Il giudice che indagò su Emanuela Orlandi: «Il Vaticano sa ma non parla, alcuni prelati hanno fatto carriera con il silenzio»
Giancarlo Capaldo è stato procuratore aggiunto di Roma all’epoca dell’ultima inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Ha seguito quindi da vicino le indagini che hanno riguardato i racconti di Sabrina Minardi e la ricerca del corpo della cittadina vaticana nella cripta di Sant’Apollinare, dove si trovava il corpo di Enrico De Pedis detto Renatino. L’indagine, seguita dalla scomparsa Simona Maisto, è stata successivamente archiviata su richiesta del suo successore Giuseppe Pignatone. Capaldo all’epoca si oppose senza successo. E raccontò in più occasioni di aver avuto una “trattativa” con due personaggi del Vaticano (Domenico Giani e Costanzo Alessandrini) sulla “restituzione” del corpo della ragazza con la fascetta. Oggi su La Stampa Capaldo riepiloga con Gianluigi Nuzzi quei tempi. E parla delle piste vaticane comparse sulla scena durante le indagini.
Le piste vaticane
Capaldo risponde a monsignor Georg Gänswein. Il quale in una dichiarazione rilasciata a il Fatto Quotidiano aveva sostenuto che Giani e Alessandrini avevano offerto collaborazione solo sulla traslazione del corpo di De Pedis. Senza mai parlare del corpo della ragazza. Secondo la tesi del segretario di Papa Ratzinger quindi Capaldo avrebbe frainteso quello che gli hanno detto i due gendarmi vaticani. La risposta di Capaldo è questa: «Non voglio certo entrare in polemica con monsignor Ganswein. Dico solo che, non essendo io dotato di grande fantasia, difficilmente posso aver frainteso la visita dei gendarmi inviati dal Vaticano, soprattutto perché solo successivamente all’incontro hanno sciolto la loro riserva».
«Intervento di forze sconosciute»
Capaldo per “riserva” intende l’ok alla traslazione del corpo di De Pedis da Sant’Apollinare. E dice che dopo quell’incontro «il canale di comunicazione con il Vaticano si è interrotto». Poi precisa: «Avevamo iniziato un percorso comune. Che, purtroppo, si è interrotto in modo brusco e poco chiaro. I fatti mi fanno concludere che, nel corso degli anni, il Vaticano non ha mai realmente collaborato con la magistratura italiana nel caso». Sul caso, dice di aver avuto libertà di indagare solo dal 2008 al 2012. E che dopo essere arrivato a un punto di svolta, non è riuscito a realizzarla «a causa dell’intervento di forze sconosciute, anche se individuabili».
La tesi di Capaldo
Poi l’ex magistrato illustra la sua tesi sulla scomparsa di Emanuela Orlandi: «Credo che sia entrata, con l’ingenuità dei suoi quindici anni, in un gioco troppo più grande di lei. Ritengo che sia stata sequestrata a fini di ricatto e sia stata riconsegnata da De Pedis a qualcuno inviato dal Vaticano. Temo che, successivamente, la povera Emanuela sia morta». Capaldo ritiene che tra le mura «vi siano ancora persone che conoscono la verità. E conoscerla, con particolari dettagli, per taluni ha significato fare carriera» a San Pietro. Mentre il Vaticano in questa vicenda «è vittima ma anche carnefice». Infine, secondo il magistrato non è privo di significato che nel 1983 a Roma siano scomparse tante ragazze: Mirella Gregori, l'”Altra Emanuela“, è la più famosa.
Cosa non torna nella tesi
Capaldo ha dedicato a Orlandi anche il libro “La ragazza scomparsa”. Mentre Pignatone, che aveva chiesto l’archiviazione per la sua indagine, è nel frattempo diventato presidente del Tribunale dello Stato di Città del Vaticano. Sulla tesi che espone, in primo luogo bisogna ricordare che Renatino De Pedis, il “presidente” morto in un agguato criminale nel 1990 a Campo de’ Fiori, non ha mai ricevuto condanne definitive per associazione a delinquere in relazione alla Banda della Magliana. Poi c’è da segnalare che nonostante le decine di rivendicazioni e le tante telefonate anonime, il gruppo che ha agito dopo l’appello di Giovanni Paolo II non ha mai dimostrato di avere la disponibilità della presunta rapita Orlandi. Ovvero non ha mai dato prova della sua esistenza in vita dal giorno della scomparsa, il 22 giugno 1983.
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