La decisione si inserisce nel lungo dibattito avviato da qualche anno negli Usa sulla scarsa sicurezza dei dati degli utenti
ByteDance, la società cinese a capo di TikTok, ha licenziato quattro dipendenti accusati di aver fatto accesso in modo illegale ai dati degli utenti di due giornaliste: Cristina Criddle del Financial Times e Emily Baker-White di Forbes. Due dei licenziati erano cinesi, gli altri due statunitensi e per l’azienda si occupavano di monitorare il comportamento del personale. Sono finiti nel mirino della società perché avrebbero attuato un piano di ricerca illegittimo per trovare determinati dati, al fine di capire se le due reporter si trovassero nello stesso posto di alcuni dipendenti sospettati di essere l’origine di una fuga di notizie avvenuta a inizio anno, e che è stata raccontata in un’inchiesta di Forbes a ottobre. Ricevuta la notizia sulle loro dipendenti, le testate delle giornaliste hanno rilasciato alcune dichiarazioni. «Spiare i giornalisti, interferire con il loro lavoro o intimidire le loro fonti è del tutto inaccettabile. Indagheremo su questa storia in modo più approfondito prima di decidere la nostra risposta formale», ha fatto sapere il Financial Times. Mentre Forbes ha riferito che ByteDance avrebbe rintracciato diversi suoi giornalisti nell’ambito di una «campagna di sorveglianza segreta», volta a scoprire chi ci sia dietro le fughe di notizie. Un pericoloso «attacco diretto all’idea di una stampa libera e al suo ruolo fondamentale in una democrazia funzionante».
La risposta di TikTok: «Un caso isolato»
TikTok, però, prende le distanze. Il Ceo della piattaforma, Shou Zi Chew, ci ha tenuto a sottolineare con una nota che la cattiva condotta dei 4 dipendenti «non è rappresentativa dei principi dell’azienda». E ha annunciato che «la società continuerà a migliorare i protocolli di accesso, che sono già stati migliorati e rafforzati» da quando è scoppiato il caso dei licenziamenti.
La crociata contro l’app va (in realtà) avanti da tempo
Questi licenziamenti rientrano nel lungo dibattito in merito alla presunta scarsa sicurezza dei dati degli utenti della piattaforma. Nelle ultime settimane, infatti, diversi Stati americani hanno vietato l’uso di TikTok sui dispositivi governativi per motivi di sicurezza nazionale. Lo scorso martedì, 20 dicembre, il senatore repubblicano Marco Rubio ha presentato un disegno di legge bipartisan per vietare l’app. Proposta normativa seguita poco dopo da un’altra del parlamentare repubblicano Mike Gallgher e del democratico Raja Krishnamoorthi. Secondo Gallagher, continuare a permettere a TikTok di operare negli States «sarebbe come aver permesso all’Urss di acquistare il New York Times, il Washington Post e le principali reti radiotelevisive durante la Guerra fredda». Il primo ad avviare la crociata americana contro la piattaforma è stato l’ex presidente americano Donald Trump che nel 2020 ha provato a bloccare sia WeChat che TikTok ai cittadini statunitensi, ma senza riuscirci.
L’università che ha bannato TikTok
ByteDance pensava di essersi lasciata alle spalle i tentativi di ban dell’era trumpiana. Ma la questione è tornata al centro del dibattito e in questo clima di scetticismo iniziano a mobilitarsi anche le università. In particolare, un istituto dell’Oklahoma ha di recente inviato una circolare agli studenti e al personale annunciando che non potranno più accedere all’app con la rete wi-fi dell’istituto e con i loro dispositivi.
E in Europa?
Scetticismo anche dalll’Ue. La Commissione europea, lo scorso mese, ha fatto sapere che si è messa in allerta per alcune pratiche poco trasparenti della piattaforma. A confermarlo la stessa presidente Ursula von der Leyen, dopo essere stata sollecitata con una lettera da alcuni eurodeputati, tra cui gli italiani Carlo Fidanza di Fratelli d’Italia e Susanna Ceccardi della Lega. Nel testo venivano segnalati alla presidente alcuni trasferimenti di dati dei cittadini europei alla Cina. E von der Leyen ha spiegato che la piattaforma è stata sottoposta ad alcune inchieste interne per capire la conformità di questi trasferimento con il GDPR. Mentre in Norvegia, nelle scorse settimane, erano piovute critiche sulla ministra della Giustizia, Emilie Enger Mehl, accusata di scarsa cautela per essere sbarcata sulla piattaforma da oltre un miliardo di utenti senza prima consultarsi con le autorità di sicurezza del Paese.
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