Iran, la scure del regime: altre 4 condanne a morte, 19mila arresti dall’inizio delle proteste. Khamenei: «Traditori sobillati da Europa e Usa»
Non si ferma la macchina statale della morte in Iran, nel tentativo di mettere a tacere le proteste che infuriano nel Paese da settembre, dopo la morte della giovane Mahsa Amini seguita al suo arresto da parte della polizia morale. Dopo le pene capitali eseguite negli scorsi giorni, altre quattro persone sono state condannate a morte dai tribunali iraniani per avere «messo a repentaglio la sicurezza del Paese», secondo quanto riferisce l’agenzia Irna. Saleh Mirhashemi Baltaghi, Majid Kazemi Sheikhshabani e Saeed Yaghoobui Kordsofla, in particolare, sono stati condannati con l’accusa di «attacco terroristico armato» per aver sparato e ucciso tre membri delle forze di sicurezza. Altre due persone arrestate in relazione allo stesso episodio, riferisce ancora Irna, sono state condannate rispettivamente a 26 anni e a due anni di reclusione, mentre una terza è stata assolta. Poche ore dopo si è appreso della condanna a morte di un quarto uomo, il ventenne Kambiz Kharot. L’uomo, riporta l’agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, era stato arrestato durante recenti tumulti a Zahedan, nel sud est del Paese. La condanna a morte pronunciata per lui è legata alla colpa di Muharebeh (inimicizia contro Dio) e “corruzione sulla terra”.
Il bilancio della repressione e la versione di Khamenei
Dall’inizio dell’ondata di proteste contro il regime, stima Hrana, sarebbero 519 le persone morte, compresi 70 minori e 68 membri delle forze di sicurezza. Oltre 19mila, invece, le persone arrestate. Una linea repressiva che non sembra destinata a interrompersi. La Guida suprema dell’Iran, Ali Khamenei, è tornato infatti a far sentire la propria voce, affermando che i manifestanti che da quasi quattro mesi protestano sono dei “traditori” e devono essere combattuti duramente. Per Khamenei, secondo quanto riporta la tv di Stato di Teheran, i manifestanti sarebbero in realtà «poche persone che si sono radunate nelle strade, hanno gridato e dato fuoco a cassonetti con il solo obiettivo di distruggere i punti forti del sistema». Ma al contempo, precisa la Guida suprema, ci sarebbe dietro di loro una regia internazionale evidente. «La mano degli stranieri, americani ed europei, nelle rivolte è così ovvia che non può essere ignorata. I media occidentali, arabi ed ebraici, come anche i social network, stanno tentando di diffondere l’idea che le attuali rivolte mirano a criticare i punti deboli esistenti nella gestione del Paese rispetto all’economia, ma di fatto sono contro i nostri punti forti». «Dobbiamo agire in tempo prima che sia troppo tardi, non dobbiamo trascurare il nostro dovere islamico e dobbiamo arrivare sul posto senza ritardi, e persino mettere in pericolo le nostre vite, se necessario».
L’appello “globale” di Papa Francesco
Contro la repressione e le condanne a morte, spesso di giovanissimi, in Iran si è levata oggi anche la voce di Papa Francesco. «Il diritto alla vita è minacciato laddove si continua a praticare la pena di morte, come sta accadendo in questi giorni in Iran, in seguito alle recenti manifestazioni, che chiedono maggiore rispetto per la dignità delle donne – ha ammonito il Pontefice -. La pena di morte non può essere utilizzata per una presunta giustizia di Stato, poiché essa non costituisce un deterrente, né offre giustizia alle vittime, ma alimenta solamente la sete di vendetta. Faccio, perciò, appello perché la pena di morte, che è sempre inammissibile poiché attenta all’inviolabilità e alla dignità della persona, sia abolita nelle legislazioni di tutti i Paesi del mondo».
Foto: EPA/IRAN
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