Il passo falso dell’autista di Messina Denaro: così aveva reso invisibili i suoi due cellulari
Dietro la convalida dell’arresto per Giovanni Salvatore Luppino c’è, tra i tanti, un dettaglio che farebbe vacillare la sua difesa e porta ai suoi due cellulari. L’imprenditore agricolo è stato fermato lo scorso lunedì subito dopo il blitz che ha messo fine alla latitanza di 30 anni di Matteo Messina Denaro. Per il boss mafioso Luppino ha fatto da autista da Campobello di Mazara alla clinica La Maddalena. Secondo lui solo per quella volta, mosso da «umanità» nei confronti di quello pensava fosse un cognato di un amico, Andrea Bonafede, dal quale Messina Denaro ha preso l’identità. Il geometra Bonafede si sarebbe presentato all’improvviso per chiedergli di accompagnare tale “Stefano” in ospedale. Una versione poco creduta dagli inquirenti, così come dal gip di Palermo, Fabio Pilato.
I cellulari irreperibili
Quando l’agricoltore è stato arrestato aveva con sé un coltello a serramanico di 18,5 centimetri. Ma soprattutto due telefoni cellulari, che ben prima di arrivare a Palermo aveva messo in modalità aereo, per poi essere spenti. Una modalità che alimenta l’ipotesi degli inquirenti sulla sua completa consapevolezza su chi portasse a bordo della sua auto. In quel modo, infatti, Luppino sarebbe riuscito a evitare che la celle dei ripetitori di telefonia mobile potessero allacciarsi ai suoi telefoni, risultando così del tutto irreperibili. Gli inquirenti quindi sospettano che possa essere una tecnica di depistaggio, fin troppo raffinata per un soggetto che vuol farsi passare per estraneo alla latitanza del boss mafioso.
I pizzini
Luppino aveva poi con sé una «lunghissima serie di biglietti e fogli manoscritti con numeri di telefono – si legge nell’ordinanza del gip che cita il verbale di arresto – nominativi e appunti di vario genere, dal contenuto oscuro e di stremo interesse investigativo». L’obiettivo dell’indagine ora è verificare se i tanti e diversi pizzini di Luppino possano svelare nuovi dettagli sulla rete di fiancheggiatori di Messina Denaro, di cui secondo gli inquirenti faceva parte a pieno titolo anche l’imprenditore agricolo, accusato di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena aggravati dal metodo mafioso. Secondo il giudice Pilato, è necessario «un approfondimento investigativo sul rinvenimento dei numerosi pizzini, che potrebbero schiudere lo sguardo a nuovi scenari».
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