Reddito di cittadinanza, nessun giro di vite sull’offerta congrua: a rischio i risparmi previsti in manovra
Uno degli argomenti di polemica più forti contro il funzionamento del reddito di cittadinanza è collegato al diritto del percettore del sussidio di rifiutare un’offerta di lavoro che non sia «congrua» rispetto alle proprie competenze e al proprio profilo professionale. Un diritto che è stato oggetto di diverse critiche – perché, è stato detto da più parti, chi percepisce un sussidio pubblico dovrebbe essere agevolato nella scelta dell’attività da svolgere per ritornare nel mondo del lavoro – sfociate anche in diversi interventi approvati con la recente legge di bilancio. Accanto ad alcune misure volte a rendere più selettivo l’accesso alla misura (come la riduzione della durata del trattamento a 7 mesi per i soggetti «occupabili» o la decadenza, per i soggetti di età compresa tra 18 e 59 anni, del beneficio in caso di rifiuto o mancata partecipazione ai corsi di formazione e riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti) doveva essere anche approvata una norma che sopprimeva l’aggettivo «congrua» dal testo della normativa vigente. Apparentemente, questa modifica avrebbe avuto l’effetto di rendere vincolante l’accettazione di qualsiasi offerta di lavoro proveniente dai servizi per l’impiego, anche ove questa non fosse stata coerente con il profilo professionale dell’interessato, pena la perdita immediata del reddito di cittadinanza.
Questa norma è rimasta, tuttavia, incompleta dopo un serrato confronto interno nella maggioranza. Il legislatore ha rinunciato a ritoccare l’impianto complessivo delle regole che governano il reddito di cittadinanza. Pur essendo scomparso l’aggettivo nella norma, la legge di bilancio non ha modificato l’art. 4 del D.L. n. 4/2019, la norma istitutiva del sussidio, che richiama ancora (comma 8, lett. b), n. 5) l’offerta di lavoro congrua (come ha rilevato, primo tra tutti, il giuslavorista Michele Tiraboschi). Questo vuol dire che, anche dopo la legge di bilancio, il percettore del reddito ha l’onere di accettare l’offerta solo quando questa sia coerente con quanto previsto dall’art. 25 del d.lgs. n. 150/2015, uno dei decreti attuativi del Jobs Act che ha riformato la normativa sui servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro, che fa ancora riferimento all’offerta «congrua».
Tutto invariato, quindi? Probabilmente si. A meno di modifiche normative o regolamentari (il ministero del Lavoro ha uno spazio di intervento con proprio decreto), il percettore del reddito di cittadinanza potrà rifiutare un’offerta di lavoro quando il luogo di lavoro dista più di 80 chilometri dalla residenza del beneficiario o comunque non è raggiungibile entro cento minuti con i mezzi pubblici. Mettendo così a rischio i risparmi previsti in manovra con il taglio della misura. Queste discussioni sono importanti ma, purtroppo, più teoriche che reali, se si considera che i casi nei quali i servizi per l’impiego riescono effettivamente a formulare una proposta di lavoro ai percettori del reddito di cittadinanza sono pochissimi. L’ennesimo esempio di come, nel nostro Paese, si spendono fiumi di inchiostro per scrivere riforme ambiziose e poi ci si dimentica di tradurle in un’azione amministrativa coerente.
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