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Il Dna, la catena del freddo, l’accusa di Bossetti: perché si indaga sulla pm del caso di Yara Gambirasio

30 Dicembre 2022 - 04:27 Redazione
La denuncia-querela della difesa del condannato ipotizza i reati di depistaggio e frode processuale. Al centro dell'inchiesta lo spostamento dei campioni da Milano a Bergamo

L’indagine sulla pubblica ministera Letizia Ruggeri per la “sparizione” dei test del Dna del caso di Yara Gambirasio è un «atto dovuto». Il giudice delle indagini preliminari di Venezia Alberto Scaramuzza chiede così di effettuare una «compiuta valutazione» della posizione della pm in relazione alle contestazioni contenute nell’esposto della difesa di Massimo Bossetti. Claudio Salvagni e Paolo Camporini hanno presentato una denuncia-querela che riguarda la prova regina del processo sull’omicidio della 13enne di Brembate di Sopra. Per loro Ruggeri non avrebbe garantito la corretta conservazione dei campioni rinvenuti sul cadavere della ragazzina. Nel momento dello spostamento dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi del reato di Bergamo.

Depistaggio e frode processuale

Per questo il Gip ipotizza i reati di depistaggio e frode processuale. E lo fa spiegando che si tratta dell’«unico provvedimento» da lui adottabile a fronte di una denuncia-querela seguita da un atto di opposizione all’archiviazione. L’invio degli atti al pm di Venezia e l’iscrizione serve per «permettere al pm una compiuta valutazione in relazione a tutte le doglianze dell’opponente». Che richiedono «un necessario approfondimento al fine di permettere alla stessa un’adeguata difesa». Con l’ipotesi di aver «immutato artificiosamente il corpo del reato» la procura aveva indagato Giovanni Petrillo e Laura Epis. Ovvero il presidente della prima sezione penale del tribunale di Bergamo e la funzionaria responsabile dell’ufficio Corpi. E ieri ha archiviato le posizioni dei due.

La conservazione del Dna

Il tema su cui il gip chiede una nuova tranche di verifiche è legato alla conservazione di 54 reperti con tracce di Dna. Che, di fatto, rappresentarono l’architrave dell’impianto accusatorio a carico del muratore di Mapello. I reperti sono stati trasferiti dall’ospedale San Raffaele di Milano ad un ufficio del tribunale di Bergamo. Un trasferimento durato alcuni giorni. E che, a detta dei difensori del condannato, potrebbe avere causato un deterioramento delle tracce. I campioni erano conservati a 80 gradi sottozero. La tesi degli avvocati di Bossetti è che l’interruzione della catena del freddo avrebbe deteriorato il materiale genetico. Rendendo così vano qualsiasi tentativo di nuove analisi. La difesa di Bossetti chiede da anni di riesaminare le prove. Ma, è la tesi, con lo spostamento si sarebbero ormai deteriorate per sempre.

La sorpresa della procura

Su quanto disposto dal gip si è detto sorpreso il procuratore di Bergamo, Antonio Chiappani. Per una iscrizione nel registro che arriva «dopo tre gradi di giudizio, dopo sette rigetti dei giudici di Bergamo sia all’analisi che alla verifica dello stato di conservazione dei reparti e dei campioni residui di dna», afferma il capo dei pm bergamaschi. Sorpreso, spiega il magistrato che «si imputi ora al pm il depistaggio riguardo la conservazione delle provette dei residui organici». E questo dopo che «nei tre gradi di giudizio era stata respinta la richiesta difensiva di una perizia sul Dna, dopo la definitività della sentenza sopravvenuta nell’ottobre 2018 che ha accertato la colpevolezza dell’autore dell’omicidio di Yara. E dopo che era passato più di un anno da tale definitività».

Il caso Gambirasio

Yara Gambirasio, nata il 21 maggio 1997, è scomparsa il 26 novembre 2010 dal centro sportivo di Brembate di Sopra. Il corpo viene ritrovato il 26 febbraio 2011 da un aeromodellista in un campo aperto a Chignolo d’Isola. A dieci chilometri di distanza dal paese. Sul corpo gli inquirenti trovano colpi di spranga, un trauma cranico, una ferita al collo e altre ferite da arma da taglio. Il 16 giugno 2014 finisce agli arresti Massimo Giuseppe Bossetti, 44 anni. L’uomo fa il muratore a Mapello ed è incensurato. Il suo Dna nucleare risulta sovrapponibile con quello dell’uomo definito “Ignoto 1”, rilevato sugli indumenti intimi di Yara nella zona colpita da arma da taglio. Il 12 ottobre 2018 la Cassazione conferma nei suoi confronti la condanna all’ergastolo.

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