di una sentenza individuale, dunque vale per la singola coppia che ha fatto ricorso». Per tutte le altre no. Sulla carta d’identità, aggiunge la ministra, «rimarrà scritto madre e padre». E le coppie formate da due mamme o due papà? «Possono sempre fare ricorso». Natascia Maesi, presidente di Arcigay, spiega che però la via del ricorso è difficilmente percorribile: «È un percorso complicato. Soprattutto, sono ricorsi molto dispendiosi. Non tutti possono permetterselo. Il rischio è che il riconoscimento diventi un privilegio per poche famiglie benestanti. Ma tutte queste famiglie esistono e bisogna farci i conti, proprio per tutelare in primo luogo i minori. Non è il dna quello che stabilisce chi è un genitore, ma è la responsabilità di crescere e amare i propri figli. Anche la scienza ci ha permesso di separare la capacità di procreare dalla funzione educativa dell’essere genitori. E in Italia la procreazione medicalmente assistita, compresa quella eterologa, è accessibile. Se il governo imbocca questa strada dovrà spiegarlo all’Europa».
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