La battaglia di Ratzinger contro gli abusi nella Chiesa, la «tolleranza zero» anti pedofili e le ombre dalla Germania
Tra le missioni che hanno caratterizzato l’opera di Joseph Ratzinger, un ruolo primario lo ha giocato senza dubbio la lotta alla pedofilia nel clero e la punizione dei colpevoli, attraverso una una campagna di «tolleranza zero» rivolta anche ai vescovi «omertosi». Da cardinale, come prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l’organo vaticano che si occupa di vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica, fece scalpore la sua denuncia a proposito «sporcizia nella Chiesa» durante Via Crucis del 2005. Fu sempre lui a portare a sentenza l’annoso processo sul “caso Maciel”, il fondatore dei Legionari di Cristo.
Un’arma a doppio taglio
Massima trasparenza: questo il principio invocato dal Papa emerito morto oggi, 31 dicembre. Una direzione opposta alla prassi degli insabbiamenti delle denunce di abusi e dei semplici spostamenti dei pedofili da una diocesi all’altra. Ma il cambio di rotta si rivelò un’arma a doppio taglio. L’emergere di sempre nuove vicende risalenti ai decenni passati fece infatti divampare ancora di più lo scandalo a livello globale. Non mancarono, per esempio, i conflitti diplomatici: come nell’estate del 2011, quando l’uscita delle relazioni governative sugli abusi nelle diocesi d’Irlanda innescò una crisi con Dublino. E una vicenda, relativa al cambio d’incarico di un prete, finì per investire la stessa figura del Pontefice, quando era arcivescovo a Monaco di Baviera. In quel ruolo, infatti, accettò nel 1980 di accogliere nella sua diocesi, da quella di Essen, un sacerdote sospettato di molestie sessuali su minori, al solo scopo di farlo curare. Ma, secondo quanto ricostruito dalla diocesi di Monaco, l’allora vicario generale della capitale bavarese, mons. Gerhard Gruber, decise di affidare al religioso, definito retrospettivamente come “padre H.“, un ruolo pastorale in una parrocchia. Il tutto all’insaputa del suo superiore, ovvero lo stesso Ratzinger. Il sacerdote in questione si rese poi responsabile di nuovi crimini di pedofilia: nel 1986 il tribunale dell’Alta Baviera lo condannò a 18 mesi di carcere e a una multa di 4mila marchi tedeschi.
La polemica a distanza di anni
Il caso tornò a galla nel gennaio 2022, a distanza di quasi nove anni dalle dimissioni di Benedetto XVI, con l’uscita del rapporto indipendente sugli abusi sessuali nell’arcidiocesi bavarese. In quel frangente Ratzinger venne accusato di «comportamenti erronei» nella gestione di singoli casi. L’autodifesa del Papa emerito, in quei giorni, fece un ulteriore errore, che costrinse a rettificare la dichiarazione essenziale rilasciata in relazione al dossier. Contrariamente al suo precedente resoconto, infatti, risultò che Ratzinger aveva preso parte alla riunione dell’Ordinariato il 15 gennaio 1980: l’incontro in cui venne affrontata la questione del prete giunto da Essen. Dunque Benedetto XVI era al corrente delle accuse, prima che al sacerdote venisse affidata la cura delle anime, dandogli modo di perseverare nei suoi comportamenti.
L’accusa
Nonostante, precisò il segretario particolare mons. Georg Gaenswein, nell’incontro in questione «non fu presa alcuna decisione circa un incarico pastorale del sacerdote interessato», e la richiesta fu approvata solo per «consentire una sistemazione per l’uomo durante il trattamento terapeutico a Monaco di Baviera», a Ratzinger venne contestato di non aver preso adeguati provvedimenti per evitare che le condotte del prete si ripetessero. Un’accusa che è costata all’ormai 95enne anche una denuncia sporta in sede civile al Tribunale provinciale di Traunstein, nella Baviera tedesca, da un uomo che ha riferito di aver subito gli abusi proprio dal recidivo H. nella località di Garching an der Alz. Il Papa emerito, agli inizi di novembre 2022, ha accettato di difendersi nella causa, insieme agli altri tre denunciati. Ovvero il prete già condannato penalmente, il cardinale Friedrich Wetter – successore di Ratzinger sulla cattedra di Monaco – e l’arcidiocesi stessa. Sottrarsi alla difesa sarebbe costato al Pontefice emerito il rischio di una condanna in contumacia.
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