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Milano, il corteo degli anarchici sfida il divieto della Questura: oltre 150 manifestano per Alfredo Cospito

29 Dicembre 2022 - 20:32 Ygnazia Cigna
Il militante anarchico è in sciopero della fame da 2 mesi contro il regime del 41bis a cui è stato sottoposto

Oltre 150 persone stanno sfilando a Milano in un corteo a sostegno di Alfredo Cospito, il militante anarchico in carcere a Sassari in regime di 41 bis e che da circa due mesi sta facendo lo sciopero della fame. Sono partite oggi pomeriggio, 29 dicembre, attorno alle 18 da via Torino. Molti gli slogan urlati dagli anarchici. «Fuori Alfredo dal 41 bis», si legge in uno striscione. «Tutti liberi, tutte libere». I manifestanti avevano annunciato online l’intenzione di effettuare il presidio in piazza Duomo, ma la Questura aveva vietato l’iniziativa. Piazza Duomo è stata, infatti, blindata dagli agenti del reparto Mobile della polizia in assetto antisommossa. I contestatori si sono così spostati e indirizzati verso la periferia della città. Il corteo è stato organizzato dal collettivo Galipettes Occupato.

Chi è Alfredo Cospito

Il 55enne Alfredo Cospito è un militante anarchico che sta scontando una pena di 20 anni in carcere. È accusato di aver gambizzato un dirigente dell’Ansaldo e di aver tentato un attacco contro la scuola carabinieri di Fossano nel 2006. Da aprile è stato trasferito nel cosiddetto «carcere duro», il 41 bis, e la sua reclusione rischia di trasformarsi in un ergastolo ostativo, ovvero l’ergastolo che non prevede la possibilità di accedere ai benefici della legge. A causa di questo ha iniziato uno sciopero della fame lo scorso 19 ottobre. Ed è nata nelle ultime settimane un’accesa discussione in merito alla proporzionalità della pena a cui è stato condannato. L’avvocato di Cospito aveva fatto reclamo contro l’applicazione del 41 bis, ma il 19 dicembre il Tribunale di Roma lo ha respinto e la misura è stata confermato per altri quattro anni. Il rischio, secondo il giudice, è che possa dare ordini dal carcere ad altri anarchici.

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È morto Pelé, addio a “O Rey”. La leggenda del calcio aveva 82 anni

29 Dicembre 2022 - 20:11 Luca Covino
Il mito brasiliano da diversi giorni era costretto in ospedale, dove aveva prolungato il ricovero per il peggioramento delle sue condizioni di salute

O Rey è morto. La leggenda del calcio brasiliano Edson Arantes do Nascimento, per tutto il mondo Pelé, si è spenta a 82 anni, dopo l’ennesimo ricovero periodico all’ospedale Albert Einstein di San Paolo, dove a settembre 2021 è stato sottoposto a un intervento chirurgico per un sospetto cancro al colon. Dopo l’operazione, Pelé aveva continuato le cure, ma negli ultimi tempi i medici sostenevano che non rispondesse più adeguatamente alle terapie. L’ultimo ricovero risale al 29 novembre per un ciclo di cure. Durante la permanenza in ospedale, Pelé aveva anche contratto il Covid. Ad annunciare la scomparsa del campione è stata la famiglia con un post su Instagram: «Tutto ciò che siamo, è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace».

Le origini

WIKIPEDIA | Pelé all’aeroporto di Amsterdam – Schiphol in abito di rappresentanza del Santos Fc, ottobre 1962

Con la morte di Pelé il calcio perde una delle icone più importanti della sua storia. Nel 1940 a Três Corações, nella regione del Minais Gerais, nel sud del Brasile, nasce Edson Arantes do Nascimento. I genitori, l’ex calciatore Dondinho, e la madre Maria Celeste Arantes, lo chiamavano Dico, come tutti i suoi parenti da piccolo. Le origini del nome Pelé, infatti, non derivano dal soprannome affibbiato da un compagno di scuola, ma da sfottò dei suoi amici per farlo arrabbiare: il nome è la storpiatura di quello di un portiere, Bilé. Le origini piuttosto umili di Pelé lo portano a svolgere i più diversi lavori già da bambino. Guadagna qualche soldo in più per casa lustrando scarpe. La povertà della sua famiglia era importante al punto che quando iniziò a giocare a calcio, su suggerimento del padre, sostituì il pallone che non poteva permettersi con una palla di stracci tenuti da lacci. Si dice che spesso usava pure un frutto di mango. L’alone di leggenda che circonda la figura di Pelé è ciò che forse lo ha reso affascinante col trascorrere del tempo. Dai suoi esordi, il successo che raggiunse contribuì a portare la Nazionale del Brasile in vetta al calcio globale, superando le allora accreditate squadre di Argentina e Uruguay, veri e propri padroni del calcio sudamericano fino agli anni Cinquanta.

Una vita da leggenda

FOTO: WIKIPEDIA | Pelé celebra la vittoria della Coppa del Mondo col Brasile, Città del Messico 1970

In 20 anni di carriera Pelé ha vinto tutto, specie col suo Santos, dove è cresciuto come nessuno dopo il provino svolto quando era 15enne. Col Brasile è riuscito a diventare l’unico calciatore della storia a trionfare in tre edizioni della Coppa del Mondo, che quando giocava lui era intitolata ancora a Rimet. Pelé è stato in grado di rivoluzionare anche il gioco, non solo per le prodezze e i record dei “Mille Gol” e tocchi di classe, come il drible da vaca, ma anche per visione di gioco. Gianni Brera scriveva nel 1998, dal libro su Garrincha, con il quale in coppia il Brasile non hai perso una partita ufficiale:

Pelé vede il gioco suo e dei compagni lascia duettare in affondo chi assume l’iniziativa dell’attacco e, scattando a fior d’erba, arriva a concludere. Mettete tutti gli assi che volete in negativo, poneteli uno sull’altro: esce una faccia nera, un par di cosce ipertrofiche e un tronco nel quale stanno due polmoni e un cuore perfetti.

Dopo l’avventura negli Stati Uniti con i Cosmos e il ritiro nel 1977, i suoi impegni come ambasciatore del gioco hanno realizzato il progetto della Fifa di espandere la disciplina rendendola globale. Il passare degli anni e i problemi di salute non gli hanno impedito di prestare il suo volto per le più svariate organizzazioni e campagne umanitarie. Di lui ha sempre detto che non è stato un buon padre: lascia diversi figli, tra cui Edson, in carcere per traffico di droga, e la moglie Marcia Aoki, nel ramo farmaceutico e terza compagna della sua vita dopo Rosemeri dos Reis Cholbi e la presentatrice Xuxa.

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Teheran furiosa con Roma, la protesta dopo le frasi di Meloni e Tajani: «Basta interventi nei nostri affari interni»

29 Dicembre 2022 - 19:34 Ygnazia Cigna
La reazione irritata del regime iraniano dopo che ancora oggi la premier Meloni aveva minacciato Teheran di un cambio di atteggiamento da parte dell'Italia se non fossero finite le repressioni alle proteste

L’ambasciatore italiano a Teheran, Giuseppe Perrone, è stato convocato dal ministero degli Esteri iraniano per evidenziargli «la forte protesta dell’Iran per gli atti e le osservazioni di alcuni funzionari italiani che continuano a intervenire negli affari interni dell’Iran». Secondo quanto riferisce l’agenzia Irna, che cita alcuni funzionari dell’ambasciata, Perrone ha promesso di comunicare la protesta dell’Iran al suo governo quanto prima. «Le politiche selettive e duplici nei confronti dei diritti umani sono inaccettabili e respinte dalla Repubblica islamica. È l’altra parte che ha danneggiato gli interessi della nazione iraniana e violato i suoi diritti con l’imposizione di sanzioni illegali», dichiarano i funzionari. Convocazione che nasce come reazione alle parole della nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la quale ha definito «inaccettabile» quanto sta accadendo in Iran. La premier ha, inoltre, avvisato Teheran della possibilità che l’Italia cambi «atteggiamento» se la repressione delle manifestazioni «non dovesse cessare».

Cosa sta succedendo in Iran e perché l’Italia è preoccupata

L’Iran da settembre è travolto da continue manifestazioni contro le restrizioni alla libertà imposte dal regime di Teheran. Dopo la morte di Mahsa Amini, la 22 enne di origini curde uccisa per non aver indossato correttamente il velo, è scoppiato il dissenso in tutto il Paese che continua a essere represso dalle autorità con la violenza. Teheran, ora, pretende che l’Italia non si esprima a riguardo. Non solo la premier, ieri anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha manifestato indignazione e preoccupazione all’ambasciatore iraniano in Italia, Mohammad Reza Sabouri, contro le violenze nelle proteste in Iran e le condanne a morte. Nello specifico, nel corso del vertice avvenuto alla Farnesina tra i due, Tajani ha chiesto «la sospensione delle condanne a morte, il blocco immediato delle esecuzioni, la sospensione della repressione violenta delle manifestazioni e che le autorità politiche aprano il dialogo con i manifestanti ricordando che non è questione di ordine pubblico uccidere bambini di 12, 14 e 17 anni». 

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ESTERIDecreti sicurezzaGermaniaGoverno MeloniImmigrazioneONGSea Eye

La Ong Sea Eye sfida il governo italiano: «Non seguiremo il decreto, ma la legge tedesca»

29 Dicembre 2022 - 19:02 Redazione
Dopo Sea Watch e Medici Senza Frontiere anche l'organizzazione con sede a Ratisbona si ribella alle nuove regole imposte da Roma per i salvataggi in mare

«Non seguiremo alcun codice di condotta illegale né qualsiasi altra direttiva ufficiale che violi il diritto internazionale». È la reazione della Sea-Eye al decreto del governo italiano sulle attività di salvataggio in mare delle ong approvato poche ore fa dal Consiglio dei ministri. L’organizzazione non governativa tedesca nata nel 2015 con sede a Ratisbona, in Germania, rifiuta il provvedimento italiano, dichiarando le sue chiare intenzioni a non rispettare quanto deciso da Roma. «Rifiutiamo questo cosiddetto codice sulle Ong e temiamo che ciò possa portare a conflitti con le autorità italiane. Ci aspettiamo che il governo tedesco ci protegga», ha detto Annika Fischer, membro del consiglio di amministrazione Sea-Eye. Tra le misure imposte dal decreto sono previste anche regole e sanzioni per le Ong, obbligate da ora in poi ad avviare le procedure per richiedere la protezione internazionale, a richiedere alle autorità Sar il porto di sbarco e a raggiungerlo senza ritardi. Il comandante dovrà poi riferire alla autorità italiane come si è svolta l’attività di ricerca e quella di soccorso dei migranti in mare.

Sempre secondo il decreto, in caso di operazioni plurime, le successive alla prima non dovranno compromettere le tempistiche concordate per il raggiungimento del porto sicuro. La violazione delle norme obbligherà il comandante  al pagamento di una sanzione amministrativa tra i 10mila e i 50mila euro. Nello stesso tempo verrà imposto il fermo amministrativo dell’imbarcazione fino a 2 mesi, contro il quale si può fare ricorso al prefetto. Regole a cui ha già reagito la ong tedesca Sea Watch, denunciando «un tentativo di delegittimazione da parte del governo» nei confronti del loro operato, e che ora vede anche la Sea-Eye in protesta contro Roma. «Ci aspettiamo che il governo tedesco tuteli le organizzazioni di soccorso in mare sotto bandiera tedesca dal comportamento illegale delle autorità italiane e ci sostenga con decisione in caso di conflitto», ha continuato Fischer. «Qualsiasi ritardo nelle nostre operazioni mette in pericolo vite umane». Intanto dagli account ufficiali dell’organizzazione è partita la recluta di candidati pronti a partire a gennaio 2023: «Siamo determinati ad aiutare quante più persone possibile in difficoltà in mare anche nel prossimo anno».

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Medici Senza Frontiere torna in mare e sfida il decreto

Anche Medici Senza Frontiere poche ore fa si è espresso contro il decreto del governo Meloni, annunciando la nuova partenza della Geo Barents, attualmente ferma al porto di Augusta. «Medici Senza Frontiere è pronta per ripartire con la Geo Barents. La strategia del governo ha l’obiettivo di ostacolare le attività di ricerca e soccorso delle Ong e non fa che aumentare in modo esponenziale il rischio di morte per migliaia di persone», ha spiegato il capomissione di MSF Juan Matias Gil. «Salvare vite umane è il nostro imperativo ed è un obbligo sancito da tutte le convenzioni e le leggi internazionali e per questo continueremo a farlo». Tra il 31 dicembre e il 1° gennaio la Geo Barents tornerà a navigare nel Mediterraneo con l’obiettivo di salvare vite. Ma il decreto preoccupa. «Immaginate un incidente in auto con molti feriti e le ambulanze costrette a portarli negli ospedali di un’altra regione. A un certo punto non ci saranno più ambulanze disponibili. È quello che succederà da oggi nel Mediterraneo», ha aggiunto tramite gli account ufficiali dell’ong il presidente Marco Bertotto.

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Bollette, per la luce calo del 19,5% nel 2023: le nuove tariffe di Arera fino a marzo

29 Dicembre 2022 - 18:54 Redazione
Con la proroga degli interventi contro il caro-bollette nella legge di Bilancio, l'agenzia conferma l'azzeramento degli oneri di sistema per le utenze domestiche e le piccole imprese

È previsto un calo di quasi il 20% per i primi tre mesi del 2023, secondo le ultime stime dell’agenzia Arera per le tariffe energetiche sui mercati tutelati. «Alla luce del calo delle quotazioni all’ingrosso dei prodotti energetici», spiega l’agenzia, «oltre agli interventi voluti dal governo Meloni contro il caro-bollette inseriti nella legge di Bilancio, nel primo trimestre del nuovo anno il prezzo di riferimento dell’energia elettrica per una famiglia tipo in mercato tutelato scenderà del 19,5% rispetto al trimestre precedente». Già negli ultimi tre mesi del 2022, il prezzo unico nazionale dell’elettricità (Pun) aveva registrato un calo del 48% rispetto ai livelli particolarmente alti tra luglio e settembre 2022, cioè 246 euro al megawattore contro 472 euro al MWh della media trimestrale.

Confermato sconto su materia prima del gas

L’agenzia fa anche sapere che è stata confermata l’applicazione della componente negativa UG2, che sconta il prezzo della materia prima gas, fino a 5.000 smc/anno. Tutti interventi che che verranno affiancati dalla riduzione dell’Iva sul gas al 5%. Con la proroga degli interventi contro il caro-bollette nella legge di Bilancio, Arera conferma che nel primo trimestre 2023 saranno azzerati gli oneri generali di sistema per il settore elettrico per le utenze domestiche, oltre che quelle di altro tipo con potenza fino a 16,5 kW. Oneri azzerati invece per tutti senza distinzioni per quanto riguarda le bollette del gas. I cosiddetti “oneri nucleari” a partire dal 2023 saranno sostenuti direttamente dal Bilancio dello Stato e non saranno più presenti in bolletta.

Si allarga la fascia dei beneficiari dei bonus sociali

La legge di bilancio del governo Meloni ha anche previsto per il primo trimestre del 2023 l’ampliamento della fascia dei beneficiari ammessi ai bonus sociali. Il livello Isee necessario per usufruirne sale da 12.000 a 15.000 euro, fino a 20.000 euro per le famiglie numerose. La spesa per la bolletta elettrica della famiglia-tipo nel periodo tra il 1° aprile 2022 e il 31 marzo 2023 sarà di circa 1.374 euro, +67% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente, e cioè tra il 1° aprile 2021 e il 31 marzo 2022.

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La locandina della vergogna per il Capodanno nazista a Varese, bufera sulla festa degli estremisti del gruppo DoRa

29 Dicembre 2022 - 18:36 Ygnazia Cigna
La replica dei militanti: «Un clamore immotivato»

Il gruppo di estrema destra filonazista dei Do.Ra ha realizzato una locandina dell’evento di capodanno previsto nella loro nuova sede di Azzate, in provincia di Varese, con una foto che ritrae quattro membri delle SS naziste che brindano durante una festa al centro di sterminio di Sobibor, nella Polonia occupata dai tedeschi, come ricorda Varesenews. È solo l’ultima provocazione dell’organizzazione che ha scatenato le proteste di diverse associazioni, a cominciare da Memoria Antifascista, seguita dall’Anpi di Milano e della Lombardia che hanno chiesto, attraverso un post firmato dal presidente milanese dell’associazione dei partigiani, Roberto Cenati, che questa «pericolosa setta venga sciolta dalla magistratura in base alle leggi Scelba e Mancino». Le associazioni esprimono «profonda preoccupazione» per la vicenda, la quale vede coinvolto un gruppo che, tra l’altro, «inneggia alla lotta armata e si contrappone ai principi della nostra Carta Costituzionale». Cenati ricorda che il 27 dicembre di quest’anno è stato il 75° anniversario della promulgazione della Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza. E commenta: «Il modo più significativo per celebrare questa importante ricorrenza sarebbe quello di mettere in atto le necessarie misure per sciogliere la setta nazista dei DO.RA che offende la memoria di coloro che furono perseguitati per la sola colpa di essere nati e di quanti si opposero alle nefandezze del nazifascismo».

Il Pd: «Un insulto immondo ai morti per mano nazista»

La locandina indica che i festeggiamenti del gruppo neonazista inizieranno alle 19 del 31 dicembre presso il circolo culturale Fratelli Gervasini, la nuova sede della Comunità Militante, dopo la chiusura di quella di Caidate di Sumirago (Varese), nel 2017, a seguito di un’inchiesta della Procura di Busto Arsizio. La sede di Azzate è recente, inaugurata a fine ottobre. A unirsi alle associazioni antifasciste è anche l’ex deputato del Pd Emanuele Fiano, secondo il quale quella locandina e quell’evento di fine anno rappresentano «un immondo insulto alla morte per mano nazista di milioni di persone».

La replica di Do.Ra

Non si è fatta attendere la risposta del gruppo di estrema destra. «È un clamore immotivato – ha dichiarato il presidente di Do.Ra Alessandro Limido – perché quella legata ai soldati delle SS è un’iconografia che ci rappresenta da 29 anni. Inoltre si tratta di soldati e non di gerarchi». Per quanto riguarda la serata ha riferito che sarà un capodanno nella loro sede con i militanti e le loro famiglie, circa 40 persone. «La polemica o la si fa sempre o non la si fa mai. La nostra associazione ha 400 iscritti che provengono anche da fuori Varese ma i militanti sono in tutto 32, siamo un gruppo microscopico», aggiunge. Non si tratta, però, della prima provocazione del gruppo in questione. Già lo scorso maggio il leader ha avuto una condanna a 4 mesi per oltraggio a pubblico ufficiale. Inoltre, come sottolinea l’Anpi, si sono resi più volte protagonisti di «sistematiche violenze, intimidazioni, minacce, rivolte tra l’altro in modo continuativo nei confronti del giornalista Paolo Berizzi».

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Conte a raffica contro Meloni: «Scordarella: fosse stato per lei niente Pnrr. Così stende tappeti rossi alla malavita» – Il video

29 Dicembre 2022 - 18:22 Felice Florio
Il leader dei grillini accusa la presidente del consiglio di aver mentito e omesso cose rilevanti nella conferenza stampa di fine anno

Dopo le tre ore di conferenza stampa di Giorgia Meloni, sono arrivati quasi 30 minuti di diretta social di Giuseppe Conte. Il già due volte presidente del Consiglio, con i suoi follower, ha commentato l’operato della nuova inquilina di Palazzo Chigi. I termini usati sono stati molto duri. Riferendosi a Fratelli d’Italia, ha detto: «Questi apprendisti stregoni della politica hanno tagliato il Reddito di cittadinanza, togliendo fondi alle fasce più deboli e a chiunque possa trovarsi in difficoltà. Invece vogliono stendere tappeti rossi ai responsabili della corruzione, ai cosiddetti colletti bianchi della pubblica amministrazione, ma soprattutto alla malavita organizzata che ha già messo gli occhi da tempo sulla torta del Piano di resistenza e resilienza». In materia di giustizia, il presidente del Movimento 5 stelle ha accusato la maggioranza di voler abolire l’abuso di ufficio che, ricorda, è stato già «fortemente circoscritto nella sua discrezionalità originaria» da un decreto del governo Conte. «Si vuole assolutamente introdurre una forte stretta sulle intercettazioni. Per il ministro Nordio le intercettazioni si prestano ad abusi, quindi le buttiamo via. Nordio sembra ignorare che ancora oggi sono lo strumento migliore per contrastare la mafia».

«Dalla legge “spazza corrotti” al piano “salva corrotti”»

«Si propone, si coltiva e si rafforza la cultura dell’omertà – ha aggiunto Conte -. Poche ore fa è stato votato un ordine del giorno proposto da Calenda e Renzi che ha visto l’appoggio delle forze di maggioranza, che vuole spazzare via il blocco della prescrizione introdotto con il ministro Bonafede. In sostanza si sta andando verso un sistema della giustizia che distingue cittadini di Serie A e cittadini di serie B. Nella fascia di Serie A ci sono coloro che possono disporre di collegi difensivi molti agguerriti, oltrepassando la soglia dell’impunità, dall’altro lato cittadini di serie B che non potranno pagarsi avvocati che stanno a cercare tutti i cavilli possibili o addirittura le vittime dei reati che non potranno ottenere giustizia». Con uno slogan, ha chiosato: «Noi stiamo passando dalla legge “spazzacorrotti” che abbiamo introdotto col ministro Bonafede, che ha conquistato gli elogi a livello nazionale e internazionale di osservatori ed esperti, al piano salva corrotti».

«Meloni dice bugie, o meglio omette»

Conte ha dichiarato di aver ascoltato tutta la conferenza stampa di Meloni. Ha definito il capo dell’esecutivo «una presidente “scordarella”». Il motivo sarebbe che «ancora una volta, ha cercato di dire una bugia, o meglio un’omissione. Ha detto che lei i soldi del Next generation Eu non li ha contrastati. Ha motivato l’astensione sul voto in parlamento con il fatto che il Pnrr fosse arrivato poche ore prima, ma ha omesso di ricordare che i parlamentari di FdI, per tante volte all’Europarlamento, non hanno votato a favore di Next generation. Se fosse stato per loro, i soldi non sarebbero arrivati». Infine, il leader dei 5 stelle ha concluso con un monito al presidente della Camera Lorenzo Fontana, suggerendogli di non ricorrere alla cosiddetta ghigliottina parlamentare per il percorso di approvazione del decreto rave.

«Decreto rave è norma da stato di polizia»

«Abbiamo un decreto, il decreto rave, che nasce da un’occasione contingente, il rave di Modena. Una norma scritta malissimo, da stato di polizia, tant’è vero che il governo è tornato sui suoi passi denunciando la propria imperizia. L’ha riformulata per renderla minimamente accettabile. Il ministro Ciriani ha dimostrato scarsa conoscenza e scarsa sensibilità istituzionale perché ha invocato a nome del governo l’applicazione della cosiddetta ghigliottina che è uno strumento per contingentare, silenziare le forze politiche d’opposizione come la nostra, e che è prerogativa del presidente della Camera. Ha invaso le prerogative del presidente della Camera. Noi confidiamo che il presidente della Camera non attiverà la ghigliottina e continueremo a parlare in aula nelle prossime ore e siamo disposti a farlo per tutta la prossima notte».

Il video della diretta social

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Serbia-Kosovo: via le barricate, riapre il confine. Segnali di pace o pausa strategica? – L’intervista

29 Dicembre 2022 - 18:12 Simone Disegni
L'analista Ispi Giorgio Fruscione ricostruisce con Open la crisi rientrata tra Belgrado e Pristina: «Possibile riconoscimento reciproco nei prossimi mesi. L'Italia spinga per l'integrazione Ue dei Balcani»

Via le barricate nel nord del Kosovo, riaperto il valico di frontiera con la Serbia. Sembra finalmente sciogliersi la tensione montata nelle ultime settimane tra Belgrado e Pristina attorno al ruolo della minoranza serba nel nord del Kosovo, giunta al picco all’inizio di questa settimana con l’annuncio minaccioso del governo di Belgrado di aver predisposto l’esercito «al massimo livello di preparazione al combattimento». Il segnale della retromarcia sulla linea dello scontro è arrivato nella tarda serata di ieri dal presidente serbo, Alexsandar Vucic, che dopo aver incontrato i rappresentanti della minoranza di connazionali in Kosovo ha annunciato il via libera allo smantellamento delle barricate da loro erette. Operazione in corso in queste ore, secondo quanto confermano le agenzie di stampa. Il Kosovo, per tutta risposta, ha riaperto il valico di Merdare, principale passaggio di frontiera tra i due Paesi chiuso dalle autorità soltanto ieri. Due segnali concreti salutati con soddisfazione dall’Alto rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, che ha parlato di «successo della diplomazia» e di «grande lavoro di squadra di Ue, Usa e Nato», ringraziando i leader dei due Paesi. E che potrebbero preludere ad un percorso di riavvicinamento ben più solido tra Serbia e Kosovo nei prossimi mesi, fino anche al possibile riconoscimento reciproco, quanto meno di fatto, inseguito da 15 anni – sostiene in quest’intervista a Open Giorgio Fruscione, analista dell’Istituto di studi di politica internazionale (Ispi) ed esperto di Balcani.

Neppure 72 ore fa il governo serbo annunciava la mobilitazione dell’esercito «al massimo livello di prontezza per i combattimenti». Oggi si smantellano le barricate e l’Ue brinda al successo della diplomazia. Che succede tra Belgrado e Pristina?

Succede che due fatti nuovi hanno consentito di far sgonfiare la tensione accumulatasi da settimane. Da un lato il comunicato congiunto Ue-Usa ha accolto una richiesta chiave di Belgrado, quella di garantire l’immunità ai serbi del Kosovo che hanno eretto le barricate, annoverandole come proteste pacifiche. Dall’altra – è plausibile ipotizzare sulla scorta della pressione internazionale – la magistratura kosovara ha deciso di rilasciare l’ex agente serbo Dejan Pantic, il cui arresto aveva dato inizio alle barricate, concedendogli i domiciliari. E così la tensione è scemata tanto rapidamente quanto era montata – una caratteristica tipica delle crisi cicliche tra Serbia e Kosovo. 

Fattori sufficienti per pensare che la tregua possa riportare Serbia e Kosovo al dialogo, o solo per un rinvio della tensione alla prossima scaramuccia?

C’è un elemento che è passato a prima vista inosservato nel comunicato congiunto diramato ieri da Ue e Usa, ma che potrebbe fornire una chiave per leggere i prossimi possibili passi. A chiusura della nota, Bruxelles e Washington raccomandano che «tutte le disposizioni del Dialogo siano applicate senza indugio». Il riferimento è al Dialogo politico formale tra Pristina e Belgrado, e in particolare all’istituzione dell’Associazione delle municipalità serbe, entità prevista dagli Accordi di Bruxelles del 2013 e mai realmente creata, e che potrebbe condurre alla tanto agognata normalizzazione dei rapporti.  

Di che si tratta?

Di un’entità politico-amministrativa che dovrebbe riunire e rappresentare i Comuni a maggioranza serba del nord del Kosovo, dando loro legittimazione. Sinora le autorità di Pristina ne hanno bloccato di fatto l’istituzione, prevista dagli Accordi del 2013, nel timore che l’Associazione possa trasformarsi nel tempo in uno «Stato nello Stato» – sul modello della repubblica serba di Bosnia-Erzegovina – e preludere ad una secessione. Ma ora Usa e Ue sconfessano di fatto questa tesi e chiedono di procedere alla sua creazione, accogliendo una richiesta chiave di Belgrado.

Perché questo passo sarebbe così significativo?

Perché la creazione di quest’Associazione potrebb’essere un passo in direzione di un’intesa più ampia nei prossimi mesi. Il ragionamento implicito della diplomazia occidentale sarebbe in sostanza quello di concedere una vittoria al partner più riottoso, la Serbia, in cambio dell’impegno ad un accordo di più ampio respiro nei prossimi mesi. 

Ossia del riconoscimento del Kosovo, negato strenuamente dal 2008? 

Certamente di un accordo complessivo sul rapporto con Pristina che integri o sostituisca gli Accordi di Bruxelles del 2013: verosimilmente in direzione non di un riconoscimento esplicito del Kosovo, ma di fatto. Sui tavoli delle diplomazie c’è da qualche mese una proposta franco-tedesca, supportata dall’Ue, sui cui dettagli vige il riserbo più assoluto. Si pensa però che possa prevedere un reciproco riconoscimento indiretto: si parlerebbe di riconoscimento dell’inviolabilità dei confini e di scambio di rappresentanze permanenti tra le due parti. Non si riconoscerebbe formalmente il Kosovo insomma, ma la sua realtà di fatto sì. Almeno in un primo momento. Se questa è la strada, si spiegherebbe a ritroso anche la prova di forza messa in scena negli ultimi giorni da Belgrado: il governo serbo ha bisogno di mostrare alla sua opinione pubblica interna di saper mostrare i muscoli a tutela dell’interesse nazionale, prima di sedersi al tavolo a firmare un’intesa potenzialmente “dolorosa” da digerire internamente. 

Ciò dimostrerebbe, visto dal lato occidentale, che l’Unione europea può contare su leve tutt’altro che spuntate per portare i partner della regione sulla strada desiderata.

Certo, a patto che sia pronta e determinata ad utilizzarle. Al contrario della tanto menzionata Russia, che sul piano degli scambi è un partner solo di terza o quarta fascia, la Serbia non può fare a meno dal punto di vista commerciale dei Paesi Ue, con l’Italia tra i Paesi più rilevanti. E anche sul piano diplomatico, la promessa dell’accelerazione del percorso di adesione all’Ue funziona eccome come “carota” per spingere alla normalizzazione dei rapporti con Pristina. Piuttosto, per farsi trovare pronta al prossimo appuntamento, l’Ue dovrebbe risolvere il suo paradosso interno, considerato che ancora 5 dei suoi stessi Paesi membri non riconoscono il Kosovo. Sarebbe imbarazzante se a un riconoscimento anche solo de facto arrivasse prima la Serbia della Spagna o di Cipro!

Quanto al piano prettamente politico, invece, la Russia ha soffiato oppure no sul fuoco di questa crisi?

Sul piano politico la Russia è certamente un alleato di prima fascia della Serbia, che conta su Mosca per tre “beni essenziali” di politica estera: il gas, il petrolio e il supporto sulla questione-Kosovo. Ma in questa come in tutte le altre crisi regionali sarebbe sbagliato interpretare il ruolo della Russia come protagonista. Mosca agisce piuttosto dalle retrovie, in maniera indiretta, sfruttando – questo sì – l’instabilità generata dalla tensione. È evidente che ne trae infatti benefici, perché essa rallenta di fatto l’integrazione euro-atlantica della regione, e perché è un altro focolaio nel cortile di casa che impensierisce l’Ue. 

Pur nel nostro immediato, di cortile di casa, l’Italia appare cronicamente disattenta a quanto accade nei Balcani. Il nuovo ministro degli Esteri Antonio Tajani ha detto però di recente di voler invertire questa tendenza. In che modo potrebbe aiutare concretamente a consolidare la stabilizzazione della regione?

Il ministero degli Esteri italiano in questi pochi mesi di nuova guida si è speso molto, almeno a parole, sui Balcani: nelle intenzioni pare occupare uno spazio rilevante. Sia Tajani che il ministro della Difesa Crosetto sono volati a Belgrado e Pristina a fine novembre per tentare di mediare sulla cosiddetta «guerra delle targhe», poi rientrata. In prospettiva, è difficile immaginare un ruolo significativo dell’Italia sul piano dei rapporti bilaterali, ma sarebbe invece consigliabile che Roma si facesse promotrice all’interno dell’Ue di una rinnovata sinergia tra coloro che spingono per l’integrazione dei Balcani nell’Unione. Il che è tutt’altro che scontato – basti pensare al freno a mano tirato recentemente dalla Francia sul processo di allargamento. L’impegno dell’Italia sarà tanto più efficace quanto più sarà canalizzato all’interno di uno sforzo d’insieme per la stabilizzazione dell’intera regione.

Foto di copertina: EPA/STR

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29 Dicembre 2022 - 17:56 Giada Giorgi
«I Paesi dell'Ue hanno livelli relativamente alti di immunizzazione e vaccinazione, lo screening non è necessario», spiegano gli esperti dell'Ecdc

Mentre l’Italia ufficializza il piano di prevenzione per arginare il rischio di una nuova possibile ondata di contagi dalla Cina e l’Unione Europea convoca il Comitato per la sicurezza sanitaria, il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) frena gli allarmismi sul pericolo cinese. «Lo screening dei viaggiatori dalla Cina è ingiustificato per l’Ue», ha scritto in una nota l’ente di controllo internazionale, riferendosi alla decisione di tamponamento obbligatorio per tutti i viaggiatori provenienti dalla Cina. «I Paesi dell’Ue hanno livelli relativamente alti di immunizzazione e vaccinazione», spiegano ancora gli esperti, «e le varianti che circolano in Cina sono già in circolazione nell’Ue. La misura di screening dunque non è necessaria a livello dell’Unione Europea nel suo complesso». Una posizione del tutto contraria al clima di preoccupazione che gli arrivi dal paese asiatico hanno provocato in primis in Italia, dove gli screening effettuati all’aeroporto di Milano Malpensa hanno registrato un positivo al virus su due. L’ente di controllo mette ora un freno a un possibile nuovo piano europeo anti Covid ricordando quanto la strategia di lotta al virus finora portata avanti in Ue rappresenti ancora un valido scudo di protezione dalla minaccia cinese. A differenza di quanto successo a Pechino, gli esperti ribadiscono quanto i vaccini in Ue abbiano già fatto la loro parte, garantendo un livello di copertura ancora sufficiente per garantire tranquillità. Stesso discorso per il pericolo varianti. Quelle cinesi sarebbero, almeno per ora, le stesse diffuse anche in Ue, e per questo ancora gestibili.

I dati in Italia sugli arrivi in Cina

A conferma del dato sostenuto dall’ente di controllo c’è anche il monitoraggio italiano sugli arrivi dalla Cina: i 15 tamponi con la carica virale più alti sottoposti a sequenziamenti hanno tutti rilevato la presenza di Omicron, la variante già attualmente più diffusa in Italia. Se l’Ecdc mette un freno alla mobilitazione sanitaria dell’Ue, la Cina protesta, parlando di misure «che favoriscono la discriminazione tra i popoli». A dirlo è stato il ministro degli esteri cinese Wang Wenbin, commentando la decisione, in primis dell’amministrazione Biden, di richiedere test Covid ai viaggiatori cinesi. «Le misure dovrebbero essere basate sulla scienza e appropriate», ha detto Wenbin, «e dovrebbero trattare i cittadini di tutti i paesi in modo equo».

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Mantova, il caso della 37enne morta in casa dopo essere stata tre volte al pronto soccorso: indaga la procura

29 Dicembre 2022 - 17:49 Redazione
Aperta un'indagine per chiarire eventuali responsabilità sulla morte di Paula Almeida, madre di due bambine, che da alcune settimane lamentava in ospedale dolore al petto e al braccio

Nelle ultime due settimane Paula Almeida accusava un dolore al braccio e al petto, che è andato via via intensificandosi. Per tre volte è andata all’ospedale di Mantova, per tre volte è tornata a casa, l’ultima di sua spontanea volontà. Ma la mattina seguente, mercoledì 28 dicembre, il marito l’ha trovata senza vita nel suo letto, e ora la procura di Mantova ha aperto un’inchiesta. La vittima è Paula Almeida, 37 anni e madre di due bambine di 2 e 6 anni, di nazionalità brasiliana e residente nel quartiere Cittadella insieme al marito. Sarà l’autopsia a dare una prima risposta ai tanti quesiti. La prima volta che ha avvertito i dolori, circa due settimane prima, la donna si è recata all’ospedale Carlo Poma per un accertamento ed è stata poi dimessa. Alcuni giorni più tardi, l’affaticamento non se ne è andato anzi, si è intensificato, per cui la 37enne il 27 dicembre è tornata al pronto soccorso insieme al marito. «Mi fa male un braccio ma forse è perché tengo tanto in braccio mia figlia più piccola», aveva detto ai sanitari.

Accolta in reparto alle 3.58, secondo quanto risulta all’azienda ospedaliera, veniva dimessa qualche ora più tardi. Ma il giorno successivo il malessere era ancora più forte, così entrava per la terza volta in ospedale, la seconda in 36 ore, e questa volta portata da un’ambulanza. I sanitari le avevano assegnato il codice arancione, dando anche un ansiolitico per calmare la paziente, in forte stato di agitazione. Questa volta, la donna sarebbe poi tornata spontaneamente a casa, prima dell’arrivo dello specialista. Il medico che l’aveva esaminata ha anche chiesto una consulenza psichiatrica, ricordando che la donna un anno prima aveva avuto un episodio simile. La Procura ha disposto l’autopsia per verificare l’eventuale correlazione tra il malore e le due visite al pronto soccorso nel giro di poche ore. Il marito è assistito dai legali dell’associazione di volontariato Piccolo Brasile che si occupa degli immigrati dallo Stato sudamericano, per capire che cosa sia realmente successo e come sua moglie sia morta.

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Ai mondiali di scacchi senza velo, la campionessa iraniana in fuga da Teheran: «Cerca rifugio in Spagna»

29 Dicembre 2022 - 17:36 Ygnazia Cigna
Anche un'altra scacchista di Teheran aveva gareggiato senza hijab: Atousa Pourkashiyan

Sara Khadim al-Sharia, la campionessa di scacchi iraniana che ha partecipato ai mondiali 2022 in Kazakistan senza indossare l’hijab, intende trasferirsi in Spagna. È quanto confermano due fonti vicine alla giovane a El Pais, senza precisare in quale città. Non si sa ancora se al-Sharia abbia già ottenuto un un permesso di soggiorno spagnolo o se abbia chiesto o intenda chiedere asilo politico. Attualmente, è la giocatrice di scacchi iraniana più affermata. È riuscita a guadagnarsi il grado di gran maestra femminile e ha vinto inoltre il titolo di maestra internazionale di scacchi all’84mo Congresso mondiale, all’età di 18 anni. Oltre a lei, la cui vicenda avvenuta lo scorso 27 dicembre è diventata nota, anche un’altra scacchista iraniana ha partecipato al Campionato mondiale 2022 in Kazakistan senza indossare il velo. Si tratta di Atousa Pourkashiyan che ha gareggiato a volto scoperto.

L’hijab al centro delle proteste degli ultimi mesi

L’hijab, che è obbligatorio secondo il rigido codice di abbigliamento islamico dell’Iran, è diventato il centro delle proteste contro il governo iraniano. In particolare, a seguito dell’uccisione di Mahsa Amini, la 22enne morta sotto custodia della polizia morale dopo essere stata fermata proprio perché non indossava correttamente il velo. Da quel giorno, il 16settembre, il Paese ha iniziato la rivolta. Il gesto di protesta delle due scacchiste si unisce, infatti, a quelli di tanti altri giovani e non che si stanno ribellando ai dettami del regime di Teheran. Solo pochi giorni fa un 38enne iraniano, Mohammad Moradi, si è suicidato lasciando un messaggio: «Ho deciso di suicidarmi perché è diventata una sfida dimostrare che noi, popolo iraniano, siamo molto stanchi di questa situazione».

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Pensionati, disoccupati, colpiti dalla pandemia: tra le persone in coda a Milano per il cibo gratis – Il video

29 Dicembre 2022 - 16:38 Gianluca Brambilla
A Milano la onlus Pane Quotidiano distribuisce ogni giorno beni alimentari a chiunque ne faccia richiesta. Alle 7 del mattino, prima dell'apertura dei cancelli, centinaia sono già in coda

Alle 7 di mattina in viale Toscana, a Milano, è ancora buio. Sulle strade cominciano a incolonnarsi le auto di chi si sposta per andare al lavoro. Qui, però, il vero traffico è sul marciapiede. Al civico 28, infatti, c’è una delle due sedi milanesi di Pane Quotidiano, una onlus che distribuisce ogni giorno beni alimentari a chiunque ne faccia richiesta. Manca ancora mezz’ora all’apertura dei cancelli, ma il colpo d’occhio è già impressionante: centinaia di persone in coda lungo il marciapiede, in attesa di ricevere la propria razione di cibo. «La mattina della vigilia di Natale abbiamo raggiunto quasi un record: 4.400 ospiti in coda qui e alla sede di viale Monza», racconta Luigi Rossi, vicepresidente di Pane Quotidiano. Nel 2022, le razioni di cibo distribuite gratuitamente a Milano sono state 1,3 milioni. Un dato che, spiega Rossi, «è in crescita almeno del 10% rispetto agli anni precedenti».

Le storie di chi chiede aiuto

Nei racconti degli ospiti che ogni mattina si presentano ai cancelli di viale Toscana si intrecciano storie di difficoltà economiche e precarietà lavorativa. Il 65% di loro, spiegano alcuni volontari, è di origine straniera, spesso disoccupati o con mansioni poco redditizie. Tra gli italiani, invece, sono gli anziani la fascia d’età più fragile. Tra loro c’è anche Sergio Cogo, 80 anni, che da inizio 2020 si rivolge quasi ogni giorno a Pane Quotidiano. «Fino all’arrivo del Covid cercavo di arrotondare lavorando come domestico. Negli ultimi anni, però, sono rimasto disoccupato. E in una città come Milano, una pensione da 700 euro non è abbastanza per vivere», ci racconta. Ed è proprio per risparmiare almeno sulle spese alimentari che Sergio si mette in fila ogni mattina al Pane Quotidiano di viale Toscana: «Vivo da solo e ho anche altre spese da sostenere. Perciò mi faccio bastare il cibo che mi danno qui ogni giorno». In fila insieme a Sergio c’è anche Elsa (nome di fantasia), una 83enne di origini tedesche che accetta di raccontare la sua storia a patto di non apparire in video e di non fornire il suo vero nome. «Quando posso vengo qui per risparmiare qualche soldo e dare una mano a mia figlia e ai miei nipoti», spiega Elsa. «L’altro mio figlio, però, non sa che vengo qui a chiedere da mangiare. E preferisco continuare a non dirglielo». In coda ad attendere una razione di cibo c’è anche Marco, 50 anni, che da mesi è in cerca di un lavoro. «Prima che arrivasse il Covid lavoravo come guardia di sicurezza. Sto cercando offerte anche in altri settori, ma finora senza risultati», ci racconta. Al momento, Marco vive a casa di alcuni amici, che lo ospitano a Milano senza chiedere nulla in cambio. Senza una fonte di reddito, però, anche trovare da mangiare rischia di diventare un problema. «Ho fatto richiesta per il reddito di cittadinanza ma ricevo solo 96 euro», si sfoga. «Per questo ogni tanto sono costretto a venire qui al Pane Quotidiano».

L’impatto della pandemia

Le vacanze di Natale stanno mettendo a dura prova gli oltre 200 volontari che lavorano nelle due sedi milanesi di viale Toscana e viale Monza. Sommando i dati del 24 e 25 dicembre, sono circa 10mila gli ospiti che si sono messi in fila per chiedere aiuto a Pane Quotidiano. La verità, però, è che questo fenomeno è in crescita ormai da alcuni anni. «Quando ho iniziato a venire qui nel 2016, facevamo poco più di mille pasti al giorno. Ora invece superiamo abbondantemente quota duemila», racconta la volontaria Paola Capitelli. «Il vero momento di svolta è stata la pandemia: dopo i primi mesi del Covid, il numero di ospiti ha iniziato a crescere sempre di più». Alla crisi economica post-pandemia si è aggiunto poi l’aumento del costo della vita, con bollette di luce e gas sempre più care e carrelli della spesa sempre più difficili da riempire. «Nel 2022 abbiamo registrato un aumento del 10% di ospiti rispetto agli anni precedenti», commenta Rossi. «Il nostro auspicio è che nel 2023 questo trend si inverta. A prescindere da quello che succederà, però, noi resteremo sempre qui ad aiutare chi ha più bisogno».

ANSA / MOURAD BALTI TOUATI | La fila di persone in attesa di ricevere una razione di cibo gratis alla sede di Pane Quotidiano di viale Toscana a Milano (24 dicembre 2022)

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