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Covid in Cina, l’ospedale di Shanghai: «Prepararsi a una tragica battaglia». Le vittime sarebbero già 5mila al giorno

22 Dicembre 2022 - 15:53 Simone Disegni
Secondo lo studio di una società d'analisi britannica, i casi potrebbero esplodere fino a 3,7 milioni al giorno a gennaio

Dietro la cappa ufficiale sui dati stesa dal goveno di Pechino, cresce l’allarme per il nuovo aumento dei casi di Covid-19 in Cina. Un ospedale di Shanghai, la seconda città più popolosa del Paese, avrebbe detto ai suoi dipendenti di prepararsi a una «tragica battaglia» contro il virus: la previsione fatte dalla direzione sanitaria, secondo quanto riferisce Reuters, sarebbe quella di metà della popolazione della città, pari a circa 25 milioni di persone, infettata entro la fine dell’anno. Una previsione inquietante, per il Paese di Xi Jinping e per il mondo, e che sembra fare a pugni con le statistiche ufficiali diramate dalle autorità sanitarie: nella giornata di ieri la Cina ha riportato ufficialmente meno di 3mila casi sintomatici e zero morti per Covid, a seguito di una ridefinizione dei criteri di conteggio dei decessi. Ma una serie crescente di indizi – dalle code di bare davanti ai forni crematori ai report delle situazioni negli ospedali, sino alle segnalazioni di cittadini e operatori funebri che si levano sui social media cinesi – sembra suggerire una realtà drammaticamente diversa. Secondo un’analisi condotta da Airfinity, un centro studi basato a Londra, le infezioni attualmente registrate ogni giorno in Cina potrebbero essere 1 milione, e 5mila le morti causate dal virus. Se così stanno le cose, prevede ancora la società di ricerche epidemiologiche, la situazione non farà che peggiorare nelle prossime settimane: i casi potrebbero crescere a 3,7 milioni al giorno a gennaio, e sino a 4,2 milioni al giorno a marzo. Dati che metterebbero seriamente a rischio la solidità del sistema produttivo cinese, oltre che potenzialmente la coesione sociale obiettivo cardine del governo di Pechino, già messa alla prova dalle proteste popolari del mese scorso.

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ATTUALITÀDepistaggiDisabilitàHasib OmerovicInchiesteLazioPoliziaRomaTortura

Caso Omerovic, così agiva la gang dei poliziotti nell’inchiesta su torture e depistaggi. L’agente pentito: «Mi sono vergognato»

22 Dicembre 2022 - 15:36 Antonio Di Noto
Oltre ad Andrea Pellegrini, ci sono altri quattro poliziotti indagati per falso e depistaggi sul caso della perquisizione «finita male» degli agenti nel quartiere Primavalle a Roma. Hasib Omerovic intanto starebbe meglio, ma non ancora nella condizioni di poter testimoniare

Andava redatta una relazione di servizio «per pararsi il culo dall’ondata di mer*a che quando arriva sommerge tutti». Questo è quello che si legge in un messaggio che un ispettore in servizio presso la Squadra Mobile ha inviato a una collega del commissariato di Primavalle (Roma), dopo che Hasib Omerovic si era buttato dalla finestra di casa sua, lo scorso 25 luglio, durante una perquisizione della polizia durante la quale l’agente Andrea Pellegrini, ora sotto arresto per tortura, lo avrebbe preso a schiaffi e legato a una sedia con il cavo del ventilatore minacciandolo di «infilarglielo nel culo» senza curarsi della possibilità che il ragazzo morisse. «Che te frega se more». Brandendo un coltello avrebbe sfondato la porta dell’appartamento in cui la polizia era entrata senza permesso, fino a spaventare Omerovic talmente tanto che la finestra gli è persa l’unica via di fuga. Pellegrini verrà sentito nei prossimi giorni nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia del gip.

La relazione falsa

Nel registro degli indagati della procura coordinata dall’aggiunto Michele Prestipino, oltre a Pellegrini, ci sono altri quattro agenti per le accuse di falso e depistaggio in relazione proprio al rapporto di servizio stilato da Pellegrini e due colleghi dopo i fatti di via Gerolamo Aleandro di Roma. Per questo ai due ispettori sopraggiunti successivamente era stato raccomandato «di svolgere in modo accurato le indagini poiché le cose non stanno come hanno scritto gli operanti» che avevano redatto il rapporto, si legge nel documento del gip, che evidenzia anche come non vi fossero valide ragioni per giustificare, nel caso in questione, l’accesso a un’abitazione privata. C’è tanto falso nella vicenda, anche tra colleghi della polizia. Nel pomeriggio del 25 luglio, Pellegrini chiamò un agente della Polizia Locale di Roma sostenendo che «la persona si era buttata di sotto una volta che loro erano giù nel cortile» si legge nell’ordinanza del gip che spiega come le parole di Pellegrini sono state smentite da quelle di un collega, che ha deciso di collaborare con gli inquirenti.

La confessione dell’agente: «Mi vergognavo»

L’agente, uno dei due che ha scritto la relazione di servizio assieme a Pellegrini, ha confessato di non aver riferito ai suoi superiori l’accaduto, e ha smentito che Omerovic si sia buttato quando gli agenti si trovavano nel cortile. Solo ad alcuni colleghi aveva rivelato dei dettagli parziali, ma l’intera storia non era trapelata, ha spiegato agli inquirenti, anche per la paura che Pellegrini, un suo superiore, si ritorcesse contro di lui. Almeno non fino a quando il peso mediatico della vicenda ha iniziato a farsi insostenibile. A quel punto l’agente avrebbe raccontato i fatti al dirigente «per riferire le cose come erano andate perché in queste situazioni è inutile cercare di nasconderle». Per ora non si può contare, invece, sulla testimonianza di Omerovic, che dopo essere precipitato dal palazzo si trova nel reparto di riabilitazione del policlinico Gemelli. Vivo, ma ben lontano dal poter fornire la sua versione dei fatti.

Giannini: «Siamo sempre stati trasparenti»

«È una vicenda grave, il primo sentimento è di rammarico per quello che è successo e la vicinanza alla famiglia: speriamo si possa riprendere. Ci sono anche serenità e orgoglio per aver fatto quello che bisognava fare, per esserci messi a disposizione della procura in indagini affidate alla Squadra Mobile che ha ricostruito il quadro che ha portato al provvedimento». Così ha commentato i fatti il capo della polizia Lamberto Giannini. «Ogni ricostruzione investigativa deve essere sottoposta al vaglio di un giudice e aspettiamo con serenità le decisioni», ha aggiunto, per poi precisare: «Bisogna affrontare i problemi con serenità e trasparenza e c’è sempre la presunzione di non colpevolezza. Spero che la cittadinanza dia per scontata la nostra trasparenza: faremo di tutto perché questo atteggiamento sia percepito sempre».

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POLITICAAbuso d'ufficioCarlo NordioFdIGoverno Meloni

Nordio: «Vogliamo sospendere il reato di abuso d’ufficio»

22 Dicembre 2022 - 15:07 Redazione
Il guardasigilli, in tv, annuncia che il suo dicastero presenterà «una sospensione tout court» entro gennaio

«Velocizzare i tempi del processo» e «dare uno slancio all’economia». Con questi due obiettivi, il ministro della Giustizia Carlo Nordio lavora per stralciare dal codice il reato di abuso d’ufficio. «A gennaio faremo una proposta per la sua sospensione tout court», annuncia a La7. L’impatto, dal punto di vista economico, per il guardasigilli si avrebbe «perché gran parte dell’attività amministrativa è paralizzata dalla cosiddetta “paura della firma”». Nordio non teme che l’esecutivo o parte di esso possa ostacolarlo nell’azione riformatrice: «Il governo appoggerà le mie riforme, anche perché mi hanno chiamato per questo. Queste cose le scrivo da 25 anni, si sorprende solo l’Associazione nazionale magistrati». Poi, da ospite della trasmissione L’aria che tira, riprende anche un altro suo cavallo di battaglia: l’utilizzo spropositato delle intercettazioni. «Non ho mai detto che sarei intervenuto sulle intercettazioni di mafia e terrorismo, per tutti gli altri c’è la possibilità di conciliare diritto cronaca con il diritto alla segretezza delle conversazioni. Un mafioso vero non parla al telefono perché sa che c’è un trojan. Il trojan deve essere tolto, è un’arma incivile». Infine, il successore di Marta Cartabia a via Arenula, fa un passaggio anche sull’inchiesta Qatargate: «Sono un garantista anche in Europa e non conosco l’indagine. Certo la presunzione di innocenza si affievolisce quando trovi in una valigia di una persona alcune centinaia di migliaia di euro – e conclude -. Davanti al reato in flagranza il garantismo crolla».

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ATTUALITÀGoverno MeloniMonopattiniPatenteSicurezza stradale

Via patente a vita se alla guida ubriaco, casco obbligatorio sul monopattino: le ipotesi del governo sulla sicurezza stradale

22 Dicembre 2022 - 14:58 Redazione
Sul tavolo per la riforma del Codice della strada previsti anche crediti scolastici per chi segue corsi di sicurezza stradale e più controlli di notte

Controlli nelle fasce notturne, sanzioni severe per chi provoca incidenti sotto l’effetto di alcol e droga, prevenzione in tema di Codice della strada nelle scuole e obbligo di casco e targhe per i monopattini. Sono alcune delle ipotesi affrontate oggi, 22 dicembre nel vertice al Mit sulla sicurezza stradale dal vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, nonché da quello dell’Istruzione e del merito Giuseppe Valditara e il capo della polizia, Lamberto Giannini. Per il momento si tratterebbe soltanto di un pacchetto di proposte, ma a gennaio 2023 i tecnici del Mit si riuniranno nuovamente per formalizzare le ipotesi e riformare, così, il Codice della strada.

Le ipotesi sul tavolo

La riunione, si legge nella nota del Mit, «è stata l’occasione per fare il punto della situazione su incidenti, funzionamento della patente a punti», ma anche «sulla necessità di coinvolgere maggiormente le scuole in attività di informazione e prevenzione, anche con la possibilità di attribuire crediti scolastici». I ministri del governo Meloni hanno poi deciso di aumentare «i controlli anche nelle fasce notturne» al fine di garantire maggiore sicurezza sulle strade. Come riporta Il Sole 24 Ore infatti, nel 2022 si sono registrate in media otto vittime, molte delle quali giovani. Tra i temi discussi, continua il ministero delle infrastrutture e dei Trasporti, anche «la necessità di un ulteriore giro di vite nei confronti di chi provoca incidenti stradali sotto l’effetto di alcol o droga». Giro di vite annunciato una settimana fa dal ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Salvini secondo il quale uno degli obiettivi su cui lavorare in tempi brevi riguarderebbe la «revoca a vita della possibilità di guidare» per chi «si mette consapevolmente alla guida drogato o ubriaco provocando incidenti, morti e feriti». E infine un focus particolare su monopattini e sulle strategie per la tutela dei ciclisti. Nel primo caso, – spiega il Mit – è sul tavolo l’idea di rendere obbligatorie targhe e casco. A gennaio verrà convocato un tavolo con i tecnici per stilare le proposte normative e regolamentari. Il tavolo sarà allargato, poi, ad altri soggetti come il ministero della Giustizia», conclude la nota.

L’allarme delle associazioni

A fare i conti delle ripercussioni legate alle proposte di riformulazione del nuovo Codice della strada e in particolare alle possibili strategie per la tutela dei ciclisti ci pensa Assosharing. L’associazione di categoria degli operatori di sharing mobility in Italia si è detta favorevole a «valutare l’introduzione dell’obbligo di targa» per i monopattini. Tuttavia, per quanto riguarda l’obbligo di casco per i maggiorenni per Assosharing «la misura renderebbe l’Italia un’anomalia su scala europea, disincentivando gli investimenti in un settore che sta contribuendo a diversificare l’offerta di mobilità urbana in un’ottica sempre più sostenibile». In merito alla sicurezza, inoltre, l’associazione ribadisce l’assenza di un’emergenza specifica in termini di incidenti provocati dall’utilizzo dei monopattini. «Da uno studio dell’Osservatorio Sharing Mobility emerge come vi siano 2,07 incidenti ogni 100 mila km percorsi con monopattini in sharing e 5,01 ogni 100 mila spostamenti. Si tratta di valori di un ordine di grandezza simile rispetto a quelli verificati in altri servizi di sharing con scooter e biciclette, numeri – secondo Assosharing – che indicano come in Italia non esista alcuna emergenza specifica per questa soluzione di mobilità». Per l’associazione è necessario anche ricordare come la quasi totalità degli incidenti gravi abbia coinvolto i monopattini privati, «in media qualitativamente meno performanti e sicuri di quelli in sharing e con meno tutele, non avendo ad esempio nessun obbligo di tipo assicurativo».

Foto copertina: ANSA/UFFICIO STAMPA MIT | Il vertice sulla sicurezza stradale in corso al Mit con il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini, dell’Interno Matteo Piantedosi e dell’istruzione Giuseppe Valditara e il capo della Polizia Lamberto Giannini

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SPORTArabia SauditaCalcioCristiano RonaldoMedio OrienteSpagna

«Cristiano Ronaldo è già dell’Al Nassr», l’indiscrezione dalla Spagna: CR7 verso un ruolo da ambasciatore dell’Arabia Saudita per i Mondiali 2030

22 Dicembre 2022 - 14:17 Redazione
Da giorni si parla del contratto monstre fino al 2025, ma ora Marca rivela che Cr7 potrebbe diventare rappresentate dell'Arabia Saudita, che con Egitto e Grecia è candidata ad ospitare i Mondiali del 2030

Cristiano Ronaldo sarebbe già un giocatore dell’Al Nassr nel campionato dell’Arabia Saudita. A riportarlo è Marca, testata spagnola che da settimane associa il campione portoghese ai gialloblu sauditi sostenendo che tutto sia stato deciso giorni fa. Rispetto a quello che già si sapeva, però, c’è un dettaglio in più, secondo Marca, infatti, CR7 siglerà, forse già oggi, 22 dicembre, un contratto che lo legherà al club saudita fino al 2030 quando il quattro volte Pallone d’oro compirà 45 anni. Tantissimi per un calciatore, anche se in eccellente forma fisica come lui. Dopo due anni e mezzo di gioco, infatti, Ronaldo dovrebbe cambiare ruolo, e diventare ambasciatore dell’Arabia Saudita, che assieme a Egitto e Grecia si contende con gli altri concorrenti la possibilità di ospitare il torneo fra otto anni. Il contratto, spiega Marca, sarebbe sul piatto del portoghese da due settimane, ma l’ex Real Madrid si sarebbe preso del tempo per decidere il suo futuro dopo la rottura con il Manchester United. Ora però sarebbe pronto a firmare.

Le cifre

L’Al Nassr dovrebbe lasciare partire tre giocatori per liberare fondi da dedicare al portoghese. Le cifre, infatti sono monstre. All’inizio si parlava di 200 milioni a stagione per CR7, ma pare che l’assegno si riferisca al pagamento per le due stagioni e mezza che Ronaldo passerebbe all’Al Nassr come giocatore. Il compenso, però, dovrebbe aumentare ancora nel caso in cui l’attaccante diventi ambasciatore della candidatura dei sauditi, degli egiziani e dei greci all’organizzazione del Mondiale. Nell’eventualità in cui CR7 accetti, si tratterebbe del suo addio definitivo al calcio europeo per lui che è già 37enne. Dopo giorni di diniego, l’Al Nassr ha infine confermato di aver offerto il contratto a Ronaldo fino al 2025.

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Qatargate, sospetti su un comitato tech del Parlamento Ue che ha aiutato la carriera di Kaili. E c’era un ruolo per la sorella

22 Dicembre 2022 - 13:29 Redazione
La deputata, a lungo presidente dello Stoa, avrebbe spinto per nominare come advisor un italiano con lunga esperienza in Qatar

La presunta, e per il momento tutta da dimostrare, vicinanza di Eva Kaili alle lobby che fanno pressione sul Parlamento europeo si sarebbe tradotta anche in un aiuto alla sua carriera. È il sospetto di cui si parla nei corridoi dell’istituzione, riferito dall’Ansa, e che si collegherebbe in particolare al Comitato per il futuro della scienza e della tecnologia (Stoa), un panel dell’Eurocamera dedicato alla «realizzazione di progetti di valutazione tecnologica» e che dal 2017 al 2022 è stato guidato proprio da Eva Kaili, la ex vicepresidente del Pe che tra l’altro proprio oggi è davanti al giudice per chiedere di essere scarcerata dopo essere finita, assieme al compagno, Francesco Giorgi, in una indagine per le mazzette provenienti da Qatar e non solo. Questo ruolo, dicono fonti interne al Parlamento europeo, avrebbero permesso a Kaili «un’accelerazione improvvisa della carriera e un esposizione maggiore alle lobby e molti nuovi contatti con gruppi di interesse, soprattutto tecnologici». Fanno riflettere, in particolare, i nomi presenti nell’advisory board: un gruppo di scienziati tra i quali spicca il “professore” originario del Molise Salvino Salvaggio, direttore esecutivo presso l’Università Hamad Bin Khalifa e presso il Qatar Fund. Proprio Kaili, riferiscono fonti riservate all’Ansa, avrebbe spinto perché Salvaggio entrasse nell’advisory board di Stoa nel novembre 2020. L’esponente del Pasok avrebbe sponsorizzato anche ingressi provenienti dalla ong Elontech, l’organizzazione fondata dalla sorella della deputata, Mantalena Kaili, e specializzata in cybersicurezza e criptovalute.

Chi è Salvino Salvaggio

Il curriculum di Salvino Salvaggio, come si apprende guardando la pagina web che lui stesso pubblica, è segnato soprattutto da vent’anni di incarichi, prima manageriali e negli anni successivi accademici, in Qatar. La nomina nello Stoa è precedente a quella, degli ultimi mesi, nell’università Hamad Bin Khalifa di Doha . Dal punto di vista accademico, la formazione si ferma ad un PhD in Sociologia, in Belgio, e alcuni anni da Research Assistant (ricercatore non confermato ndr) a Liegi.

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Airbnb, la Corte di Giustizia Ue dà ragione all’Italia: La tassa sugli affitti brevi non lede la libertà di servizio

22 Dicembre 2022 - 13:05 Antonio Di Noto
L'obbligo di ritenuta dell'imposta si impone a chi presta il servizio di intermediazione tra host e guest in Italia e all'estero. Il colosso delle case vacanza però non sarà costretto a designare un rappresentante fiscale in Italia

La cedolare secca del 21% sugli affitti brevi introdotta dall’Italia nel 2017 è legittima e non lede la libertà di servizio. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con una sentenza pubblicata oggi, 22 dicembre 2022. Nell’ambito della legge che introduce l’imposta, lo Stato può anche raccogliere informazioni e dati sulle locazioni effettuate tramite Airbnb. Era soprattutto questa la variabile a cui l’azienda si era appellata, sostenendo che la legge dell’Ue non lo permetterebbe, ma la corte ha smentito il colosso delle case vacanza, certificando che la mossa dello Stato italiano è legittima. L’obbligo di ritenuta dell’imposta, quindi, si impone sia a chi presta il servizio di intermediazione tra host e guest che hanno sede fuori dall’Italia, ovvero Airbnb (che ha sedi in Irlanda e Regno Unito), sia a quelle che hanno sede in Italia. Alla luce di ciò, i giudici del Lussemburgo non ritengono che la decisione leda la libertà di servizio di Airbnb in Italia. La richiesta dell’Italia che Airbnb potrà non soddisfare, invece, è l’obbligo di nominare un rappresentante fiscale nel Paese, che viene considerato dalla Corte una «restrizione sproporzionata alla libera prestazione dei servizi».

L’ultima parola al Consiglio di Stato

La questione, però, non si chiude qua. Il pronunciamento dell’organo Ue non ha effetto diretto sulla giurisprudenza italiana, ma serve da indicazione al Consiglio di Stato, che lo aveva richiesto. Sarà infatti questo organo a dover emettere una sentenza sulla tassa che è in vigore da 5 anni, ma che Airbnb tra appelli e ricorsi non ha mai veramente applicato.

La tassa sugli affitti brevi, come funziona e perché esiste?

La tassa sugli affitti brevi in Italia è del 21% sull’ammontare del canone di locazione, escluse quindi le spese di pulizia e le penali. Si tratta di una cedolare secca che funziona come sostituto d’imposta. La tassa – introdotta dal governo Gentiloni nel 2017 con il decreto 50 – va pagata sui periodi di locazione di durata massima di trenta giorni. Sin dalla sua introduzione, Airbnb, su cui ricade l’onere, si è rifiutata di pagare l’imposta. La compagnia si era appellata al Tar del Lazio, che le aveva dato torto, e al Consiglio di Stato, che nel 2019 aveva rimesso il tutto nelle mani della Corte di Giustizia dell’Ue. Con l’imposta, l’esecutivo si era preposto l’obiettivo di dare ordine a un mercato che fino a quel momento aveva operato indisturbato e al di fuori del sistema fiscale. Oltre a ciò, Airbnb è finita spesso nell’occhio del ciclone, venendo accusata di essere responsabile dell’aumento del prezzo degli affitti nelle grandi città, dove i proprietari preferiscono sfruttare gli immobili per i più remunerativi affitti brevi, spingendo i residenti nelle periferie, più economiche.

Le nuove regole europee

Nel frattempo, per il primo gennaio 2023 si attende l’entrata in vigore di una norma recepita dall’Unione Europea secondo la quale i codici fiscali degli host, i redditi percepiti e i dati catastali degli immobili affittati dovranno essere forniti all’Agenzia delle entrate da Airbnb e dalle oltre società che operano allo stesso modo. La novità è contenuta nella normativa europea Dac7. I locatori che non forniranno i dati richiesti dovranno essere bloccati dalle piattaforme, e le informazioni sui loro guadagni dovranno essere condivisi tra i Paesi in cui si trovano gli alloggi e quelli in cui risiedono i soggetti.

La replica di Airbnb

In seguito alla pubblicazione dell’articolo, abbiamo ricevuto un commento da Airbnb, che riportiamo da seguito: «Airbnb ha sempre inteso prestare massima collaborazione in materia fiscale e supporta il corretto pagamento delle imposte degli host applicando il quadro europeo di riferimento sulla rendicontazione, noto come DAC7. L’azienda non è dotata di un rappresentante fiscale in Italia che possa svolgere da sostituto d’imposta. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che l’obbligo di designare un rappresentante fiscale in Italia è in contrasto con il diritto europeo. In attesa della decisione finale da parte del Consiglio di Stato, continueremo ad implementare la direttiva UE in materia».

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Reddito di cittadinanza, Durigon sulle modifiche in Manovra: «È giusto che un laureato faccia anche il cameriere»

22 Dicembre 2022 - 12:55 Redazione
«Se uno prende dei soldi pubblici non credo che possa essere schizzinoso», ha aggiunto il sottosegretario al Lavoro ai microfoni di Radio24

La polemica sul Reddito di cittadinanza, fortemente ridimensionato dalla Manovra, continua ad alimentare il dibattito politico anche nel giorno dell’approdo in Aula del testo passato in commissione Bilancio. Il Movimento 5 stelle e parte della sinistra accusano il governo di portare avanti una guerra ai poveri. Claudio Durigon, invece, ai microfoni di Radio24, spiega così l’intervento sul sussidio: «L’offerta congrua che abbiamo in mente prevede che qualsiasi persona, anche laureata, se le offrono un posto anche di cameriere casomai vicino casa è giusto che lo accetti, perché se uno prende dei soldi pubblici non credo che possa essere schizzinoso. Il criterio della territorialità resta anche perché una persona non può andare a Trieste per due giorni se è di Napoli, tranquillizzerei Conte». Il sottosegretario al ministero del Lavoro annuncia anche che l’esecutivo sta lavorando per definire un decreto complessivo sul mondo del lavoro. «Io spero che nella seconda metà del mese di gennaio potremo portare a casa un decreto che ritoccherà ulteriormente il Reddito di cittadinanza, ma anche tanti altri temi sul lavoro. Se l’offerta del Reddito è comunque sia nei limiti temporali che vicino casa – torna a ribadire -, il percettore dovrà accettare qualsiasi tipologia di offerta di lavoro. Questo sarà sicuramente un tema che entrerà sicuramente nel nostro decreto. Dopodiché tante cose entreranno: dalla formazione al matching per poter dare ai percettori delle risposte ed una funzionalità diversa».

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Zelensky da Biden, la portavoce di Lavrov: «È il figlio di put*** dell’Occidente» – Il video

22 Dicembre 2022 - 12:46 Redazione
La reazione piccata di Maria Zakharova dopo il viaggio del presidente ucraino negli Stati Uniti

«Volodymyr Zelensky è il figlio di put***a dell’Occidente». Lo avrebbe detto in un video pubblicato sui social e ripreso dai media ucraini, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova riferendosi alla visita a Washington di ieri, mercoledì 21 dicembre, del presidente dell’Ucraina. Per la funzionaria della Federazione russa, Zelensky sarebbe inoltre «lo strumento» utilizzato dagli Stati occidentali per «contrastare» la Russia. Prima di accusare il presidente ucraino, la portavoce aveva inoltre commentato la bandiera a stelle e strisce con i colori dell’Ucraina postata dal rappresentante permanente dell’Ucraina presso l’Onu, Sergiy Kyslytsya affermando: «Il rappresentante permanente dell’Ucraina presso le Nazioni Unite ha pubblicato su Twitter una nuova bandiera dell’Ucraina. Quello di cui abbiamo parlato per molti anni, ma non ci hanno creduto, è successo. Congratulazioni!». La visita di Zelensky negli Stati Uniti, conclusa con l’intervento dello stesso al Congresso americano, per Zakharova rappresenterebbe la conferma del «coinvolgimento diretto» degli Usa nel conflitto in Ucraina. Posizione – questa – confermata anche dal portavoce del CremlinoDmitry Peskov, secondo cui «la visita del presidente ucraino dimostra che gli Stati Uniti continuano a combattere de-facto e indirettamente con la Russia fino all’ultimo ucraino».

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FACT-CHECKINGCensuraElon MuskFake newsSocial mediaUSAX (Twitter)

No! Questa email non prova che il governo americano pagava Twitter per censurare, come afferma Elon Musk

22 Dicembre 2022 - 12:42 David Puente
L'email pubblicata dai Twitter Files non prova che l'FBI abbia pagato Twitter per svolgere attività censorie. Si tratta di un rimborso per richieste di informazioni

Secondo Elon Musk, il governo americano avrebbe pagato milioni di dollari a Twitter per censurare contenuti all’interno della piattaforma. Lo afferma in un tweet del 20 dicembre 2022, in cui condivide il thread di Michael Shellenberger contenente la settima puntata dei cosiddetti “Twitter Files“. La prova di tale accusa riguarda lo screenshot di una email del 2021 del team SCALE di Twitter (“Safety, Content, & Law Enforcement”) inviata a Jim Baker, avvocato della piattaforma ed ex funzionario FBI, ma il contenuto risulta del tutto travisato.

Per chi ha fretta

  • Nella settima puntata dei Twitter Files viene riportata un’email dove si riporta un ingresso di 3 milioni di dollari nelle casse della società a seguito delle richieste da parte dell’FBI.
  • Nel thread, Michael Shellenberger non specifica che si tratta di un rimborso, facendo intendere – anche a Musk – che si tratti di una somma derivante da attività censorie.
  • L’email parla in realtà di un rimborso, previsto secondo le leggi federali americane alle società che forniscono informazioni su richiesta delle autorità, che sia l’FBI o un giudice.

Analisi

Ecco il testo del tweet di Elon Musk dove accusa il Governo americano di pagare per applicare la censura sulla piattaforma: «Government paid Twitter millions of dollars to censor info from the public».

La narrazione è stata poi diffusa anche via post Facebook dove viene riportato lo screenshot dell’email considerata “provante”. Viene condiviso anche un articolo del sito di disinformazione VoxNews, il quale si limita a riportare il tweet di Musk e di altri personaggi che sostengono la notizia fuorviante.

Il contenuto dell’email

Lo screenshot viene pubblicato da Michael Shellenberger nel tweet n.46 del thread, affermando che «la campagna di influenza dell’FBI potrebbe essere stata aiutata dal fatto che stava pagando a Twitter milioni di dollari per il suo staff». Per dimostrare questa teoria, riporta una parte del contenuto dell’email dove vengono riportate le cifre: «”I am happy to report we have collected $3,415,323 since October 2019!” reports an associate of Jim Baker in early 2021».

Ciò che non riporta nel tweet è che nella email si parla di un rimborso («reimbursement program») per le richieste dell’FBI dall’ottobre 2019, durante l’amministrazione Trump e un anno prima che scoppiasse il caso del New York Post:

Jim, FYI, in 2019 SCALE instituted a reimbursement program for our legal process response from the FBI. Prior to the start of the program, Twitter chose not to collect under this statutory right of reimbursement for the time spent processing requests from the FBI.

I am happy to report we have collected $3,415,323 since October 2019! This money is used by LP for things like the TTR and other LE-related projects (LE training, tooling, etc.).

Il contesto mancante

Di fatto, Michael Shellenberger riporta un’informazione parziale e non completa. Tale operazione risulta lecita, ma non riguarda la censura come afferma Elon Musk. Si tratta di un rimborso previsto dalle leggi americane che le aziende come Twitter, e molte altre, possono richiedere allo Stato a seguito di richieste di informazioni prodotte per un procedimento legale. Tra i primi a denunciare pubblicamente questa vicenda è stato Alex Stamos, fondatore e direttore dello Stanford Internet Observatory e socio fondatore di una società di consulenza per la sicurezza informatica, attraverso il suo account Mastodon:

This claim is false.

Law enforcement has the ability to get stored communications from companies like Twitter under 18 USC 2703(d). This is a famous “d-order” that has to be signed by a judge.

Companies can demand reimbursement under 2706. You can argue that 2703 should have a higher standard, but if the government can get to user data should it be free or should the companies ask for a nominal cost?

This is absolutely nothing to do with content moderation.

Ciò che racconta Michael Shellenberger si sapeva già: un’informazione che il proprietario di Twitter non conosce e che viene riportato chiaramente all’interno dell’Help Center della sua piattaforma, precisamente nelle linee guida per le forze dell’ordine (Guidelines for law enforcement).

La parte che ci interessa riguarda il capitolo “Requests for Twitter account information”:

Requests for user account information from law enforcement should be directed to Twitter, Inc. in San Francisco, California or Twitter International Unlimited Company in Dublin, Ireland. Twitter responds to valid legal process issued in compliance with applicable law.

In fondo al capitolo troviamo le informazioni relative ai rimborsi («Cost reimbursement»):

Twitter may seek reimbursement for costs associated with information produced pursuant to legal process and as permitted by law (e.g., under 18 U.S.C. §2706).

Twitter fornisce un link al sito Law.cornell.edu dove vengono riportate le leggi federali degli Stati Uniti d’America, in questo caso l’«U.S. Code § 2706 – Cost reimbursement» dove un entità governativa è tenuta a rimborsare una persona o un’entità che raccoglie o fornisce le informazioni richieste. L’importo di tale rimborso può essere determinato da un accordo tra l’ente governativo richiedente e il fornitore o dal tribunale che emette l’ordine di produzione del materiale.

L’area trasparenza di Twitter

Twitter non ha nascosto le richieste di informazioni da parte delle autorità, che siano americane o di altri Paesi. Nell’area Trasparenza c’è un’intera pagina dedicata alle “Information Requests” dove troviamo questa infografica che riporta il numero di richieste per 67 Paesi nel mondo durante il periodo luglio-dicembre 2021.

Risulta presente anche un’area dedicata per ogni Paese, in questo caso possiamo osservare le richieste da parte degli Stati Uniti dove leggiamo che l’FBI, il Dipartimento di Giustizia e i Servizi Segreti sono stati tra i maggiori richiedenti:

The U.S. Federal Bureau of Investigation (FBI), U.S. Department of Justice (DOJ), and the U.S. Secret Service (USSS) submitted the greatest percentage of requests during this reporting period. The FBI, DOJ, and USSS have also consistently submitted the greatest percentage of requests for the seven previous reporting periods.

Conclusioni

L’email indicata da Michael Shellenberger non prova che il Governo americano abbia pagato Twitter per attività censorie. Questa riporta una richiesta di rimborso prevista per legge a seguito di richieste di informazioni formulate dalle autorità americane, che sia l’FBI o un giudice. Twitter non ha mai nascosto queste attività, riportando i riferimenti nelle proprie linee guida.

Questo articolo contribuisce a un progetto di Facebook per combattere le notizie false e la disinformazione nelle sue piattaforme social. Leggi qui per maggiori informazioni sulla nostra partnership con Facebook.

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Qatargate, l’avvocato di Kaili: «È innocente, vogliamo il braccialetto elettronico»

22 Dicembre 2022 - 12:21 Redazione
Attesa in serata la decisione sulla richiesta di scarcerazione. In un verbale della ex vicepresidente del Pe i nomi di alcuni parlamentari del Partito democratico: Cozzolino, Moretti e Benifei (non indagati)

È terminata l’udienza al piano interrato del Palais de Justice di Bruxelles. Si attende la decisione sulla custodia cautelare di Eva Kaili: il giudice sta valutando se trattenere o meno in carcere la politica greca. L’ex vicepresidente del Parlamento europeo, da alcune settimane, è detenuta nell’istituto penitenziario di Haren, nell’estrema periferia della capitale belga: è coinvolta nello scandalo ribattezzato Qatargate. Il team legale che supporta Kaili ha chiesto alle autorità giudiziarie di sottoporre l’assistita a regime di sorveglianza elettronica. Intanto, secondo quanto riporta Il Fatto Quotidiano, in una delle testimonianze rilasciate dalla greca sarebbero stati citati, non si sa a che titolo, i nomi di alcuni eurodeputati del Partito democratico: Brando Benifei, Andrea Cozzolino e Alessandra Moretti. Prima dell’inizio dell’udienza, l’avvocato della politica greca, Michalis Dimitrakopoulos, aveva ribadito ai cronisti che la sua assistita «non è mai stata corrotta». Il legale, circondato da decine di giornalisti che lo hanno scortato fino all’ingresso del tribunale, aveva detto di «sperare nella scarcerazione – poiché Kaili – non è né una sospetta fuggitiva né può manomettere le prove dell’indagine». Con la stampa, in prima mattinata, si era anche giustificato per la scarsità di informazioni condivise con i giornalisti: «Dovete sapere che c’è il segreto istruttorio e non posso dirvi di più». I giornalisti, accalcandosi intorno all’avvocato, hanno rischiato di ferirsi: vicino agli ingressi del tribunale le autorità hanno disposto l’installazione dei cavalli di Frisia, con tanto di filo spinato e filo a lamette. Queste soluzioni, che in Italia sottostanno a una normativa più rigida, sono invece correntemente usate a Bruxelles a fini di ordine pubblico.

Benifei: «Respingo ogni accostamento a queste persone»

«Rispetto ad alcune indiscrezioni uscite sulla stampa devo precisare con chiarezza e fermezza alcuni aspetti. Non sono mai stato in Qatar o in Marocco, non avevo nessuna frequentazione fuori dal lavoro nel Parlamento europeo con nessuna delle persone coinvolte nello scandalo Qatargate, ogni mia interrogazione o votazione è andata sempre contro le posizioni politiche sui temi in questione che questi esponenti politici portavano avanti». Lo dice in una nota il capodelegazione degli Eurodeputati Pd. Non è la prima volta che Benifei viene citato dagli organi di stampa, benché al momento risulti totalmente estraneo all’inchiesta. «Alla fine della scorsa legislatura sono stato uno dei pochi europarlamentari del Pd che ha votato per il rinvio per annullamento alla Corte di giustizia dell’accordo Ue-Marocco, in aperto contrasto con le posizioni di Panzeri e della maggioranza del Parlamento europeo di allora. Respingo quindi con fermezza qualunque accostamento alle azioni di queste persone e sono disponibile a collaborare con la magistratura insieme a tutta la delegazione degli eurodeputati Pdper fare luce al più presto su tutti gli aspetti di questa vicenda».

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«Ecco il brano di Giorgia per Sanremo…», lo scherzo di Fiorello alla cantante. Amadeus: «Ora la devo squalificare…» – Il video

22 Dicembre 2022 - 11:56 Redazione
La gag tra il mattatore siciliano e il direttore artistico e conduttore della kermesse è andata in onda su Viva Rai2

A poco meno di due mesi all’inizio di Sanremo 2023, lo showman Fiorello sa come lasciare col fiato sospeso gli spettatori e rendere eccitante l’attesa. Durante la trasmissione Viva Rai2! lo speaker radiofonico avrebbe fatto ascoltare pochi secondi della canzone Parole dette male con cui la cantante Giorgia gareggerà alla kermesse che andrà in scena dal 7 all’11 febbraio 2023, sfidando – di fatto – il regolamento del Festival che prevede l’eliminazione dei concorrenti in caso di spoiler del brano prima dell’inizio della gara. «Questo è il brano di Sanremo, ne facciamo sentire solo qualche secondo», ha detto Fiorello premendo play al file audio inviatogli dalla stessa cantante romana. Immediata la risposta del direttore artistico e conduttore del Festival Amadeus che ha chiamato in diretta per rimproverare l’amico: «Sono costretto a squalificare Giorgia, ora ti assumi la responsabilità di dirglielo» ha ribadito Amadeus gettando nel panico Fiorello e i suoi compagni di studio, nonché i telespettatori e gli ospiti della puntata ignari dello scherzo. Ma, a quanto, pare i due erano complici fin dall’inizio. Il mattatore siciliano ha infatti svelato di aver fatto ascoltare un altro brano inedito del progetto discografico di Giorgia ma non quello che porterà sul palco dell’Ariston. Anche se non sarà coinvolto “a tempo pieno” nella gara, Fiorello rimarrà comunque uno dei protagonisti della kermesse sanremese. Era stato lo stesso Amadeus a confermare la presenza dello showman seppur «sotto forma di incursioni da Viva Rai2!».

Lo speciale Sanremo 2023

I testi delle canzoni

ANNA OXASali (Canto dell’anima) | ARTICOLO 31 – Un bel viaggio | ARIETE – Mare di guai | COLAPESCE E DIMARTINOSplash | COLLA ZIO – Non mi va | COMA_COSEL’addio | I CUGINI DI CAMPAGNA – Lettera 22 | ELODIEDue | GIANLUCA GRIGNANI – Quando ti manca il fiato | gIANMARIA – Mostro | GIORGIA – Parole dette male | LAZZA – Cenere | LDA – Se poi domani | LEO GASSMANN – Terzo cuore | LEVANTE – Vivo | MADAMEIl bene nel male | MARA SATTEI – Duemilaminuti | MARCO MENGONIDue vite | MODÀ – Lasciami | MR. RAIN – Supereroi | OLLY – Polvere | PAOLA e CHIARA – Furore | ROSA CHEMICAL – Made in Italy | SETHU – Cause perse | SHARI – Egoista | TANANAITango | ULTIMO – Alba | WILL – Stupido

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