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La rabbia degli ex ministri di Draghi contro Giorgia Meloni per le accuse sul Pnrr: «Hanno paura di non farcela»

13 Dicembre 2022 - 07:26 Redazione
«Mettono le mani avanti perché temono un fallimento», è la tesi

I ritardi del Pnrr tornano a causare polemiche. Mentre la premier Giorgia Meloni ha in programma di cambiare i tecnici che si occupano del Recovery Plan, gli ex ministri di Mario Draghi non ci stanno. E dicono di aver lasciato in linea tutte le scadenze prima delle consegne al nuovo esecutivo. «Gli impegni del 2022 dovrebbero essere tutti raggiunti. La verità è che provano a mettere le mani avanti perché temono un fallimento nella realizzazione dei cantieri nel 2023», è il virgolettato (anonimo) riportato oggi in un retroscena di Repubblica. Anche se l’ex premier resta in silenzio, sono dunque i membri del suo governo a farsi sentire. «Non accettiamo l’accusa di aver accumulato ritardi – ha detto qualche giorno fa proprio a Repubblica Enzo Amendola -. Abbiamo fatto tutto quanto era dovuto, e anche di più». Ma c’è anche chi è più preciso. Secondo gli ex draghiani il governo ha agito sia per il raggiungimento degli obiettivi che contro il rincaro delle materie prime. In più c’è il caso dell’unità di missione del ministero delle Infrastrutture. Che all’epoca era guidato da Enrico Giovannini. Lo scorso 30 settembre il dicastero ha prodotto una relazione sugli obiettivi 2022. Ne mancavano tre. Da quel momento sono state aggiudicate due gare. Mentre il terzo impegno, ovvero il regolamento sulla concessione dei porti, è stato predisposto, inviato al Consiglio di Stato e da lì è tornato quando ministro è diventato Matteo Salvini. E mentre la Corte dei Conti fa sapere che su asili nido e scuole dell’infanzia gli obiettivi sono a rischio, c’è chi fa notare che il cambio dei tecnici alla guida dei progetti rischia davvero di rallentare tutto.

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Il padre del 23enne accusato di omicidio stradale per l’incidente di Alessandria: «Io e mio figlio minacciati di morte»

13 Dicembre 2022 - 06:58 Redazione
Maruan Naimi è piantonato in ospedale. Ma sull'incidente ci sono due versioni

Maruad Naimi è il ragazzo indagato per omicidio stradale nell’incidente di Alessandria. È nato nella cittadina piemontese ma ha origini marocchine. Sulla Peugeot 807 finita fuori strada con lui alla guida sulla provinciale 224 tra la località di Cabanette e Cantalupo viaggiavano in tutto sette passeggeri. Lorenzo Pantuosco, 23 anni, Lorenzo Vanchieri, 21enne, e Denise Maspi, 15 anni, sono morti. Un quarto ragazzo, Vincenzo Parisi, 21 anni, è ricoverato in prognosi riservata. Il padre di Maruad, Abderrazzak Naimi, dice oggi a La Stampa di aver ricevuto minacce di morte. «Io e mia moglie Nadia non possiamo tornare a casa. Siamo molto preoccupati. Presto ci rivolgeremo a un avvocato», dice.

“È colpa del marocchino!”

Ieri davanti all’ospedale alcune persone hanno chiesto di Maruad. «Diteci dov’è, vogliamo sapere dov’è», hanno chiesto all’ingresso presidiato dalla polizia. Altri insulti e minacce sono comparsi su Facebook. «Non è giusto, poteva succedere a chiunque. Accusano: “È colpa del marocchino!”. Ci chiamano assassini. Ma noi siamo qui da trent’anni a lavorare, nostro figlio è nato a Alessandria. E quei ragazzi, tutti, erano come altri figli per noi. Entravano e uscivano da casa quando volevano. Siamo distrutti per quello che è successo. Maruan ha sbagliato, ma poteva succedere a un altro ragazzo. E non è stato l’unico a sbagliare». dicono oggi Abderrazzak e Nadia. Maruan intanto è in terapia intensiva all’ospedale di Alessandria. «Non riesce a parlare. Ripete sempre la stessa frase: “Dove sono i miei amici?”. Stiamo male per i genitori», dice ancora il padre al quotidiano.

Il giallo delle due ricostruzioni dell’incidente

Intanto c’è un giallo sulla ricostruzione dell’incidente. Due le versioni. Quella ufficiale è dei carabinieri. E comincia alle 3,50 di sabato notte, quando una pattuglia nota la Peugeot 807 che procede a zig zag nel quartiere Cristo. Lì comincia l’inseguimento. Che procede per Corso Aqui e per la Strada Provinciale 244. All’altezza della Scuola Allievi Polizia di Stato i carabinieri perdono di vista l’auto. Il colonnello Giuseppe Di Fonzo conferma che a quell’ora viene diramata una nota di ricerca. Alle 4 del mattino l’auto guidata da Maruan Naimi finisce fuori strada. L’altra ricostruzione invece arriva dalla voce degli abitanti del quartiere. I quali sostengono che l’incidente sia avvenuto proprio durante l’inseguimento dei carabinieri. «Gli stavano dietro con i lampeggianti accesi anche con la nebbia e con il ghiaccio in strada. Mio figlio ha sbagliato, ma è per l’inseguimento che c’è stato l’incidente», racconta ancora il padre di Maruan. Ma allora perché è scappato? «Bisogna chiederlo a lui. Ma ora sta troppo male per rispondere».

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Corruzione dal Qatar, un pentito nell’indagine: i conti segreti dell’Ong e gli italiani sotto la lente

Una persona coinvolta nell'indagine collabora con gli inquirenti. E racconta la rete di Panzeri, che stava in piedi grazie ai finanziamenti privati

C’è un pentito nell’indagine sulla corruzione dal Qatar. Si tratta di una delle persone coinvolte nell’inchiesta e il suo nome non è ancora noto. Ma ha iniziato a collaborare con gli inquirenti. Spiegando le attività della “Fight Impunity” e fornendo una mappa delle persone collegate alla Ong. Quella fondata da Antonio Panzeri, nella cui casa a Calusco D’Adda ieri la Guardia di Finanza ha nel frattempo trovato 17 mila euro in contanti e alcuni orologi di valore. E sulla base delle indicazioni del pentito la polizia belga ha fatto partire nuove perquisizioni. Inviando un gruppo di gendarmi anche a Strasburgo. Dove sono stati apposti i sigilli ai computer del collaboratore di Andrea Cozzolino e di quello di Alessandra Moretti. E a quello di una funzionaria del parlamento: Mychelle Rieu, responsabile di unità della sottocommissione Diritti Umani.

I collaboratori dei parlamentari

A parlare del “pentito” oggi è Repubblica. Che punta il dito proprio sulla Ong “Fight Impunity”. Fondata da Panzeri nel 2019 con richiesta annessa di finanziamento al Parlamento Europeo (175 mila euro). Che finisce bloccato. Si finanzia con «donazioni private», prendendo fondi «anche da paesi a rischio» per ammissione dello stesso ex deputato del Partito Democratico. Gli altri canali restano ignoti. Anche perché non essendo iscritta nel registro della trasparenza non ha l’obbligo di depositare bilanci. Luca Visentini, il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Etuc) fermato con tutto il gruppo la settimana scorsa, è il solo a essere stato rilasciato dopo gli interrogatori.

Le parole di Visentini

A Repubblica dice che «il punto erano proprio le mie collaborazioni con Fight impunity che sono state equivocate. L’associazione era riconosciuta dal Parlamento europeo, aveva nel board personaggi influentissimi, si occupava di difesa dei diritti umani. A quanto pare, in base alle indagini in corso, sembrerebbe una organizzazione criminale finanziata dal governo del Qatar per corrompere in particolare i membri dell’Europarlamento e per indurli a prendere posizioni più favorevoli nei confronti del governo del Qatar. Ma io nulla potevo sapere».

La Ong “Fight Impunity”

«Sono state giornate pesanti e drammatiche. Non posso dire ancora molto. Domani (oggi) verrà pubblicato un comunicato da parte della Confederazione Internazionale», prosegue Visentini. «Si chiarirà che intanto il sindacato non è mai stato coinvolto, a nessun titolo, e che, per quanto riguarda me, non sono state trovate evidenze che io fossi in alcun modo collegato con attività di corruzione. Ho fornito tutte le informazioni necessarie. Ho anche chiarito che le mie posizioni nei confronti del Qatar non sono mai state influenzate da nessuno. Io mi sono limitato a dire che il Qatar aveva messo in campo alcune riforme. A cominciare dall’abolizione della Kafala, una forma di schiavitù del lavoro».

Antonio Panzeri, il grande manovratore

L’Ong aveva tra i membri onorari l’ex commissario Ue all’Immigrazione Dimitris Avramopoulos, che si è dimesso. Così come Emma Bonino. Per gli inquirenti era invece un «paravento» per influenzare il Parlamento Ue elargendo soldi e regali dal Qatar ai politici. Il Corriere della Sera spiega oggi che il giudice istruttore Michel Claise sta ricevendo assistenza giudiziaria dal pm di Milano Fabio De Pasquale. Secondo le prime risultanze investigative a Panzeri sarebbero intestati alcuni conti correnti con liquidità importanti. Oltre che immobili difficilmente acquistabili soltanto con il lavoro di europarlamentare. Nell’inchiesta ci sono anche i 100 mila euro spesi per una vacanza di Natale.

 

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La lettera di Giorgia Meloni alla madre di Graziella De Palo: «Al suo fianco per trovare la verità»

13 Dicembre 2022 - 05:45 Redazione
Renata Capotorti ha lanciato un appello alla premier per sapere cosa è successo alla figlia giornalista, scomparsa a Beirut nel 1980. La replica

Renata Capotorti, madre della giornalista Graziella De Palo, ha scritto una lettera con cui chiede alla premier Giorgia Meloni la verità sulla morte di sua figlia. Meloni le ha risposto oggi sul Corriere della Sera promettendo il suo impegno per far emergere come sono andati i fatti. De Palo è scomparsa a Beirut assieme al collega Italo Toni il 2 settembre 1980. Scrive Meloni: «Sua figlia Graziella avrebbe potuto essere mia figlia, appassionata del suo lavoro si recò in Libano, allora giovanissima, alla ricerca di notizie utili all’inchiesta che stava realizzando, insieme al collega Italo Toni, pochi giorni dopo la strage di Bologna. Era il periodo più buio della nostra Repubblica, al rapimento e all’assassinio di Aldo Moro e degli uomini della sua scorta, erano seguiti attentati, omicidi e stragi». E poi: «Ho dato disposizione al sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha la delega ai Servizi, di far completare la desecretazione dei documenti restanti, pur se non direttamente collegati alla scomparsa medesima: essi costituiscono la cornice in cui la vicenda si inserisce, con particolare riferimento ai rapporti intrattenuti all’epoca fra Italia e OLP. Si tratta comunque di atti già a disposizione dell’autorità giudiziaria, che dal 2019 ha ripreso le indagini sul caso». Infine: «Sono trascorsi 42 anni: un tempo sufficiente per guardare al passato con più equilibrio e serenità, provando a costruire una coesione istituzionale su temi complessi ma ineludibili. Quell’estate del 1980 la Sua Graziella aveva solo 24 anni. Una giovane giornalista con la passione per la verità. Per Lei e per i Suoi familiari, per la nostra stessa comunità, dovremmo coltivare quella stessa passione».

Chi era Graziella De Palo

Graziella De Palo, figlia del capitano dei carabinieri Vincenzo, comincia a lavorare all’agenzia di stampa Notizie Radicali. Lì conosce e si lega a Italo Toni. Nel 1980 arriva l’assunzione a Paese Sera con la richiesta di seguire le inchieste sui servizi segreti. Il 22 agosto De Palo parte con Toni per Damasco in Siria. La seconda tappa è il Libano e i campi profughi palestinesi. Il viaggio lo organizza il rappresentante dell’OLP a Roma Nemer Hammad. Il primo settembre i due vanno all’ambasciata italiana a Beirut. Comunicano di voler andare al Castello di Beaufort e se entro tre giorni non dovessero tornare chiedono di essere cercati dall’ambasciata. La mattina dopo i due scompaiono nel nulla.

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Così Claudio Campiti ha rubato la pistola per la strage del condominio. Il legale dell’ex moglie: «Il figlio morto? Non è venuto al funerale»

Aveva una tessera platinum. Gli istruttori lo consideravano «affidabilissimo». La morte del bambino e il decreto ingiuntivo da 1.700 euro

«Mi ha chiesto espressamente una Glock calibro 45. L’aveva già usata in passato». È un impiegato del poligono di Tor di Quinto a raccontare come ha fatto Claudio Campiti a rubare la pistola poi usata per la strage di via Monte Giberto. Il 57enne si è presentato in viale di Tor di Quinto alle 8,55. Passando per via Salaria, ci si mettono circa quindici minuti per arrivare al luogo prefissato per la riunione di condominio del Consorzio Valleverde. Dove poi ha aperto il fuoco uccidendo Sabina Sperandio, Elisabetta Silenzi e Nicoletta Golisano. L’impiegato del Tiro a segno nazionale ha detto agli inquirenti che Campiti non si è visto sulla linea di tiro. Ma con i 170 proiettili che aveva in tasca è andato direttamente sul luogo della strage. Ovvero il bar “Il posto giusto”. Nessuno lo ha perquisito. Anche perché gli addetti al poligono non sono pubblici ufficiali.

La tessera platinum

Campiti, racconta oggi Il Messaggero, era socio del poligono dal 2018. Con tessera platinum 46946. Il 9 novembre 2019 aveva colpito 30 bersagli su 30 colpi sparati. Il suo medico di base, Giuliano Sanesi di Rieti, gli aveva certificato l’idoneità psico-attitudinale. Secondo la ricostruzione degli inquirenti è chiara l’omissione di controllo all’interno del poligono. Campiti è stato lasciato solo con la Glock senza che un istruttore lo accompagnasse dall’Armeria alla linea di tiro. Per questo ha potuto portar via l’arma senza controlli. Lasciando lì il suo documento d’identità. All’uscita non ci sono metal detector. Uno degli istruttori ha raccontato al quotidiano che Campiti si presentava al poligono quattro o cinque volte al mese.

Gli istruttori e Campiti «affidabilissimo»

La Glock gli è stata consegnata in una piccola valigia chiusa con strisce di nastro rigido che si spezzano solo con un coltellino. Non ha nemmeno varcato la soglia di tiro. È salito sulla sua KA ed è andato a sparare. E c’è anche un precedente: qualche anno fa un uomo andò a prendere un’arma al poligono per fare una rapina a Firenze. Un istruttore esperto precisa: «Quando prende l’arma un soggetto ritenuto a rischio, ossia che si teme possa essere un po’ esaltato rispetto al certificato medico di idoneità, l’armeria ci avvisa subito. Ma anche oggi nella nostra chat noi eravamo tutti concordi. Campiti era considerato affidabilissimo».

«È qui, sta sparando»

Ma c’è di più. L’edizione romana di Repubblica racconta che quando i carabinieri domenica mattina hanno chiamato il poligono dopo la strage chi era in servizio ha risposto: «Claudio Campiti? È qui, sì. È in linea di tiro, sta sparando. Perché, cosa è successo?». Prima di prendere l’arma Campiti ha acquistato in segreteria il massimo di proiettili consentito: 4 scatole da cinquanta pezzi. Giovanni Musarò, il titolare dell’indagine, ha sequestrato la struttura. Dove nel 2010 un uomo si tolse la vita in bagno dopo aver preso una pistola. La stessa cosa che ha fatto Campiti. Che però invece dalla struttura è uscito con in tasca 6.200 euro, tre zaini con i vestiti e un passaporto.

La morte del figlio

Nel frattempo emergono anche ulteriori dettagli sulla morte del figlio, Romano Campiti. Deceduto in un incidente con lo slittino sulla pista di Croda Rossa a Sesto Pusteria in provincia di Bolzano nel 2012. L’ex moglie Rossella Ardito ha fatto sapere tramite il suo avvocato Pier Francesco Grazioli che il padre non si è presentato al funerale del figlio. E nemmeno alle udienze del processo: «Non veniva mai. Ha partecipato solo una volta all’udienza preliminare. Mi ricordo che si sedette in fondo all’aula e non mi chiese informazioni sul procedimento». Campiti non si è mai costituito parte civile né ha avviato autonomamente cause contro i responsabili. Per la tragedia vennero condannati tra 2016 e 2017 un maestro di sci e due responsabili dell’impianto. La famiglia ricevette 240 mila euro di risarcimento danni.

Un decreto ingiuntivo da 1.700 euro

L’avvocato racconta di aver fatto personalmente l’orazione funebre per Romano, migliore amico di suo figlio. Quel giorno a San Luigi de’ Francesi Campiti non c’era e la sua figlia minore era in braccio al portiere della casa della madre. I due erano già di fatto separati. Campiti non volle nemmeno firmare dal giudice tutelare l’autorizzazione necessaria per incassare l’assicurazione. Da 7 anni non pagava i contributi al Consorzio Valleverde e aveva un decreto ingiuntivo per 1.700 euro. Era in partenza un secondo decreto ingiuntivo. Le somme da recuperare erano simili. Per questo sono morte tre persone. «Benvenuti all’Inferno», scriveva sul suo blog.

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Sam Bankman-Fried: il leader di Ftx arrestato alle Bahamas, le accuse sono frode e riciclaggio

13 Dicembre 2022 - 04:03 Redazione
Dovrà spiegare gli otto miliardi di buco nella piattaforma di trading di criptovalute. Presto l'estradizione negli Usa

Alla fine di novembre chiedeva scusa a tutti per il crollo Ftx, promettendo che avrebbe fatto di tutto per rimediare al disastro. Sam Bankman-Fried, fondatore ed ex amministratore delegato di Ftx, è stato arrestato alle Bahamas su richiesta degli Stati Uniti. L’arresto apre un nuovo capitolo nella bancarotta della piattaforma di trading di criptovalute. Valutata 32 miliardi di dollari a inizio anno e oggi a rischio causa per frode. Proprio questa, insieme al riciclaggio, è l’accusa che dovrà fronteggiare SBF. Gli Usa sono pronti a chiederne l’estradizione. «Le Bahamas e gli Stati Uniti condividono l’interesse nel ritenere responsabili tutti coloro associati con Ftx che potrebbero aver tradito la fiducia pubblica e infranto la legge», ha detto il premier caraibico Philip Davis.

La fuga alle Bahamas

Bankman-Fried si trova nel paese da quando Ftx ha richiesto la procedura di bancarotta assistita. L’ex amministratore delegato aveva spostato la sede della piattaforma a Nassau, capitale delle Bahamas, da Hong Kong nel 2021. Nelle ultime settimane dopo il Chapter 11, SBF si è lanciato in una serie di interviste virtuali per spiegare la sua versione dei fatti. E per fare pubblicamente ammenda degli errori che hanno spinto Ftx alla bancarotta causando ingenti perdite agli investitori. Laureato al Massachusetts Institute of Technology, figlio di professori di diritto alla Stanford University, Bankman-Fried era considerato il re del settore presso il grande pubblico e la classe politica.

Il crack di Ftx

L’agenzia di stampa Afp scrive che l’inchiesta ha già dimostrato come gli asset dei clienti di Ftx fossero utilizzati insieme a quelli di Alameda, società di investimenti in criptovalute di SBF. FTX ha anche intrapreso una politica di spese folli a partire dalla fine del 2021, facendo fuori 5 miliardi di dollari in iniziative e investimenti che «potrebbero essere ripagati solo in parte», secondo il successore John Ray III. La piattaforma ha inoltre erogato, in prestiti o pagamenti, più di un miliardo di dollari destinati al personale dell’azienda. Ray, che ha seguito diverse procedure fallimentari tra cui quella dell’ex colosso energetico americano Enron, ora ha l’obiettivo di massimizzare il valore degli asset ancora detenuti da FTX per rimborsare il più possibile clienti e creditori.

Le accuse

Le accuse contro il 30enne saranno ufficialmente annunciate nelle prossime ore. Secondo indiscrezioni riceverà una contestazione per frode e riciclaggio di denaro. Gli Usa chiederanno anche l’estradizione di Bankman-Fried. Ray intanto è atteso al Congresso. Dirà che il collasso di Ftx deriva dall’«assoluta concentrazione del controllo nelle mani di un piccolo gruppo di individui senza esperienza». Che non hanno attuato i controlli che sono «necessari per un società alla quale viene data fiducia con soldi e asset». Avrebbe dovuto testimoniare anche Bankman-Fried, anche se non in presenza. Per spiegare gli otto miliardi di buco di bilancio nella società. Un crack che ha subito portato al paragone più ovvio: quello con Lehman Brothers.

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Ue, Budapest toglie il veto: trovato accordo su minimum tax e aiuti all’Ucraina per 18 miliardi

12 Dicembre 2022 - 23:41 Redazione
Nel pacchetto approvato dal Comitato dei rappresentati permanenti europei (Coreper) anche il sì al Pnrr ungherese

Il Comitato dei rappresentanti permanenti Ue (Coreper) ha terminato la sua riunione notturna trovando un accordo sul pacchetto di proposte ostacolato fino a pochi giorni fa da Budapest. i Rappresentanti dei 27 membri Ue ha approvato il piano che prevede tra le altre cose l’emissione di 18 miliardi di aiuti per l’Ucraina per il prossimo 2023. Oltre alla cifra accordata, gli Stati hanno deciso per la minimum tax al 15% per le grandi aziende e per il sì incondizionato al Pnrr ungherese. Pochi mesi fa Budapest si era opposta alla misura della minimum tax dichiarando che «un onere fiscale nel contesto della guerra» sarebbe potuto essere «dannoso per la competitività europea». Ma gli eurodeputati, di tutta risposta, chiesero alla Commissione e al Consiglio di non approvare il Pnrr del Paese fino a quando il governo ungherese non avesse scelto di ritirare il parere contrario. L’intesa politica ora trovata dovrà essere confermata nei prossimi giorni tramite procedura scritta. Ma l’accordo sembra essere stato trovato in modo definitivo. Nel pacchetto anche il punto d’arrivo sul congelamento dei fondi di coesione per l’Ungheria per il meccanismo di condizionalità: la percentuale di finanziamenti congelati scende rispetto al 65% previsto dalla Commissione.

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Afghanistan, l’Isis rivendica l’attentato all’hotel di Kabul. «Bombe contro ufficiali talebani e spari agli ospiti nelle stanze»

12 Dicembre 2022 - 22:58 Redazione
Nell'attacco organizzato dallo Stato islamico si contano 3 morti e 21 feriti. L'albergo era frequentato da molti imprenditori cinesi in cerca d'affari

L’Isis rivendica l’attacco avvenuto nella giornata di oggi, 12 dicembre, a Kabul contro un hotel della città. A farlo sapere è l’agenzia di stampa Afp, la stessa che poche ore fa aveva dato notizia dell’esplosione e degli spari uditi vicino alla struttura di Kabul, citando i racconti di testimoni presenti. Fonti ospedaliere poche ore dopo hanno confermato il decesso di tre persone e l’esistenza di 21 feriti. Anche Emergency ha dato conto delle vittime dell’attentato, non specificando se fossero civili o coinvolti nell’attacco. Ora lo Stato islamico riferisce e conferma he due dei suoi membri «hanno attaccato un grande hotel frequentato da diplomatici e uomini d’affari cinesi a Kabul, dove hanno fatto detonare due ordigni esplosivi nascosti all’interno di due borse, uno destinato a una festa per ospiti cinesi e l’altro alla sala dei ricevimenti». Nel comunicato l’Isis continua: «Uno dei due combattenti ha lanciato bombe a mano contro gli ufficiali talebani che stavano cercando di fermarli, mentre l’altro ha iniziato a far esplodere gli ordigni che aveva attaccato alle porte delle camere d’albergo e a sparare agli ospiti dell’hotel». La struttura alberghiera colpita era molto frequentata dagli imprenditori cinesi che si sono riversati nel Paese dopo il ritorno dei talebani alla ricerca di affari. La Cina dal canto suo non ha riconosciuto ufficialmente il governo talebano, ma è uno dei pochi Paesi a mantenere una presenza diplomatica completa nel Paese.

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Cartucce italiane in Iran: così l’azienda di Livorno ha armato la polizia morale di Teheran

12 Dicembre 2022 - 22:31 Redazione
L'inchiesta di France 24 svela che sarebbero state trovate almeno 13 cartucce in otto diverse città iraniane

Sulla storica azienda di cartucce da caccia Cheddite, con base a Livorno, si è alzato un grande polverone che getta un’ombra lunga, che arriva fino all’Iran e alle piazze della protesta. Le loro cartucce sarebbero state utilizzate dalla polizia morale iraniana contro i manifestanti scesi in piazza contro la morte di Mahsa Amini e le restrizioni del regime. Sono 13 quelle trovate in 8 diverse città iraniane. A rivelarlo è un’inchiesta di France 24 che ha portato l’ex presidente della Camera Laura Boldrini e il segretario di Sinistra italiana Nicola Fratoianni a presentare un’interrogazione parlamentare. «Vogliamo che sia fatta luce su questo ennesimo episodio vergognoso, siano individuate responsabilità, sia rispettata la legge e l’embargo di armi verso le dittature», ha dichiarato Fratoianni. Ferma anche la posizione di Boldrini: «Al Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e al Ministro della Difesa chiedo quali iniziative intendono assumere per impedire che l’esportazione di armi e munizioni, o di loro componenti, per uso civile o militare, possa contribuire alla repressione violenta dei movimenti democratici in Iran».

La ricostruzione della vicenda

Stando alla ricostruzione della testata francese, le cartucce in questione sarebbero arrivate a Teheran grazie a una terza ditta, forse in Turchia. Cheddite in passato avrebbe investito proprio ad Ankara tramite quote della società Yavascalar YAF, a sua volta accusata di aver venduto cartucce in Myanmar. A dimostrare le accuse sarebbero le incisioni «Cheddite 12» sulla base dei proiettili. Sulla questione è intervenuta anche Amnesty International, che ricorda che se fosse confermato si tratterebbe di una grave violazione del regolamento 359 del Consiglio dell’Unione Europea che vieta di esportare verso l’Iran attrezzature militari destinate a reprimere il dissenso. L’azienda, al momento, non ha ancora replicato sulla questione. Anche Potere al Popolo ha denunciato la vicenda sottolineando che «non è la prima volta che le cartucce Cheddite sono utilizzate nelle strade sui manifestanti, ne era già stato denunciato il diffuso impiego l’anno scorso da parte del regime militare birmano».

Cosa fa l’azienda Cheddite

L’azienda in questione ha stabilimenti in Italia e Francia, con sedi a Livorno e Bourg-lès-Valence. Si identifica come il più grande produttore al mondo di cartucce vuote per fucili e produrrebbe più di un miliardo di cartucce ogni anno. Cheddite, riferisce France 24, «produce cartucce vuote con involucri di plastica e basi metalliche che contengono un innesco che produce scintille e le vende ad altri produttori che riempiono le cartucce con polvere esplosiva e pallini o altri proiettili». Dal 2014 è registrata al Registro del Ministero della Difesa per le imprese esportatrici di armamenti ai sensi della Legge 185/90. L’amministratore delegato dell’azienda è l’italiano Andrea Andreani, mentre il cda è a maggioranza francese.

Foto di copertina: France 24

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Torino, la visita a sorpresa di Alberto Angela davanti al murale del padre Piero: «Immenso»

12 Dicembre 2022 - 22:16 Redazione
L'opera d'arte comparsa su una palazzina di Nichelino sarà inaugurata il prossimo 22 dicembre, giorno della nascita dello storico divulgatore scientifico morto lo scorso agosto a 93 anni

Una visita fatta in gran segreto ancora prima che l’opera d’arte venisse inaugurata. Alberto Angela si è recato di persona a Nichelino, comune della città metropolitana di Torino, per ammirare da vicino il murale dedicato a suo padre Piero Angela, l’indimenticabile divulgatore scientifico torinese, morto lo scorso 13 agosto a 93 anni. «È bellissimo, immenso… grazie di cuore!», ha scritto sui social il figlio Alberto, a pochi mesi dalla scomparsa del papà. L’opera d’arte verrà inaugurata ufficialmente il prossimo 22 dicembre, in occasione proprio della data di nascita di Piero Angela. Il paleontologo, divulgatore scientifico, conduttore televisivo, giornalista, ora 60enne, ha seguito in gran parte le orme del padre. Pochi mesi ha commosso l’Italia con il suo discorso d’addio durante i funerali di Piero Angela e poche ore fa si è detto commosso per l’omaggio comparso sulla facciata laterale della palazzina di via Torino. Voluto dall’Amministrazione Comunale, in particolar modo dall’assessore Fiodor Verzola, il murale è stato realizzato da un gruppo di artisti, scelti da Palazzo Civico per omaggiare lo storico divulgatore.

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Milano, rider investito da una minicar. La denuncia: «Lo ha puntato e poi è fuggito» – Il video

12 Dicembre 2022 - 21:49 Redazione
Secondo il racconto del 28enne di origine nigeriana, prima dell'impatto il conducente lo avrebbe affiancato per poi fingere di allontanarsi

Investito di proposito da una minicar mentre era in sella alla sua bici in corso Venezia a Milano, il rider 28enne di origine nigeriana ora ha intenzione di denunciare quanto successo lo scorso novembre. Nel video diffuso in esclusiva da LaPresse, si vede il momento dello schianto contro la bicicletta, con il giovane che cade a terra rovinosamente. Trasportato in ospedale, Influence è stato operato per una frattura biossea: «L’osso della sua gamba si è rotto in due punti ed è stato necessario applicare una placca», riferisce l’avvocato del giovane. Martedì 13 dicembre, accompagnato dal suo legale, il rider andrà a sporgere denuncia alle forze dell’ordine. Secondo quanto il 28enne ha raccontato all’avvocato, poco prima dell’impatto il conducente della minicar avrebbe anche avvicinato il rider chiedendogli qualcosa. «Mi ha riferito che chi era alla guida ha farfugliato qualcosa che lui non ha capito», spiega il difensore, «poi l’auto si è allontanata. Influence era convinto che fosse finita là, invece è tornato da un’altra strada e lo ha colpito. Dal nostro punto di vista si configura il reato di tentato omicidio».

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12 Dicembre 2022 - 21:38 Ygnazia Cigna
Il presidente ucraino è tornato a chiedere più armi e ha proposto un «summit mondiale sulla pace» a Kiev

«Sarebbe giusto iniziare questo Natale con il ritiro delle truppe russe dal territorio dell’Ucraina riconosciuto a livello internazionale». Così Volodymyr Zelensky ha chiesto a Mosca un cessate il fuoco nel corso del suo intervento da remoto alla riunione del G7. «Propongo alla Russia di compiere un passo concreto e significativo verso un accordo diplomatico, di cui Mosca parla così regolarmente. Molto presto avremo le feste celebrate da miliardi di persone», ha detto sottolineando che si tratta del periodo in cui «le persone normali pensano alla pace e non all’aggressione». E ha annunciato che: «Se la Russia ritira le sue truppe dall’Ucraina, assicurerà una cessazione duratura delle ostilità». Il presidente ucraino è tornato a chiedere più armi ai Sette: «Abbiamo bisogno di tank moderni, di costante sostegno, di artiglieria, pistole e proiettili». Poi ha proposto che si tenga un «summit mondiale sulla pace» a Kiev.

Il ringraziamento all’Italia

Oltre a esprimere gratitudine a tutti i Paesi del G7, Zelensky ha rivolto i suoi ringraziamento anche al nostro Paese. «Sono grato all’Italia e a tutti gli italiani per l’apporto tempestivo e senza esitazione di sicurezza e sostegno finanziario. Vi sono grato per la solidarietà nel rispetto della dignità umana, perché la Russia vuole privare della dignità tutte le nazioni libere, e non solo in Europa. Grazie, signora Primo Ministro». Il presidente ucraino è poi tornato sul tema del gas invitando i Paesi ad aumentare l’assistenza a Kiev. «Il terrore contro le nostre centrali elettriche ci ha costretto a utilizzare più gas del previsto. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di ulteriore supporto durante questo particolare inverno. Stiamo parlando di un volume di circa due miliardi di metri cubi di gas che deve essere procurato in aggiunta».

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