Mosca, Putin firma il decreto sul petrolio russo: «Da febbraio stop all’esportazione ai Paesi che adottano il price cap»
L’aveva detto e ora è nero su bianco. Il presidente russo, Vladimir Putin, ha firmato un decreto secondo cui Mosca bloccherà le esportazioni di petrolio verso tutti i Paesi che hanno deciso di adottare il price cap. La misura, decisa in risposta all’introduzione del tetto sul prezzo per il petrolio russo, entrerà in vigore dal primo febbraio 2023 e sarà valida sino al primo luglio dello stesso anno, mentre il governo di Mosca – fa sapere la Tass – dovrà fissare la data per il divieto di forniture di prodotti petroliferi. «La fornitura di petrolio – si legge nel documento, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale russa – a persone giuridiche e persone fisiche straniere è vietata se i contratti per tali forniture direttamente o indirettamente utilizzano un prezzo massimo». Tale misura, presa dopo l’accordo siglato dai 27 Paesi Ue il 2 dicembre scorso, è stata adottata «in connessione – ribadisce Mosca – con azioni ostili e contraddittorie del diritto internazionale degli Stati Uniti e di stati stranieri e organizzazioni internazionali che si uniscono a loro, e allo scopo di salvaguardare gli interessi nazionali russi». Sarà, infine, il ministero degli Esteri russo a occuparsi di «monitorare» periodicamente che il decreto venga attuato.
L’accordo
Il price cap sul petrolio russo era stato fissato – a inizio dicembre – a 60 dollari al barile da Ue, G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti) e Australia al fine di privare Mosca di una delle principali fonti di finanziamento della guerra contro l’Ucraina e assicurandosi, al tempo stesso, la fornitura del greggio da parte della Russia sul mercato globale. Il via libera dai 27 Paesi membri dell’Ue era arrivato dopo il ritiro da parte della Polonia dell’obiezione alla proposta europea, in seguito alla rinuncia da parte della stessa della richiesta di un tetto ancora più basso dei 60 dollari al barile ma, che secondo gli analisti, rischiava di esporre il mercato a pesanti ripercussioni. Entrato in vigore il 5 dicembre scorso, il meccanismo prevedeva – dunque – l’imposizione di un tetto di 60 dollari al barile ai prezzi del petrolio russo venduto a Paesi terzi, in aggiunta all’embargo Ue, con l’eccezione però del greggio che arrivava via oleodotto. Nei fatti, la misura consente di spedire il greggio russo a Stati terzi utilizzando petroliere, istituti di credito, nonché compagnie di assicurazione del G7 e dell’Ue, solo se il carico verrà acquistato a un prezzo pari o inferiore al tetto massimo stabilito.
Le importazioni
Le importazioni di petrolio russo in Ue e nel Regno Unito sono diminuite, secondo Reuters, del 35 per cento, passando così da 2,6 milioni di barili al giorno di gennaio, a 1,7 ad agosto. Gli Stati Uniti – scrive l’agenzia di stampa britannica – potrebbero presto superare la Russia come principale fornitore di greggio in Ue e nel Regno Unito: ad agosto, infatti, – secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) – le importazioni statunitensi erano inferiori a quelle di Mosca di appena 400 mila barili al giorno. Tra i Paesi europei, invece, che hanno importato quantità maggiori di petrolio russo – scrive Reuters, riportando dati relativi al mese di agosto – ci sono Germania, Paesi Bassi e Polonia. Tutti e tre gli Stati, però, hanno la capacità di portare greggio via mare. Al contrario, i Paesi senza sbocco sul mare, come Slovacchia o Ungheria, hanno poche alternative alle forniture di oleodotti da parte di Mosca. Mentre per quanto riguarda l’Italia, gli acquisti di greggio russo – basati su dati relativi a fine estate – erano aumentati di mese in mese. Per citare qualche dato, infatti, la penisola italiana è tra i Paesi che avevano incrementato maggiormente gli acquisti di greggio russo. Se a fine gennaio comprava in media 120mila barili di petrolio al giorno dalla Russia, nella prima settimana di agosto era arrivata a quasi mezzo milione: un rialzo del 400 per cento. La ragione di questo aumento negli acquisti dovrebbe essere legata alla raffineria di Priolo Gargallo, a Siracusa. Di proprietà della società Isab srl, controllata dalla russa Lukoil, nei mesi estivi aveva incrementato gli acquisti anche in relazione alla mancanza di prestiti e garanzie da parte delle banche.
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