Pochi utenti, molte spese, contenuti non esclusivi: perché chiude ITsArt, «la Netflix della cultura» voluta da Franceschini
Dopo meno di due anni, ITsArt ha chiuso i battenti. «La Netflix della cultura italiana», come l’aveva definita il suo ideatore, l’ex ministro della Cultura Dario Franceschini non riceverà più fondi dallo Stato per decisione del suo successore Gennaro Sangiuliano. La piattaforma – che Open aveva provato – era stata resa disponibile nel maggio del 2020 e avrebbe dovuto cavalcare l’onda del lockdown proponendo film, serie, spettacoli, documentari e musica. Infatti, ITsArt «può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità», aveva dichiarato il ministro illustrando l’idea. Ma la piattaforma non avrebbe solo dovuto mettere una pezza alle difficoltà che il mondo della cultura in presenza – cinema, teatri, musei – viveva nel pieno della pandemia. L’idea era di mantenere il progetto vivo anche con l’allentamento delle restrizioni. Come? «Ci sarà chi vorrà seguire la prima della Scala in teatro e chi preferirà farlo, pagando, restando a casa» spiegava Franceschini nell’aprile di due anni fa. Già a dicembre 2020, però, iniziavano le prime difficoltà con la piattaforma che faticava a decollare il ministro che chiedeva più promozione per il prodotto, ribadendo che farla non spettava al ministero.
I numeri
Il 29 dicembre è arrivato l’atto della messa in liquidazione di ITsArt, ma la notizia dell’abbandono del progetto finanziato dalla Cassa depositi e prestiti in collaborazione con il servizio di streaming meneghino Chili si è diffusa solo nelle ultime ore. La ragione è chiara. Le difficoltà percepite sono confermate dai numeri. Al servizio si sono registrati 141 mila utenti in totale, che hanno portato 246 mila euro di incassi. Cifre importante che però guardano dal basso all’alto le spese sostenute per lanciare ITsArt. Solo nel 2021 sono stati spesi 7,5 milioni per mantenere la piattaforma. Di questi, 900 mila euro sono andati al personale. In totale, l’investimento iniziale è stato di 10 milioni di euro da parte dello Stato, e di 9 milioni da parte di Chili. C’è poi la questione dei contenuti. Alcuni di questi erano disponibili non solo a pagamento sulla piattaforma, ma anche gratuitamente su YouTube fa sapere il Giornale. E i prezzi non erano proprio abbordabili. Andavano dai due euro per il noleggio di un film ai 5 euro per l’acquisto. Per i concerti, invece, si arrivava a spendere anche 10 euro per il biglietto “dal vivo” in streaming.