Le lettere di Messina Denaro al misterioso Svetonio, le citazioni latine e quel tatuaggio del boss sulla sua passione
Gli omicidi brutali, le stragi, le condanne a morte. Matteo Messina Denaro è stato riconosciuto colpevole, come esecutore o come mandante, di alcuni dei delitti più efferati della storia recente italiana. Dalla vicenda del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e poi sciolto nell’acido dopo più di due anni di sequestro, alle stragi di mafia di via d’Amelio e di Capaci, dove furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E se crudeltà e spietatezza emergono con tale forza nella sua vita, fino a definirla, fa ancora più impressione leggere le sue lettere in cui dà sfoggio di cultura, tra citazioni letterarie e in latino. Esempio ne sono gli scambi epistolari con il suo «amico di penna» soprannominato Svetonio, per celarne l’identità, in cui lo stesso boss si fa chiamare Alessio. Non una scelta casuale, sicuramente, quella dello storico e biografo romano, che circa 2.000 anni fa scrisse il “De viris illustribus” (Di uomini illustri), una scelta che non cela l’ambizione dello stesso latitante.
Dietro quel soprannome però si nasconde Antonino Vaccarino, massone, professore e figura molto controversa. Soprattutto, intimo amico di don Ciccio, all’anagrafe Francesco Messina Denaro, papà del boss catturato il 16 gennaio. In virtù di questa amicizia, l’ex sindaco di Castelvetrano già condannato per traffico di stupefacenti, riesce a conquistarsi la fiducia di “Matteo” e con lui inizia uno scambio epistolare tra il 2004 e il 2006. Quello che il super boss non sa è che Vaccarino è un infiltrato e sta collaborando con i servizi segreti, che stanno cercando di stanare il latitante. Nei messaggi con Svetonio, Alessio dà sfoggio della sua conoscenza, fa riferimento a Kant e alll’Eneide di Virgilio, persino Orazio. Per poi paragonarsi al signor Malaussène di Daniel Pennac, per dipingersi come capro espiatorio.
Poi lo scambio si interrompe bruscamente con l’arresto di Provenzano, che aveva conservato i suoi pizzini. Un ultimo messaggio però, il super boss lo manda a Vaccarino, quando scopre il doppio gioco del professore: «La sua illustre persona fa già parte del mio testamento, in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti». Persino sulla sua pelle Messina Denaro ha inciso una citazione letteraria, oltre a una data – «8 ottobre 1981» – e a una frase – «Tra le selvagge tigri» -. Messina Denaro si è fatto tatuare «Ad augusta per angusta», parafrasando Victor Hugo che nel suo Hernani menziona questo motto come parola d’ordine dei congiurati contro Carlo V.
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