Cosa c’è nel nuovo Codice degli Appalti e perché non piace all’Antimafia e all’Anticorruzione
«Più breve è l’iter burocratico e rapido l’appalto, più difficile è per il corrotto incontrare il corruttore». Così si è espresso il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini sul nuovo codice appalti approvato ieri dal consiglio dei Ministri e che ora attende il passaggio in Parlamento. Si tratta di una misura con la quale il governo punta a velocizzare le procedure di appalto. Ed è evidente nel primo dei dieci punti-guida del testo: «Le stazioni appaltanti e gli enti concedenti perseguono il risultato dell’affidamento del contratto e della sua esecuzione con la massima tempestività e il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo, nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza». Si legge poi di un principio di fiducia, di accesso al mercato, di buona fede, e di tutela dell’affidamento, di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale anche nei confronti del Terzo settore, di auto-organizzazione amministrativa.
Le novità
I piccoli comuni potranno affidare direttamente i lavori fino a 500 mila euro anche senza la qualifica di stazione appaltante. C’è poi una sostanziale liberalizzazione dell’appalto integrato, ovvero quegli appalti in viene affidata a un solo soggetto sia la progettazione che l’esecuzione di un’opera. Tranne per i lavori di manutenzione ordinaria. Un’altra modifica, spiega Il Sole24Ore, è la cancellazione del Piano generale trasporti e logistica, che viene sostituito da una lista di opere prioritarie. Criticata soprattutto per l’assenza di coordinamento tra le varie opere. Si aggiungono poi una maggiore digitalizzazione – invocata dall’Anac – delle procedure, e più flessibilità per i settori speciali, come acqua, energia, e trasporti. Torna nel codice appalti anche un meccanismo di revisione dei prezzi. Questa scatterà quando la variazione (sia verso l’alto che verso il basso) dei costi dell’opera supererà il 5% del prezzo totale dell’opera, e si applicherà sull’80% della variazione.
Le critiche dell’antimafia
Il nuovo codice ha fatto sollevare le sopracciglia alle associazioni antimafia. «La voglia di fare presto e di semplificare al massimo può essere una cattivissima consigliera» – ha dichiarato l’associazione Antimafia “Libera“, ripresa da La Stampa. «Rischia di alimentare gli appetiti di organizzazioni criminali, corrotti e corruttori, allarga le maglie ed allenta i controlli, anche depotenziando le funzioni dell’Autorità Anticorruzione. Una beffa natalizia», sentenzia. Le fa eco Fillea Cgil, che definisce il codice «una nefandezza» con la quale «assisteremo ad una frammentazione dei cicli produttivi, al massimo incentivo possibile al nanismo aziendale, alla nascita di imprese senza dipendenti» Fillea Cgil fa notare anche che «aumenteranno zone grigie, infortuni, sfruttamento e rischi di infiltrazione criminale». Senza esplicitare il riferimento al nuovo codice, il superprocuratore antimafia Giovanni Melillo ha ricordato che «serve una incessante serie di passi in avanti sul terreno della ricostruzione della autorevolezza ed insieme della trasparenza e della controllabilità delle complessive funzioni dello Stato».
…e quelle dell’Anticorruzione
Anche l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) è critica della misura. Soprattutto perché con il testo attuale si vede scippata di buona parte del proprio peso nel controllo sui conflitti di interesse. Ad esempio nel Rup, il responsabile unico del procedimento. Discorso simile anche per quanto riguarda le verifiche alle Soa, gli organismi che attestano il possesso, da parte delle imprese, dei requisiti economici e organizzativi per partecipare alle gare, spiega la Repubblica. C’è poi la soppressione dell’elenco delle società in house gestite dall’Anac. Che rende molto complicato capire se i servizi offerti da queste società potrebbero essere erogati in maniera più efficiente con gare aperte sul mercato.
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