Le prime parole di Matteo Messina Denaro in carcere: «Precedenti? Fino a oggi ero incensurato. Non mi pentirò mai»
«Fino a stanotte ero incensurato. Poi non so che è successo». Così ha risposto Matteo Messina Denaro nel supercarcere Le Costarelle a L’Aquila a chi gli chiedeva i suoi precedenti per la compilazione della scheda anagrafica. Mentre alla domanda sulla residenza ha sorriso: «Non ne ho mai avuta una». Il boss non ha voluto mangiare. Non ha chiesto giornali, libri o altro. Durante la visita, a parte il tumore, è apparso in buone condizioni di salute. Poi è stato accompagnato in cella. Dove sarà in regime di 41 bis. Il penitenziario di Preturo si trova in mezzo al nulla: un’isola detentiva lontana dal resto della città. La cella, quattro metri per tre e senza fornello per il cibo, sarà sua tempo indeterminato. In un’altra cella, adibita ad infermeria, sarà sottoposto a chemioterapia.
Il boss “incensurato”
A L’Aquila Matteo Messina Denaro è arrivato a notte inoltrata. Per il trasferimento è stato usato un C-130 dell’Aeronautica militare. Dopo l’arresto il Ros ha perquisito il suo covo. Dove ha trovato preservativi, Viagra e ricevute di ristoranti. Il suo prestanome Andrea Bonafede ha ammesso di aver comprato casa per lui a Campobello di Mazara. Ha anche scelto un’avvocata per rappresentarlo: sarà Lorenza Guttadauro, la nipote. Le cure per la chemio le gestirà il primario del reparto carcerario a gestione universitaria. Per ragioni di sicurezza non sono previste visite mediche all’esterno. Potrà invece ricevere visite. «Riceverà lo stesso trattamento dei detenuti con patologie sanitarie. Garantiremo il suo diritto alla salute», dice il Garante dei detenuti abruzzesi Gianmarco Cifaldi.
L’appunto per i Ros
Repubblica aggiunge oggi che nel carcere il boss si è presentato con camicia e pantaloni di marche di lusso, cintura di pitone, stivaletti di pregio. Immancabili il giaccone e il berretto in pelle. Il fisico asciutto tradisce la frequentazione di palestre o la ginnastica in casa. All’aeroporto di Boccadifalco ha chiesto carta e penna per scrivere un appunto: «I carabinieri del Ros e del Gis mi hanno trattato con grande umanità». E la frase in cui si autodichiarava incensurato si è conclusa con un sarcastico «non so perché sono qui». Mentre alla domanda se la sua famiglia avesse precedenti ha semplicemente replicato: «Quale famiglia?». Il Fatto Quotidiano prova a spiegare cosa intendesse Messina Denaro con la risposta sui precedenti. Il padrino di Castelvetrano, in quella che indubbiamente è una frase ironica, voleva sottolineare che quella era la sua prima volta in carcere. A differenza di altri come Totò Riina e Bernardo Provenzano, che avevano trascorso già da giovani notti in cella.
«Non collaborerò mai»
Il quotidiano spiega che Messina Denaro ha già chiuso le porte a qualsiasi tipo di collaborazione con lo Stato. «Non voglio collaborare», è il senso di quello che ha detto al procuratore Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido. Il quotidiano racconta anche la reazione dei boss detenuti all’arresto: «Se lo sono venduti», è stato il commento di alcuni esponenti dei clan di camorra. «Qualcuno ha fatto la spia», è stata la frase di alcuni malviventi di piccolo calibro. Nelle celle dei boss invece vige la regola del silenzio. Non una parola da Giuseppe Graviano e dal fratello Filippo. Che, incidentalmente, si trova proprio a L’Aquila. Dove anche l’ultimo dei Corleonesi si è dovuto sottoporre alle operazioni di rito. Foto segnaletiche, registrazione delle impronte digitali. Poi l’arrivo alla cella al piano terra del carcere. Dove sarà sorvegliato 24 ore su 24.
L’ammissione di Bonafede
Intanto ieri il vero Andrea Bonafede ha ammesso di aver comprato la casa nel centro abitato di Campobello di Mazara in vicolo San Vito (ex via Cv31) .«Mi ha dato 20mila euro», ha raccontato ai il geometra di Campobello, ora indagato per associazione mafiosa. Interrogato dai carabinieri Bonafede ha ammesso di conoscere Messina Denaro fin da ragazzo e di aver acquistato con 20 mila euro ricevuti dal boss l’appartamento. Nell’appartamento non sarebbero stati trovati documenti particolari. Un dato che induce i magistrati a sospettare che quella di vicolo San Vito fosse solo l’abitazione del boss e che l’ex primula rossa di Cosa nostra avesse scelto un altro luogo per nascondere il suo leggendario tesoro. Gli inquirenti sono arrivati all’appartamento grazie a una chiave ritrovata nel borsello del boss dopo l’arresto, insieme a due telefonini ora al vaglio degli inquirenti.
L’Alfa Romeo 164
Attraverso il codice della chiave, gli investigatori sono risaliti a un’Alfa Romeo 164. Con un sistema di intelligenza artificiale hanno ricostruito, con tanto di immagini, gli spostamenti dell’auto. Tra le riprese c’era anche quella del boss che entrava e usciva dall’abitazione di Campobello con le borse della spesa. Ora mancano ancora due pezzi del puzzle. Il medico Alfonso Tumbarello e il commerciante di olive Giovanni Luppino. Il primo è attualmente indagato. Aveva in cura il capomafia a cui prescriveva cure e farmaci intestando le ricette a Bonafede. Ma il vero geometra lo conosceva bene da anni. Anche lui era suo paziente. Il secondo è agli arresti con l’accusa di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. Oggi comparirà davanti al Gip per l’udienza di convalida.
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