L’urlo di Tardelli sul doping nel calcio: «Prendevamo farmaci senza discutere. Io? Spero di essere fortunato»
L’ex calciatore e allenatore Marco Tardelli è stato campione del mondo in Spagna nel 1982. Il suo urlo dopo la rete alla Germania in finale è diventato la copertina di quella vittoria. Oggi in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera parla invece del doping nel calcio. Partendo dall’ormai famoso Micoren, l’antiasmatico che molti giocatori prendevano per migliorare le prestazioni: «E chi non l’ha preso? Quando giocavo io non c’era l’attenzione di adesso alla farmacologia. Se il giocatore aveva un problema, il medico lo valutava. E se proponeva un farmaco, il giocatore lo assumeva senza discutere». L’abuso di farmaci Tardelli lo lega alle condizioni fisiche: «Io andavo in campo anche se non ero a posto. I tempi di recupero erano stretti. È quindi possibile che abbia abusato di farmaci». Tardelli ritorna sulla morte di Gianluca Vialli e sulle dichiarazioni di Dino Baggio: «Non ha fatto un j’accuse. Ha soltanto chiesto di capire: datemi una mano a comprendere cosa ho assunto. E quali potrebbero essere le conseguenze. Io? Spero di essere fortunato. Non credo che ci sia un legame diretto tra le medicine prese e la morte prematura di certi sportivi. Nessuno ha mai spiegato questa relazione. Come si fa a sostenerlo? Certo che centenari nello sport non si vedono. La normalità è 80- 82-83 anni, forse perché il nostro corpo è maggiormente usurato». Mentre i farmaci, anche oggi «non li amo molto, li prendo se necessari. Mi è capitato recentemente di avere uno stato influenzale, la tosse, ho preso l’antibiotico consigliato. Così, nella normalità assoluta. Ma ricordo, tanto per dire, di aver giocato anche con la febbre a 38 e di aver fatto la miglior partita. Adesso i calciatori sono più aiutati, importante per esempio la figura dello psicologo: per questo non so se si possano abbinare metodi e cure di un tempo a quelli di adesso. Non solo, il coinvolgimento, la presenza dell’agente è un fattore che un tempo non c’era».
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