La negazione dell’invasione (dal 2014)
Secondo Sputnik News, agenzia di stampa governativa russa, l’Occidente diffonderebbe false notizie sulla presenza dell’esercito russo in Ucraina. Nell’articolo del 20 dicembre 2022, a firma dell’uruguaiano Javier Benitez, l’appello per il ritiro dai territori ucraini di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Cherson sarebbe basato su una menzogna in quanto «la Russia non si trova in Ucraina, bensì in territorio russo, in quanto deciso dalle popolazioni delle quattro regioni». Di fatto, questa falsa narrazione si basa sull’annessione illegale e forzata dei quattro territori da parte della Federazione Russa.
Di fatto, la prima invasione russa in Ucraina risale al 2014 con l’intervento delle forze armate di Mosca in Crimea. Il Referendum del marzo 2014 organizzato dai russi in Crimea non è affatto riconosciuto a livello internazionale, in quanto non ritenuto valido. A condannare le azioni portate avanti dal Cremlino contro l’integrità territoriale dell’Ucraina sono stati il Consiglio dell’Unione europea (2014) l’Assemblea generale delle Nazioni Unite (nel 2014 e nel 2018).
Mosca ha di fatto sostenuto con finanziamenti, addestramento militare e fornendo armi ai separatisti del Donbass, come certificato dalla sentenza sulla strage del volo MH17 e da numerose inchieste, intervenuti a seguito del Referendum in Crimea. Per questo motivo non si può parlare di “guerra civile” tra Kiev e le autoproclamate repubbliche, ma di conflitto internazionale ad opera di uno Stato straniero: la Russia.
Quella che oggi viene definita da Mosca come “Operazione speciale” è di fatto un’invasione, giustificata dalla narrazione che vede un aiuto verso i cittadini russofoni che Kiev starebbe perseguitando nel Donbass. Secondo quanto raccontato dai media russi nel 2021, come 5-TV.ru, le autorità ucraine starebbero attuando azioni russofobe vietando la lingua russa, chiudendo le trasmissioni in lingua russa ed etichettando i cittadini russofoni come “cittadini di serie B”. Risulta approvata una legge del 2019 che punta all’utilizzo della lingua ucraina come lingua di Stato, senza però vietare qualunque altra lingua minoritaria a qualunque livello (scolastico o mediatico, ad esempio). Risultano chiusi tre canali televisivi filorussi (112 Ucraina, Zik e NewOne) dell’oligarca Taras Kozak, i quali risultavano legati finanziariamente con i separatisti del Donbass e con Viktor Medvedchuk. Quest’ultimo è un personaggio chiave delle attività politiche di Putin in Ucraina: in uno scambio di prigionieri tra Kiev e Mosca, il Cremlino avrebbe chiesto e ottenuto la sua liberazione in cambio di quella dei membri del battaglione Azov di Mariupol. L’ultima narrazione, quella dei “cittadini di serie B”, si basa su una legge che non va contro i russofoni, ma mira a proteggere le popolazioni etniche della Crimea annessa illegalmente dalla Russia: i tartari della Crimea, i caraiti e i krymchak.
Molto circola intorno agli accordi di Minsk, di fatto mai portati a termine. L’Ucraina avrebbe dovuto riottenere il controllo sul Donbass, accordando alle regioni maggiore autonomia. La Russia non ha interrotto la sua presenza e l’appoggio alle autoproclamate repubbliche del Donbass, anche il ritiro delle truppe separatiste sostenute dal Cremlino non è mai avvenuto così come Kiev non ha mai recuperato il controllo dei suoi confini. L’idea di una missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite è stata proposta dall’Ucraina, ma respinta dalla Russia. Quest’ultima, invece, preferiva un intervento solo nelle aree confinanti tra quelle separatiste e quelle sotto il controllo di Kiev, rafforzando di fatto la separazione e il controllo russo sulle regioni.
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