«Apologia del delitto di associazione mafiosa», chiesti un anno e sei mesi per l’ex senatrice della Lega
Era il 3 ottobre 2020 e dal palco dell’evento Noi con Salvini, a Catania, l’ex senatrice leghista Angela Maraventano pronunciò queste parole: «La nostra mafia ormai non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima. Dove sono?». Due giorni più tardi, anche grazie alla sollecitazione del deputato Stefano Candiani, allora commissario della Lega in Sicilia, Maraventano lasciò il partito. A distanza di due anni e pochi mesi, la procura di Catania, con il pm Agata Consoli, ha chiesto la condanna a un anno a sei mesi di reclusione: la politica avrebbe commesso il reato di istigazione a delinquere. Per l’accusa, Maraventano avrebbe fatto «un’apologia pubblica del delitto di associazione mafiosa». Il pretesto di quell’intervento, definito da Candiani «grave e ingiustificabile», era fornito dall’udienza preliminare del caso Gregoretti. All’epoca Matteo Salvini era imputato sempre per la gestione dei flussi migratori in qualità di ministro dell’Interno. L’inchiesta si è conclusa con sentenza di archiviazione.
Per quanto riguarda il processo, con rito abbreviato, che vede coinvolta Maraventano, si sono costituite le seguenti parti civili: l’associazione antimafie Rita Atria e il giornalista Riccardo Orioles, rappresentati dall’avvocato Goffredo D’Antona, che hanno chiesto simbolicamente un euro di risarcimento danni; le associazioni Libera, con la penalista Enza Rando, e Dhelia, con il legale Nicola Condorelli Caff, che hanno annunciato la donazione in beneficenza a progetti sociali dell’eventuale risarcimento. Secondo la ricostruzione della procura di Catania, contenuta nella richiesta di rinvio a giudizio, Maraventano «parlando del tema dei flussi migratori, afferma che “questo governo abusivo, complice di chi traffica carne umana e c’è anche dentro la nostra mafia che ormai non ha più quella sensibilità e quel coraggio che aveva prima. Dove sono? Non esiste più perché noi la stiamo completamente eliminando perché nessuno ha più il coraggio di difendere il proprio territorio”».
Per la procura, con quelle frasi, l’ex senatrice avrebbe «riconosciuto alla mafia qualità, come sensibilità e coraggio ed un ruolo di controllo e tutela del territorio, contrapposto a quello dello Stato, di cui contestava l’azione di contrasto alle associazioni mafiose». L’inchiesta della procura, tra gli atti, include la denuncia presentata dall’associazione Rita Atria, la quale contesta anche le dichiarazioni successive fatte dall’ex leghista per giustificare le parole del comizio. «Una frase infelice dettata dalla rabbia e dal momento difficile che sta vivendo il nostro Paese, ma io mi sono sempre battuta contro tutte le mafie». Maraventano precisò anche che «per vecchia mafia intendevo la difesa del proprio territorio, nel senso del coraggio che potevano avere i nostri. Non mi riferivo alla mafia brutta, quella che ha ucciso i nostri valorosi».