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La verità di Michele Santoro su Matteo Messina Denaro: «Un boss che si fa i selfie non mi convince. L’arresto? Gli conveniva»

matteo messina denaro selfie arresto michele santoro
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L'autore e conduttore tv non crede che la cattura dell'ultimo dei Corleonesi sia una farsa. Ma pensa che la malattia abbia abbassato le difese del boss. Così la paura della morte e la voglia di tornare in contatto con i familiari hanno influito sull'arresto del secolo

«Non mi convince un Matteo Messina Denaro che si fa i selfie in clinica. O che arriva con l’olio di Castelvetrano per medici ed infermieri. Preferisco pensare che l’abbia tradito la voglia di essere seppellito tra i suoi ulivi». Michele Santoro ha scritto con Guido Ruotolo “Nient’altro che la verità”. Il libro raccoglie le confessioni di Maurizio Avola, killer della mafia. Ma anche vecchia e stretta conoscenza del boss trapanese. L’autore televisivo non crede ai complotti dei servizi segreti, non pensa che l’ultimo dei Corleonesi si sia consegnato e che l’arresto sia una farsa. Ma ritiene che il tumore abbia spinto Diabolik ad allentare le difese. Perché farsi prendere poteva in qualche modo convenirgli. Anche e soprattutto per una “questione di affetti”.

La prima cosa (e la seconda)

«La prima cosa che ho pensato quando ho saputo dell’arresto di Messina Denaro è che ancora una volta Avola aveva ragione», esordisce Santoro. «Lui mi aveva detto che ‘U Siccu o era morto o era in gravissime condizioni di salute. La seconda è che è finita un’epoca. La mafia che conoscevamo è definitivamente morta. E quindi dobbiamo cambiare il modo di approcciare alla criminalità organizzata. Inseguendo il denaro. Capendo, come diceva Falcone, dove sono finiti i soldi. Quello di Cosa Nostra è un tesoro immenso. Dove sia finito è la prima preoccupazione che dovremmo avere». Ma è impossibile comprendere una figura complessa e sui generis come la sua senza prima ricordare il suo ruolo nella storia di Cosa Nostra. Il giovane Matteo ha vissuto in prima linea l’epopea della lotta allo Stato. Il vecchio Messina Denaro è stato protagonista della metamorfosi della mafia. E della sua trasformazione in qualcosa di diverso. Che ha cambiato Cosa Nostra per sempre. «La fase stragista si è chiusa. Forse perché si è aperta quella capitalista?».

Ritratto del boss da giovane

Nel libro Avola e Messina Denaro si conoscono per una faccenda da risolvere riguardo il commercio del gambero rosso di Catania. Hanno più o meno la stessa età ma tra i due c’è una differenza di nascita. Matteo è figlio di Don Ciccio, capo assoluto a Trapani. Avola invece mafioso non nasce, ci diventa. E descrive il pargolo del boss come «un elegantone firmato Armani, freddo e superbo. Mi ha fatto capire che dovevo rimanere al posto mio». Il figlio d’arte «quando veniva a Catania per divertirsi portava donne bellissime con un fisico da modelle». Non amava passare le ore al bar. Preferiva frequentare «avvocati, medici, notai, commercialisti. E giudici. Massoni». Ma Santoro ricorda che «poi Avola lo colloca sulla scena del delitto Scopelliti. Ovvero il delitto eseguito da Cosa Nostra in un territorio della ‘ndrangheta. Questo è l’ultimo avvertimento a Falcone prima della sentenza sul Maxiprocesso. Falcone capisce che l’attentato è un segnale anche a lui ma non si ferma. La sentenza della Cassazione scatena la stagione stragista vera e propria».

Il cambio di prospettiva

È qui che Messina Denaro, che non era prima un oppositore dello Stato, diventa un soldato pronto alla guerra. Perché era uno dei fans più sfegatati di Riina. Don Ciccio era molto amico di ‘U cortu ma anche uomo di grande saggezza e diplomazia. Il giovane Messina Denaro nasce ricchissimo da una famiglia mafiosa con ranghi di nobiltà. Non c’è bisogno che partecipi ai riti di affiliazione. «Ed è un mafioso molto particolare», aggiunge Santoro. «Per esempio è laico. In quegli scritti che gli vengono attribuiti dice che la madre gli ha trasmesso la fede ma lui l’ha persa. Il suo politico di riferimento è Craxi. E quando si esprime sulla stagione delle stragi è genuinamente convinto che i magistrati abbiano effettuato un colpo di Stato. E che quella della mafia sia un’insurrezione contro un’ingiustizia. In questo senso è un idealista». La legislazione speciale, i maxiprocessi portano Cosa Nostra a pensare che quello Stato che prima pensava fosse un alleato voglia farle la guerra. È per questo che risponde con le stragi.

Messina Denaro, l’idealista

Noi abbiamo sempre pensato alla mafia soltanto come portatrice di violenza e basta. «Ma quella violenza è frutto di un’ideologia. E secondo questa ideologia il diritto era stato distorto da Falcone per poterli carcerare. Erano convinti che la legge fosse uguale per tutti ma non per loro». Messina Denaro è diverso dagli altri anche nell’interpretazione del ruolo di Cosa Nostra nella società. Quando don Ciccio muore, il giovane boss crea nel trapanese una mafia “facilitatrice” d’affari. «E soprattutto per lui non essere catturato era una questione d’onore. Questo stride con i comportamenti che ha avuto negli ultimi tempi. Per trent’anni è stato impossibile avere sue immagini. I suoi amici sono stati assediati dalle intercettazioni di investigatori che lo cercavano. Pensare che sia la stessa persona che si va a fare un selfie in ospedale è stridente», obietta Santoro. Come se non avesse più il problema di farsi prendere. Per il semplice motivo che sta morendo.

Il richiamo della famiglia

Poi c’è da considerare il richiamo della famiglia: «Mentre molti padrini sono stati catturati anche perché non volevano separarsi da mogli e figli, Matteo è uno che non ha visto la figlia nemmeno un giorno nella sua vita pur di non farsi catturare». La figlia si chiama Lorenza, come la madre di Matteo. Il padre non lo ha mai incontrato. È nata dal rapporto del boss con Francesca Alagna, ma non porta il suo nome. È cresciuto nella casa della mamma. Nel diario ritrovato nel covo Messina Denaro scrive «perché Lorenza non vuole vedermi? Perché è arrabbiata con me?». Mentre nelle lettere a lui attribuite dice che non accetterà il giudizio dello Stato sulla sua persona, ma quello di sua figlia sì. «E da quelle missive, sempre che non siano state scritte da altri, appare come consapevole di una sconfitta. Non solo della stagione delle stragi, ma della stessa idea di Cosa Nostra». Invece «quella di venire arrestato è l’unica possibilità di tornare in contatto con la sua famiglia senza metterli in pericolo».

Il tesoro di Cosa Nostra

Se Messina Denaro parlasse, la domanda più importante da fargli sarebbe quella sul «tesoro di Cosa Nostra. Per anni la mafia è stata uno Stato nello Stato. Ora che l’economia ha preso il sopravvento sulla politica i mafiosi si sono mescolati al fenomeno con le loro ingentissime ricchezze ed è lì che sopravvivono. Ora sono introvabili? Sì, perché probabilmente cercarli vorrebbe dire mettere in discussione il sistema capitalistico. Dove vai a vedere? Il rischio è che l’intera economia siciliana – e forse anche quella nazionale – si bloccherebbe di fronte a una ricerca che va in quella direzione. Quindi meglio capire se c’è l’Agenda Rossa e cose del genere». Così come sembra chiaro che in questi anni abbia goduto di complicità nel mondo economico e della sanità. «Avola racconta che quando vanno a uccidere Scopelliti le informazioni ai mafiosi le danno proprio i massoni. Lui è entrato in contatto con i circuiti della finanza internazionale. Del resto la sua fortuna veniva valutata in miliardi. Non certo un orologio da 36 mila euro, che allora valeva più della casa da 20 mila».

I selfie di Matteo Messina Denaro

D’altronde “La Mafia Biancacominciava con la frase “Cosa Nostra non spara più”. Proprio perché l’idea del mafioso con la coppola è anacronistica. E a farla invecchiare è stato proprio l’ultimo dei Corleoneosi. Che ha portato la mafia nel Terzo Millennio. Proprio per questo c’è una cosa che secondo Santoro proprio non regge in questa storia: «Non mi convince un Matteo Messina Denaro che si fa i selfie. O che arriva in clinica con l’olio e il vino di Castelvetrano da distribuire tra medici ed infermieri. Preferisco pensare che l’abbia tradito la voglia di essere sepolto tra i suoi ulivi». Per l’inventore di Samarcanda Messina Denaro ha perso il suo spirito di vigilanza ossessivo perché non reggeva i trent’anni di latitanza.

La cattura e il complottismo

Anche le circostanze della cattura potrebbero riservare qualche sorpresa. «Per trent’anni hanno intercettato i telefoni. Non hanno mai trovato nulla. Magari è arrivata una soffiata. Ma se, per ipotesi, qualche lavoratore dell’ospedale l’ha riconosciuto e l’ha detto ai carabinieri è giusto che lo proteggano per non esporlo a rappresaglie». Ma anche se c’è un filone complottista che sostiene che si sia fatto catturare, secondo Santoro per Messina Denaro semplicemente «non era più così importante non farsi prendere. Anzi. Poteva in qualche modo convenirgli. Per una questione di affetti sentimentali. Io non conosco la sua cartella clinica, ma leggo di un tumore allo stato terminale. Quanto grave sia questa malattia non lo sappiamo».

I colloqui e la nipote avvocata

In carcere invece avrà i colloqui. In regime di 41 bis i carcerati possono usufruire di un solo colloquio al mese con i familiari. Durano un’ora e si svolgono in aree dedicate, dotate di vetri divisori per impedire il contatto fisico, e videosorvegliate. Chi rinuncia può essere autorizzato a effettuare una telefonata al mese per 10 minuti, che viene registrata. «Un’altra novità è stata la nomina della nipote», aggiunge Santoro. «Prima diceva che avrebbe rinunciato a difendersi nei processi. Ora ha cambiato idea. E ha incaricato una parente». Lorenza Guttadauro è la figlia di Filippo Guttadauro e Rosalia Messina Denaro, sorella di Matteo. Ed è sposata con Luca Bellomo, che nel 2014 era finito in carcere con l’accusa di essere l’ultimo ambasciatore del padrino. La professionista ha anche difeso la zia Anna Patrizia e il fratello Francesco, arrestati con l’accusa di essere il braccio operativo del capomafia.

La mafia oggi e la paura della morte

Per Santoro la voglia di tornare in contatto con la famiglia per un malato terminale ha influito sull’arresto. «I padrini come Graviano e Messina Denaro sono ancora relativamente giovani, hanno sessant’anni. Per questo ogni tanto chiamano in ballo Berlusconi: la storia di Forza Italia ha costeggiato le scelte politiche di Cosa Nostra, anche se sono convinto che sia una sciocchezza pensare che lui c’entri con le stragi. Anche la profezia di Baiardo che annuncia l’arresto coincide: per me lui è un personaggio minore, ma può darsi che da quegli ambienti qualcosa davvero fosse trapelato. Il punto chiave è l’abbassamento della cortina di sicurezza: quand’è che Messina Denaro comincia a fare i selfie? Dopo una vita all’insegna della prudenza entra in ospedale e regala l’olio. È chiaro che l’elemento psicologico è stato decisivo. Insieme alla paura della morte».

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